domenica, marzo 30, 2008

IL CAPITALISMO HA I GIORNI CONTATI

Il capitalismo ha i giorni contati. Con l’avvento delle nuove “economie straccione” dei paesi emergenti (p. es. Cina, India), i capitali delle nazioni industrializzate sono dirette verso questi paesi, convogliando una quantità abnorme di investimenti nel nome del profitto. Ciò finisce per aprire ancora di più la forbice della disuguaglianza tra classi sociali più ricche e classi sociali più povere, spazzando di fatto la classe media o quello che ne resta.
In nome di questo capitalismo selvaggio stiamo assistendo, quali spettatori, ad un arricchimento ulteriore delle classi dirigenti ed industriali, sempre più marcato.
Da quindici anni a questa parte, un gran numero di imprese transnazionali chiudono (o nella ipotesi più benevola, riducono), gli impianti che si trovano nei paesi occidentali, per trasferirli (nel linguaggio più crudo), in questi paesi in fase di espansione. Un classico esempio è quello in cui noi consumatori acquistiamo prodotti fabbricati in questi paesi, aumentando conseguentemente la disoccupazione in occidente.
In teoria si dovrebbe creare sviluppo in questi paesi e dovrebbe migliorare il tenore di vita delle popolazioni, però purtroppo non è cosi.
Le domande che sorgono spontanee sono: quanto durerà tutto questo? Se le popolazioni arriveranno tra 20 anni al massimo, ad equipararsi alle nostre abitudini di consumo (avendo un PIL, disoccupazione e IPC come le nostre società), saranno anche esse sature? Che succederà dopo? A chi si destineranno i nuovi prodotti, oppure, ci sarà un bacino di utenze atto a ricevere o consumare questi prodotti?
Dovremmo cambiare sistema economico, senza ombra di dubbio. Già lo prevedeva Marx, nei suoi scritti.
I dati della povertà in aumento sono molto preoccupanti, soprattutto in quelle nazioni pioniere del capitalismo. Per la disoccupazione altrettanto si è in crisi, per non parlare dell’incremento dei lavori atipici o a tempo determinato.
Ormai siamo diventati pedine di questo sistema-scacchiere e ci daranno scacco matto!
Il problema cruciale è: Quale sistema adottare in alternativa al capitalismo?, quali saranno le regole di funzionamento di questo nuovo sistema?.
Come ha scritto lo storico Hobsbawn in un giornale recentemente: “I paesi industrializzati si vedono a trattare con questi paesi emergenti in condizioni di parità. Perciò il nuovo equilibrio riguarderà i rapporti tra le antiche potenze e quelle emergenti”.
Per concludere credo anch’io come Hobsbawn, che dovremo tornare all’illuminismo, iniziare a credere nel progresso umano, con la ragione, la trasmissione del potere e l’azione collettiva.
Battaglia Salvatore Bruno

