sabato, dicembre 10, 2005

La sostenibilità economica del reddito minimo di cittadinanza

Alcuni dicono che non è sostenibile economicamente l'aggiunta del reddito di cittadinanza alla spesa sociale già esistente. A mio parere invece esso sarebbe perfettamente recuparabile se si aggredisse l'evasione fiscale e tale aggressione a mio parere sarebbe benissimo attuabile a monte con forme di minimum tax (http://www.studiamo.it/accertamento-induttivo-studi-di-settore/accertamento-induttivo-cap3-33.html ), in cui l'onere della prova starebbe a carico del contribuente che potrebbe pagare meno tasse offrendo la sua disponibilità ad un'ispezione del ministero delle finanze, e se è un'impresa anche del ministero della salute e dell'ispettorato del lavoro
E' certo che l'erogazione del reddito minimo di cittadinanza sarebbe in parte assorbita dalla spesa per pensioni (sarebbe anche la quota base delle pensioni), da quella delle indennità varie per chi è stato licenziato o di quella balla colossale che nel nostro paese sono stati i lavori socialmente utili (dove persone demotivate hanno uno stipendio da niente per fare niente, il tutto in omaggio al principio del "chi non lavora non fa l'amore". Inoltre sapendo che c'è un reddito minimo di cittadinanza si potrebbe rendere più flessibile il mercato del lavoro (giacchè un paracadute sarebbe sempre disponibile) anche nel campo del servizio pubblico (anche se la spesa per stipendi della pubblica amministrazione non è la vooce più rilevante della spesa pubblica, che rimane la previdenza)

Argomenti di Del Bò contro la selezione dei destinatari

Del Bò propone una serie di argomenti interessanti contro la selezione dei destinatari del reddito di cittadinanza
Egli dice:
  1. E' difficile operare la selezione
  2. Chi ha bisogno spesso non è informato, non si espone, non richiede
  3. Chi sta nel sistema di sicurezza è disincentivato ad uscirne (Del Bò dice che se il lavoro dà poco più del reddito di cittadinanza, a che rinunciare al reddito di cittadinanza?)
  4. Si determinano trappole della disoccupazione ed esclusione sociale
  5. L'inattività comporta una degradazione delle competenza professionali
  6. C'è una perdita sociale dei frutti delle attività economiche di chi non intende uscire dal sistema di protezione sociale
  7. Vi sono notevoli costi amministrativi per la verifica delle condizioni necessarie per l'erogazione del basic income
  8. Vi sono costi sociali come l'intrusione nella privacy
  9. Dandolo a tutti basta essere iscritti all'anagrafe e il reddito di base è cumulabile con qualsiasi altro reddito (e dunque non disincentiverebbe il lavoro)
  10. Il ricco che riceve il basic income spende più tasse per finanziarlo

Facciamo a questo punto alcune considerazioni sulla argomantazioni svolte da Del Bò

  • Un organizzazione pubblica o statuale ha bisogno di raffinare i propri sistemi di monitoraggio sociale, non di rinunciarvi
  • Se si dà a tutti, non bisogna mai più porsi il problema della sua sostenibilità economica
  • Il basic income deve anche scoraggiare un mercato del lavoro selvaggio, dunque deve incoraggiare un più alto costo di ingresso (per i datori) nel mondo del lavoro. Se fosse cumulabile ognuno accetterebbe un lavoro ad un salario qualsiasi. Ad es. un basic income dovrebbe essere associato ad una legge del salario minimo (come in Germania mi pare) Una soluzione potrebbe essere che, supposto un basic income di 500 euro a persona, un'azienda che ti assume riceverebbe dallo stato 500 euro a condizione che ti assuma ad es. ad una salario minimo di 1100 euro e che paghi su quei 1100 euro (500+600 erogati dall'azienda) le corrispondenti spese fiscali e previdenziali (le prime come sostituto d'imposta). Sarebbero esclusi imprenditori, liberi professionisti e rentiers il cui reddito superasse una certa somma prefissata per legge
  • Il non ricevere un salario non vuol dire inattività e degrado (oltretutto il lavoro precario non mi sembra meno degradante). Potrebbe voler dire attività non mercificabili (es. attività di cura, culturali etc.)
  • A Napoli la maggior parte dei percettori di poco reddito sono benissimo informati sulle provvidenze pubbliche a loro favore (quindi [2] non mi pare proprio indiscutibile)

