sabato, dicembre 09, 2006

Su Napoli

Volevo riassumere in questa sede varie mie osservazioni sugli ultimi post su Napoli.
1) Sono d'accordo con Salvatore sul profondo legame tra organizzazioni malavitose e sistema capitalistico. Tuttavia la difesa dello Stato sociale va fatta e tale difesa serve anche a consentire l'organizzazione politica di un soggetto antagonistico che manca. Quanto alle conseguenze di una legalizzazione delle droghe non rischiamo di dire poi che è meglio l'affare droga che almeno fa stare tranquille le parti disagiate della società ?
Può anche essere che con i proventi di un ticket sanitario si possano finanziare programmi sociali per l'occupazione e sanare in piccola parte la disoccupazione forzata dell'indotto camorristico. C'è poi da dire che spesso il pusher è il minore (che non deve lavorare) o il drogato stesso (che "lavora" per procurarsi la droga, ma se gliela diamo a prezzo stracciato?). Comunque sono d'accordo con Salvatore sul fatto che la mancanza di un soggetto antagonistico è un handicap notevole.
2) Sono d'accordo con Lunanera che il problema dell'occupazione è centrale (come pure del reddito minimo, che non può essere così ridicolo, nè può essere dato al solo capofamiglia, nè può essere una iniziativa della sola regione che non ha risorse). Quanto alla militarizzazione del territorio la cosa è caduta da sè, come meritava. E il fatto che ci sia una manovra contro il blocco bassoliniano di potere è un altra cosa evidente a tutti. Forse i Diesse e la Margherita vogliono normalizzare la satrapia campana, che ha generato schieramenti trasversali localistici che scavalcano le segreterie nazionali dei partiti
3) Quanto alla partecipazione politica credo che anche questo sia un problema forte, ma non si può minimizzare la questione della necessità comunque di una forte spesa pubblica. Il clientelismo si alimenta quando la spesa pubblica è insufficiente. Senza contare il fallimento del sistema scolastico nella formazione della cittadinanza, handicap che ci costringe a diversioni e a notevoli allungamenti di percorso

venerdì, dicembre 01, 2006

Una critica alla Finanziaria da sinistra : l'appello degli economisti

Abituati ormai a difendere la Finanziaria dagli attacchi della Destra del paese, ma anche da quella infida dello schieramento dell'Unione, non riflettiamo abbastanza sulla possibilità di svolgere una critica alla Finanziaria ed ai suoi presupposti da Sinistra.Per questo cominciamo col ripubblicare il manifesto degli economisti, pubblicato sul Manifesto del 25 Agosto di quest'anno.Credo che fare questo alla vigilia di una manifestazione della Destra, non insidiosa in sé, ma tale per il fatto che darà legittimazione a chi nella coalizione di governo sta manovrando per neutralizzare la vocazione redistributiva propria dell'istanza che ha portato l'Unione al governo di questo paese

Ecco dunque il manifesto:

L’esito delle elezioni politiche di aprile e l’insediamento del Governo Prodi hanno suscitato presso la maggioranza degli italiani una forte aspettativa di rilancio dell’economia e di ridefinizione degli indirizzi di politica economica a fini di equità e di coesione sociale.
A questo scopo si rendono indispensabili provvedimenti coraggiosi ed incisivi: un programma di legislatura che preveda ampi investimenti nel sistema delle infrastrutture materiali e immateriali, nell’istruzione, nella formazione e nella ricerca scientifica e tecnologica; un indirizzo di politica industriale che spinga il nostro tessuto produttivo verso un modello di sviluppo fondato sulle nuove tecnologie, e che risulti equilibrato sul piano ambientale e territoriale; una diversa disciplina del mercato del lavoro e delle relazioni industriali che ripristini le condizioni per la crescita dei salari reali, per il superamento di una logica produttiva fondata sulla precarietà del lavoro, per il rafforzamento degli ammortizzatori sociali e più in generale degli strumenti di welfare.
Si tratta di interventi necessari, inderogabili, per il cui perseguimento occorrono impegno e risorse.
La nostra preoccupazione è che il Governo si stia orientando verso una politica generale delle finanze pubbliche che precluderebbe ogni possibilità di fornire risposta alle reali esigenze del Paese. Dal Documento di programmazione economica e finanziaria sembra infatti emergere una pesante manovra di finanza pubblica volta a realizzare un rapido abbattimento del rapporto tra debito pubblico e Pil. Il perseguimento di un simile obiettivo richiederebbe l’accumulo di avanzi primari annuali estremamente ampi. Ciò implicherebbe tagli significativi alla spesa pubblica, incrementi del prelievo fiscale non reimpiegabili nell’economia e, presumibilmente, ulteriori dismissioni e privatizzazioni.
Se questo tipo di orientamento prevalesse gli effetti sul sistema economico e sociale potrebbero rivelarsi deleteri. Da un lato, si avrebbe una ulteriore compressione della domanda aggregata e quindi dei livelli di attività economica, con riflessi negativi sullo stesso bilancio pubblico. Dall’altro, si rinuncerebbe ad impiegare risorse reali e finanziarie in politiche strutturali utili al rilancio e allo sviluppo economico-sociale.
Ci preme mettere in luce che questa strada non è per nulla obbligata. Non sussistono, infatti, né vincoli istituzionali né imperativi tecnico-economici che impongano un abbattimento del debito.
In primo luogo, l’unificazione monetaria europea e la presenza di un mercato finanziario integrato hanno fortemente ridimensionato i differenziali tra i tassi d’interesse dei paesi membri, e non sussiste alcun motivo tecnicamente plausibile per attendersi incrementi significativi e duraturi di tali differenziali. Qualsiasi riferimento ad eventuali reazioni avverse da parte dei mercati andrebbe pertanto seriamente argomentato sul piano tecnico-scientifico, anziché essere semplicisticamente evocato.
In secondo luogo, l’analisi economica mostra che non esiste un’unica definizione plausibile di sostenibilità delle finanze pubbliche: per ogni data differenza tra i tassi d’interesse e i tassi di crescita del reddito, esistono molteplici combinazioni possibili del deficit e del debito, tutte sostenibili sul piano della stretta logica economica. Questo significa che i vincoli del deficit al 3% e del debito al 60% del Pil, sanciti dal Trattato dell’Unione, non godono in quanto tali di alcuna legittimazione scientifica. Nulla impedisce, pertanto, che essi vengano sottoposti ad una nuova e diversa valutazione in sede politica, nazionale ed europea. A questo riguardo, è opportuno ricordare che il Trattato dell’Unione non prevede sanzioni rispetto al vincolo del debito pubblico al 60%, e che le sanzioni previste per i paesi il cui deficit superasse il limite del 3% non sono finora mai state applicate, nonostante le significative e ripetute violazioni.
Non vi sono dunque ragioni valide per imporre al Paese un’azione di drastico abbattimento del debito; il nostro sistema economico attende piuttosto una ripresa responsabile, razionale, innovatrice, dell’intervento pubblico nell’economia. A questo scopo, noi proponiamo che il Governo fissi come obiettivo generale di legislatura non l’abbattimento ma la sola stabilizzazione del debito rispetto al Pil, determinando conseguentemente il valore del rapporto tra deficit e Pil. L’eventuale esigenza di ulteriori riduzioni del rapporto tra deficit e Pil - da verificare nelle sedi del Parlamento nazionale, della Commissione e del Consiglio europeo - andrebbe comunque esaminata tenendo conto della mancata applicazione di sanzioni nei confronti di quei paesi membri che negli anni passati presentavano “disavanzi eccessivi”. Inoltre, più in generale, qualsiasi intervento sul disavanzo andrebbe valutato alla luce della necessità di muoversi sempre ed esclusivamente in termini anti-ciclici rispetto all’andamento dell’economia e di sostenere più elevati sentieri di sviluppo del reddito e dell’occupazione.