Reddito di cittadinanza: storia

Del Bò poi vede in Joseph Charlier (http://muse.jhu.edu/cgi-bin/access.cgi?uri=/journals/history_of_political_economy/v033/33.3cunliffe.pdf) il primo a teorizzare il basic income unificando il principio per cui le istituzioni devono provvedere a chi si trova in stato di bisogno e fosse disposto a lavorare (a meno che non fosse impedito) teorizzato da Moro e Vives e il principio di Condorcet e Paine per cui ognuno ha diritto ad una fetta equa della ricchezza sociale.
In epoca moderna hano difeso il principio Tobin, Meade, e Philippe Van Parijs (su quest' ultimo http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020412b.htm
http://cfs.unipv.it/opere/carter/reddito.doc

Del Bò però poi mette in relazione il basic income con la riforma dello stato sociale
e qui non mi trovo molto d'accordo, nel senso che il basic income non deve sostituire lo stato sociale, quanto integrarlo (il fatto della sostituzione è teorizzato dai sostenitori liberisti del basic income). Ovviamente a tal proposito bisogna porsi il problema della sostenibilità, dal momento che l'uno non sostituisce l'altra


Bascetta e Bronzino citano pure la libertà dal bisogno e Rawls, per il quale il mercato non è adeguato a soddisfare il criterio del bisogno e per il quale dunque il minimo sociale deve afr parte dellaarchitettura costituzionale della società
Personalmente sono d'accordo col fatto che il basic income debba far parte della Grundnorm di una costituzione che si basi sul concetto di cittadinanza: cittadino è chi riceve almeno un basic income, in caso di bisogno

A mio parere però anche in marx possiamo trovare un'intuizione della possibilità del basic income, sia come momento di una patologia sociale, ma anche come criterio di redistribuzione delle risorse : il secondo è la famosa frase: "da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni"; il primo lo vedo in questa citazione dal Manifesto:
"Al contrario, il lavoratore moderno, invece di elevarsi con il progresso dell'industria, tende a impoverirsi rispetto alle condizioni di vita della sua classe. Il lavoratore diventa povero, e la povertà si sviluppa più rapidamente della popolazione e della ricchezza. Emerge così chiaramente che la borghesia non è in grado di restare ancora a lungo la classe dominante nella società e di dettarvi legge alle sue condizioni. La borghesia è incapace di governare perché non è in grado di garantire l'esistenza ai suoi schiavi all'interno del suo stesso schiavismo, perché è costretta a lasciarli sprofondare in una condizione che la costringe a nutrirli, anziché esserne nutrita. "

In questa seconda citazione (meno tenera col basic income) vediamo che il basic income è uno degli esiti di quella tendenza dell'economia capitalistica a crisi di sottoconsumo, e dunque è la spia che il lavoro salariato non è affatto un sistema che consenta una corispondenza tra attività erogata e soddisfaciamento dei bisogni, al punto tale che esso produce crisi che hanno costretto gli stessi governi capitalisti a dover produrre il consumo di massa e tanti altri stratagemmi che urtano una morale tradizionale ancora legata al rapporto "virtuoso" tra lavoro e consumo (si pensi ai lavoratori che scavano buche e poi le riempiono di Keynes, oppure al pagamento rateale e alla propensione all'indebitamento privato e pubblico etc etc)

Reddito di cittadinanza : definizione

Ragazzi, non sapendo se vengo, cerco di riassumere le tesi sul reddito di cittadinanza prendendo spunto dall'ottimo Corrado Del Bò, il quale dà del basic income un'ottima definizione
Si intende per reddito di cittadinanza (o basic income)
1) un trasferimento monetario (non si tratta di servizi sociali)
2) elargito periodicamente dallo Stato (o da un'autorità pubblica riconosciuta, tipo l'UE)
3) agli individui (non alle famiglie, e perciò a mio parere va riconosciuto anche a minorenni e pensionati)
4) indipendentemente dalle loro condizioni economiche (questo sarebbe più contestabile)
5) e senza riguardo per il loro contributo lavorativo

Del Bò considera "basic income" come termine ottimale in quanto reddito minimo garantito si associa troppo al "minimo vitale" del secolo scorso, mentre "reddito di cittadinanza" sarebbe troppo collegato alla questione della cittadinanza

Io preferirei "reddito minimo di cittadinanza" inttroducendo l'idea che la cittadinanza sia caratterizzata concretamente al diritto sia a dei servizi sociali, sia ad un minimo di reddito monetario che deve costituire il nucleo di ogni salario, di ogni pensione etc.

Del Bò (citando anche Philippe Van Parijs, filosofo della politica) dice che il solo fatto di esistere è condizione sufficiente per ricevere il reddito di base.

Del Bò dice anche che i fattori (4) e (5) sono quelli che più differenziano il basic income da tutti i provvedimenti selettivi (solo a chi ha bisogno) e condizionati ( solo a chi garantisca comunque una disponibilità a lavorare) che sinora sono stati prodotti dallo Stato sociale
Il basic income è universalista e incondizionato

A mio parere io sarei per renderlo incondizionato, ma non universalista
Incondizionato perchè esso deve avere anche una funzione simbolica: quella cioè in quella che comunque definisco "fase di transizione" di testimoniare che non c' è mai stata (nè forse ci può e deve essere) equivalenza vera tra attività erogata e soddisfacimento dei propri bisogni, che le due cose sono in realtà slegate e che il lavoro salariato, che per un certo periodo storico ha garantito un legame del genere (attraverso lo scambio lavoro/salario), non rappresenta più un rapporto di produzione "progressivo" (cioè in sincronia con l'evoluzione storica), nè tantomeno va assunto come parametro "morale" del giusto rapporto sociale
Universalista no, perchè tale assenza di collegamento determina nel modo di produzione capitalistico uno squilibrio (nella detenzione di chances) che va compensato attraverso un movimento opposto. Perciò va dato a tutti coloro che sono senza lavoro a prescindere dalla loro disponibilità a sottostare al lavoro salariato ed eterodiretto

Del Bò poi accenna al fatto che lo svincolo del basic income dai bisogni consente anche di evitare che esso pesi eccessivamente sulla comunità (ad es. facendolo rimanere uguale nel caso il suo adeguamento sia troppo oneroso; è questa la tesi di Van Parijs )
Questa tesi mi pare debole dal momento che riduce il basic income ad un riconoscimento puramente simbolico della cittadinanza. Perchè in tal caso dare X a chi non ha bisogno e non X+Y (adeguamento) a chi il bisogno ce l'ha?
Spero vedremo in seguito che tale ragionamento forse ha un limite proprio nell'approccio di alcuni teorici liberal al reddito minimo di cittadinanza, approccio che non vede nell'essere portatore di bisogni il segno principale non tanto della cittadinanza, ma quanto della sovranità.