Sono queste, riteniamo, le opzioni di finanza pubblica che nella presente situazione risultano compatibili con i fondamentali obiettivi di sviluppo economico del Paese e di rispetto dei più elementari principi di equità e di giustizia sociale.
Adesioni
Riccardo Realfonzo (Università del Sannio), Bruno Bosco (Università di Milano Bicocca), Emiliano Brancaccio (Università del Sannio), Roberto Ciccone (Università di Roma Tre), Nicola Acocella (Università di Roma “La Sapienza”), Roberto Artoni (Università Bocconi di Milano), Enrico Bellino (Università Cattolica di Milano), Mario Biagioli (Università di Parma), Adriano Birolo (Università di Padova), Paolo Bosi (Università di Modena e Reggio Emilia), Dino Bruno (economista), Mario Cassetti (Università di Brescia), Saverio Catalano (economista), Luigi Cavallaro (editorialista), Valerio Cerretano (Libera Università di Bolzano), Sergio Cesaratto (Università di Siena), Laura Chies (Università di Trieste), Guglielmo Chiodi (Università di Roma “La Sapienza”), Francesca Corrado (Università di Modena e Reggio Emilia), Carmela D’Apice (Università di Roma Tre), Fabio D’Orlando (Università di Cassino), Pasquale De Muro (Università di Roma Tre), Giancarlo de Vivo (Università di Napoli “Federico II”), Amedeo Di Maio (Università di Napoli “L’Orientale”), Leonardo Ditta (Università di Roma “La Sapienza”), Maria Giuseppina Eboli (Università di Roma “La Sapienza”), Marianna Epicoco (Università di Milano), Sergio Ferrari (ENEA), Stefano Figuera (Università di Catania), Luciano Fiordoni (economista MPS), Massimo Florio (Università di Milano), Giuseppe Fontana (Università del Sannio), Guglielmo Forges Davanzati (Università di Lecce), Saverio M. Fratini (Università di Roma Tre), Andrea Fumagalli (Università di Pavia), Pierangelo Garegnani (Università di Roma Tre), Francesco Garibaldo (Istituto per il Lavoro), Giorgio Gattei (Università di Bologna), Augusto Graziani (Università di Roma “La Sapienza”), Bruno Jossa (Università di Napoli “Federico II”), Loris Landriani (Università di Napoli Parthenope), Antonio Lavorato (economista), Riccardo Leoncini (Università di Bologna), Sergio Levrero (Università di Roma Tre), Sabatino Massimo Longobardi (Université de Paris 1), Stefano Lucarelli (Università Politecnica delle Marche), Vincenzo Maffeo (Università di Roma “La Sapienza”), Sandro Magni (economista), Giovanni Mazzetti (Università della Calabria), Franca Meloni (Università di Napoli “Federico II”), Luca Michelini (Università LUM), Nerio Naldi (Università di Roma “La Sapienza”), Guido Ortona (Università del Piemonte Orientale), Giulio Palermo (Università di Brescia), Antonella Palumbo (Università di Roma Tre), Marco Passarella (Università di Firenze), Sergio Parrinello (Università di Roma “La Sapienza”), Rosario Patalano (Università di Napoli “Federico II”), Fabio Petri (Università di Siena), Antonella Picchio (Università di Modena e Reggio Emilia), Marco Piccioni (Università di Napoli “Federico II”), Francesco Pingue (Università di Napoli “Federico II”), Massimo Pivetti (Università di Roma “La Sapienza”), Felice Roberto Pizzuti (Università di Roma “La Sapienza”), Corrado Poli (Università di Bergamo), Giuseppe Privitera (Università di Catania), Paolo Ramazzotti (Università di Macerata), Fabio Ravagnani (Università di Roma “La Sapienza”), Angelo Reati (economista), Roberto Romano (Ufficio Studi Cgil), Giorgio Roverato (Università di Padova), Eleonora Sanfilippo (Università di Roma “La Sapienza”), Alessandro Santoro (Università di Milano Bicocca), Francesco Scacciati (Università di Torino), Ernesto Screpanti (Università di Siena), Riccardo Soliani (Università di Genova), Arsenio Stabile (Università di Siena), Antonella Stirati (Università di Roma Tre), Francesca Stroffolini (Università di Napoli “Federico II”), Cristina Tajani (Università di Milano), Mario Tiberi (Università di Roma “La Sapienza”), Guido Tortorella Esposito (Università del Sannio), Attilio Trezzini (Università di Roma Tre), Enzo Valentini (Università Politecnica delle Marche), Carlo Vercellone (Université de Paris 1), Giovanna Vertova (Università di Bergamo), Carmen Vita (Università del Sannio), Adelino Zanini (Università Politecnica delle Marche).