mercoledì, novembre 09, 2005

Scontri nelle banlieu francesi

Da giorni si parla degli scontri nelle banlieu francesi. Si parla delle bande di giovani immigrati di terza e quarta generazione, del poliziotto di quartiere, della repressione e del coprifuoco, dei conflitti tra gli organi istituzionali accusati di avere male gestito la situazione negli anni. Poco però si riflette anche in Italia su alcuni punti rilevanti: innanzitutto dello sviluppo della città e della questione delle periferie, cosa che in qualche modo ci riguarda non tanto per stabilire se le nostre città sono piccole o grandi o se da noi si possa o meno verificare quandto sta accadendo in Francia -le solite stupidità alla Buttiglione- ma perchè investe un modo di costruire e definire "parti" della città che automaticamente vengono escluse dalla "vita" della città e che già nel caso di Napoli ad esempio stanno scoppiando, pur se contenute di tanto in tanto dai poteri mafiosi; la bassa scolarizzazione dei giovani immigrati e il problema di un riconoscimento di cittadinanza in senso forte; il lavoro che manca, che esclude giocoforza una grande fetta di persone. Insomma l'accapigliamento che scade nell'inciucio politico ancora una volta offusca la gravità del problema e di una sua analisi profonda. Tra l'altro sono fenomeni che accadono già da un pezzo, anche a Londra, ma di cui noi non ne abbiamo notizia.Mi chiedo se c'è un collegamento tra quello che sta accadendo e l'azione di Cofferati di sgombero dei rom a Bologna.Che dire allora di Napoli, di Scampia, di Casoria? Che fine ha fatto l'esperienza delle reti civiche e dei municipi di qualche anno fa? Poi dobbiamo considerarli immigrati o cittadini? Al solito le domande si affollano...

lunedì, ottobre 31, 2005

Segnalazioni

Guagliò, e' muvimmece nu poco...nientemeno quindici giorni!!! riposo????
Allora ieri sono stata alla notte bianca e malgrado i problemi di carnaio umano a piazza Dante devo riconoscere che mi sono sentita una privilegiata: ho potutto godermi sia lo spettacolo du Circle du soleil, magico veramente sia Beppe Grillo di cui vi dico: eccezziunale veramente. Certo dà da pensare, soprattutto quando ci richiama ad una certa dose di responsabilità che siamo tanto bravi a disconoscere agli altri ma mai a noi stessi!!!! Andatevi a guardare il suo blog...l'indirizzo è a lato --->
Intanto approfitterei per segnalarvi qualche libricino, troveremo mai chi ci può fare una recensiona dal taglio critico?

1. Mobilità. I segni del collasso
Autore: Frederic Vester
Editore: Edizioni Andromeda

2. Cella, G.P.
Titolo:Il sindacato
Collana: Biblioteca Essenziale Laterza

3.Ichino Pietro A che cosa serve il sindacato. Le follie di un sistema bloccato e la scommessa contro il declino, FrecceMondadori

4."Precari. Percorsi di vita tra lavoro e non lavoro" di Andrea Tiddi DeriveApprodi

sabato, ottobre 15, 2005

L'eclissi del lavoro

Mentre Mina ed Italo si confrontano via telefono, mi stimolano ad intervenire sul blog con alcune riflessioni che spero suscitino altri interventi. Dopo una prima ricognizione fatta personalmente e da altri redattori e collaboratori della rivista, si è constato la difficoltà di aggregare altre giovani forze intellettuali sull'analisi delle problematiche legate al lavoro. Ciò secondo me è la spia di una rimozione radicale della prospettiva marxiana, obliando la centralità delle dinamiche relative agli assetti produttivi e lavorativi assolutizzando altre dimensione dell'esistente. Come rivista ci aspetterà l'arduo compito di cercare di rimettere al centro del dibattito politico-culturale un tema assai scottante e dalle forte implicazioni sociali, politiche e culturali di cui, di questi tempi, non convene parlarne sia a livello accademico sia a livello politico.

domenica, ottobre 09, 2005

lavoro e carriera per le donne?