La proposta di stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil è stata originariamente avanzata da Luigi Pasinetti in un articolo del 1998 pubblicato sul Cambridge Journal of Economics, dal titolo “The mith (or folly) of the 3% deficit/GDP Maastricht parameter”. La proposta è stata quindi rilanciata in sede politica e ulteriormente sviluppata da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo, a partire da un articolo dal titolo “Il debito pubblico non va abbattuto”, pubblicato su Liberazione del 20 novembre 2004.
Promosso da Sergio Cesaratto e Riccardo Realfonzo, in collaborazione con il manifesto, il convegno “Rive Gauche” del 30 settembre 2005 ha quindi rappresentato un decisivo momento di confronto tra economisti e politici sui principali nodi della politica economica, e in particolare sulla proposta di stabilizzazione del debito pubblico. A seguito del convegno tale proposta ha iniziato a suscitare un crescente interesse in sede politica, raccogliendo l’espresso sostegno di numerosi esponenti dei partiti e dei sindacati e di alcuni membri dell’attuale esecutivo (gli omonimi atti del convegno, a cura di Cesaratto e Realfonzo, sono stati recentemente pubblicati da manifestolibri).
Nel luglio 2006, su iniziativa di Riccardo Realfonzo in collaborazione con Bruno Bosco, Emiliano Brancaccio e Roberto Ciccone, è stato redatto l’appello per la stabilizzazione del debito. Pubblicato sul manifesto del 16 luglio 2006, l’appello è stato finora sottoscritto da oltre settanta economisti ed ha già aperto un vivace dibattito sui media nazionali.
Per una sintesi ed una prima serie di risposte ad alcune questioni sollevate dall’appello, si veda l’articolo di Emiliano Brancaccio “Il debito non si abbatte. Sfida tra economisti”, pubblicato sul manifesto del 25 agosto 2006.
L’appello degli economisti per la stabilizzazione del rapporto tra debito pubblico e Pil è stato promosso da Riccardo Realfonzo in collaborazione con Bruno Bosco, Emiliano Brancaccio e Roberto Ciccone. Questo sito è a cura di Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonzo.
Riccardo Realfonzo (Napoli, 1964) è professore ordinario presso la Facoltà di Scienze Economiche e Aziendali dell’Università del Sannio; presiede il Corso di Laurea in Economia e Commercio e insegna Teorie e metodi dell’economia politica ed Economia monetaria. È autore di numerosi saggi apparsi in riviste scientifiche internazionali e alcuni libri, tra cui Money and banking (Elgar 1998) e The monetary theory of production (con G. Fontana, Macmillan 2005). Ha organizzato in collaborazione con il manifesto il convegno “Rive Gauche”, di cui ha curato gli atti (con S. Cesaratto, Manifestolibri 2006). È Segretario della Associazione Italiana per la Storia del Pensiero Economico e consulente al lavoro della Regione Campania. È editorialista del manifesto e di Liberazione. Indirizzo: realfonzo@unisannio.it .
Bruno Bosco (Lecce, 1953). Professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'Universita' di Milano - Bicocca. E' autore di varie pubblicazioni nazionali e internazionali, tra cui "Using Elton-Gruber Statistics in estimating panel data dividend model" (Oxford Bullettin of Economics and Statistics, 2, 1990), Efficienza nella produzione pubblica di beni e servizi (Nuova Italia Scientifica) e ''Tassazione, spesa pubblica e regolamentazione nelle teorie della ricchezza e del valore'', in AA.VV., Letture di Scienza delle Finanze (Giappichelli, Torino).
Emiliano Brancaccio (Napoli, 1971). Ricercatore di Economia politica e professore di Macroeconomia ed Economia del lavoro presso la Facoltà di Scienze economiche e Aziendali dell’Università del Sannio. Ha curato il volume Il granello di sabbia. I pro e i contro della Tobin tax, Feltrinelli 2002 (in collaborazione con R. Bellofiore). E’ risultato vincitore del premio AISPE “Bresciani Turroni” per il miglior articolo presentato da un economista under 35 alla conferenza di Palermo del settembre 2004. Una versione aggiornata dell’articolo, dal titolo “Un modello di teoria monetaria della produzione capitalistica”, è stata pubblicata su Il Pensiero economico italiano, XIII, 2005, 1. E’ consigliere di amministrazione della Banca Toscana – gruppo MPS. Collabora con i quotidiani Liberazione e il manifesto.
Roberto Ciccone (Roma, 1952). Professore straordinario presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi Roma Tre, dove tiene corsi di Economia Politica e di Storia del Pensiero Economico, è membro del Consiglio di Amministrazione del Centro di Studi e Documentazione “Piero Sraffa”, costituito presso l’Università Roma Tre. Ha pubblicato diversi articoli su riviste italiane e straniere e la monografia Debito pubblico, domanda aggregata e accumulazione (Aracne editrice, 2002).