A dire il vero la lettura del libro "Donne, colf e badanti" mi aveva già colpito per alcune cose che toccavano la mia esperienza personale oltrechè darmi alcuni spunti di riflessione. Ma il top l'ho registrato ieri quando ho trovato conferma ad un assunto che nell'apparenze suscita quell'amara sufficienza che nasconde come sempre una terribile verità. L'affermazione dle libro era che stanno crescendo giovani generazioni di donne che non sanno fare le cose più elementari, anzi che non sanno fare...proprio nel senso fabbrile... più niente e pertanto hanno bisogno di altre donne che lo fanno per loro. Cioè nell'enfasi dell'emancipazione e del rifiuto di quanto pertiene alla cura anche della casa, giovani donne in carriera hanno bisogno altre donne che rinunciano ai loro affetti familiari perchè suppliscano a quei compiti ritenuti ingiustamente un peso , diciamolo pure una schiavitù! Giovani che non sanno fare pulizie in profondità, non sanno cucinare, hanno bisogno di chi accudisca ai loro figli mentre vanno a lavorare etc. etc...Quindi cosa succede: bisogna lavorare di più per pagare l'extra--quindi più soldi, più tempo al lavoro- ricorrere ad altre che vengono ritenute più "deboli", migrazioni, sfruttamento del lavoro etc etc...Insomma pe farvela breve, ho giocato a cambiare le tende di casa, pensavo che fosse facile trovare chi me le potesse rifinire, un'amica mi ha chiesto una cifra esorbitante, dal tappezziere peggio che andare di notte, ergo...l'amica mi ha rimarcato che saprò pure studiare e insegnare ma non so cucire e ho bisogno di altre...e queste altre si fanno pagare ma io penso che il prezzo che mi hanno chiesto è scandaloso e che tutto è cominciato per gioco e al diavolo il femminismo bisogna pure saper cucire ..perchè andando di questa maniera consumo tutto lo stipendio per...cose che mia mamma sa fare e io no! ;-)))

martedì, ottobre 04, 2005

suggerimenti per il numero della rivista

Prendendo spunto dal Valentino Parlato che ha citato Mina sullo scorso blog, penso che occorrerebbe pensare delle domande da rivolgere a qualche sindacalista serio che conosca il mondo dei lavori e perchè no anche a qualcuno serio di confindustria e confagricoltura, dato che nel postfordismo ci possono essere tra i padroni gente che ha idee chiare di innovazione, cambiamento della composizione del lavoro e insomma delle classi sociali. E bisogna individuare anche le persone da intervistare. Che ne pensate?

sabato, ottobre 01, 2005

lavori antichi, sindacato moderno

In un'intervista di Valentino Parlato su Il Manifesto del 15 settembre ho trovato delle osservazioni che mi sembrano più che corrette nel fotografare la situazione attuale di lavoro-sindacato: "il declino delle categorie se esse non saranno capaci di rappresentare il lavoro (i lavori) che cambia; il recupero della centralità del lavoro e dei lavoratori che interloquisce fortemente e autonomamente con la politica che sempre più perde o nasconde il senso degli interessi sociali in un campo e del conflitto sociale stesso; una trasformazione del sindacato, che diventa più politico ("più confederale! in sindacalese) e che, per la sua natura,deve dare nuove indicazioni di senso al suo essere rappresentante di interessi e al suo essere presidio inelimininabile della democrazia".
Alcune cose:
1. effettivamente ha più senso parlare di "lavori" e non più di lavoro come categoria unificante, per meglio articolare le sfaccettature attuali della trasformazione del lavoro stesso rispetto alla sua considerazione storica ottocentesca e di inizio novecento
2. lavori e politica: il conflitto sociale è ancora al centro dell'agenda politica? Tra una finanziaria e l'altra direi proprio di no. Tra l'altro mi chiedo quanto comprendano la deregulation o il problema del tfr con il fondo Espero....
3. la funzione del sindacato: esso riesce concretamente a rappresentare gli interessi delle categorie? Direi che sul tavolo delle concertazioni spesso il sacrificio di alcune categorie è molto più alto rispetto ai risultati che si ottengono. Il sindacato è fortemente politicizzato e spesso si rivela più una porta chiusa per il lavoratore che uno strumento di tutela e lotta.

martedì, settembre 27, 2005

Benvenuti sul nostro blog

Un benvenuto a quanti vorranno condividere con noi questa esperienza...virtuale... di comunicazione di idee, osservazioni e critiche!
Intanto consulta il sito: www.crisieconflitti.it Il nostro primo laboratorio è sul tema lavoro...chissà come andrà a finire! Stiamo provando ad analizzare, ciascuno secondo le sue competenze e la sua formazione, il mondo lavoro e...sembra un lavoro (!) non facile!!!! SiGH!!!