13 aprile: perché mi astengo

Chi mi conosce sa quanto disprezzi la democrazia liberale, democrazia di classe o borghese, e però non sono mai stato astensionista per principio, votare si può sia pure per motivi molto strumentali. In passato a volte l’ho fatto, sia pure con lo spirito e l’ironia di una nota canzone di Giorgio Gaber sulla democrazia, ma il 13 e il 14 aprile prossimo non voterò neanche scheda bianca e invito tutti a fare altrettanto e in maniera particolare i lettori della nostra rivista “Crisi e conflitti”.
Una premessa generale: c’è un solo voto inutile o disperso, come disse Vittorio Foa nel 1976, quello dato contro i propri interessi e le proprie idee e siccome credo che nessun partito in Italia oggi sia di sinistra (né antagonista né riformista), votare per i partiti che prendono per i fondelli i lavoratori mi pare assurdo e masochista: non voto per farmi castrare. Si dirà che Foa oggi vota per il PD, ma io parlo del Foa del 1976, oggi Vittorio Foa parla come un vecchio e onesto liberale ottocentesco, nel ’76 era per me un maestro e adesso non lo è più. Questo è tutto.
Ovviamente il mio disprezzo, totale, verso i partiti che si dicono eredi di una tradizione riformista va documentato.
A) La sinistra Arcobaleno
Bertinotti ne è il leader, parla con la R moscia, porta occhialini penduli e cravatte di Marinella, un “parvenu” anche esteriormente, che teorizza essere in Parlamento “la Chiesa della democrazia” (l’ho sentito io stesso in televisione): asserzione questa che sa molto più di “sinistra clericale” che non di sinistra antagonista. Evidentemente intere biblioteche scritte sulla crisi della democrazia rappresentativa negli ultimi 35 anni gli sono ignote, come gli è ignoto il fatto che le istituzioni le fanno gli uomini e gli uomini in questione (i nostri parlamentari) sono sommersi da documentatissime analisi che testimoniano i loro privilegi e il loro malcostume, unito ad una oceanica ignoranza a partire dalla storia patria (vedasi le famose interviste delle Iene sulla “cultura” dei nostri parlamentari).
Ragionando più politicamente il Sig. Bertinotti è stato sostenitore del primo Governo Prodi, che ha lasciato perché non contava assolutamente niente; in seguito, nel 2006, la sinistra antagonista è tornata al Governo e ha continuato a non contare niente , ma questa volta il Governo l’ha fatto cadere Mastella. Per non passare per coloro che chiedono tutto e subito hanno accettato il principio del niente mai e del calarsi le brache sempre. Così nel 2006 hanno accettato un regalo di 9 miliardi di euro ai padroni senza che gli operai ottenessero nulla, hanno combattuto contro lo scalone pensionistico di Berlusconi (60 anni per pensionarsi) ed hanno ottenuto che, sia pure gradualmente, lo scalone venisse elevato a 61 anni: un risultato trionfale. Che io possa prendere in considerazione l’idea di votare per questa gente anche per i più strumentali motivi, mi pare fuori dalla realtà. Bertinotti, dunque, vada con il suo look (occhialini, R moscia e cravatte di Marinella) nei salotti di Montezemolo dove non c’è dubbio che verrebbe bene accolto
B) Il Partito Democratico
Diceva De Gasperi che la DC era un partito di centro che guardava a sinistra, il PD è senza dubbio un partito di centro , ma guarda a destra. La campagna di Veltroni è un modello di rincorsa verso l’elettorato di destra quello di Calderoli e Storace. La Repubblica del 27 febbraio 2008 (pag. 7) pubblica una dichiarazione del suo candidato (è noto che quel giornale sostiene Veltroni) in base alla quale se la castrazione chimica fosse scientificamente valida per combattere la pedofilia sarebbe accettabile; accettabile da Veltroni non da Casini che di lì a poco esprimerà il suo scandalo per un Veltroni che insegue Calderoli, paladino della castrazione, siamo evidentemente davanti ad un nuovo tipo di riformismo, il riformismo “castrante”. Questo signore ignora evidentemente che tutti i sistemi giudiziari anche i più efficienti hanno un tasso non indifferente di errori, ed è questo l’argomento fondamentale contro le pene mutilanti e la pena di morte. A tal proposito il noto giallista inglese Yollop durante la campagna che portò, circa trent’anni or sono, all’abolizione della pena di morte in Inghilterra, colpì l’opinione pubblica del suo paese dimostrando che in cinque casi dei quali nessuno dubitava , la pena di morte era stata applicata ad innocenti; si noti che a quell’epoca la pena di morte era applicata con il contagocce per cui cinque casi di innocenti sono tantissimi. Che accadrà se la castrazione verrà applicata ad un innocente? Gli trapianteremo le “guarnizioni” togliendole ad un cane? Non mi sembra giusto, neanche per il cane. Questo Paese ha avuto tra i suoi vanti l’illuminismo giuridico: uno Stato italiano preunitario ha abolito la pena di morte nel 1783 (Gran Ducato di Toscana) l’Italia unita l’ha abolita nel 1889: Veltroni con queste proposte non si mette sotto i piedi solo la storia del movimento operaio ma anche (qui il ma anche è d’obbligo) quella migliore della nostra borghesia.
Quando insegui Storace questo ti succede.
Nel campo economico Veltroni propone di lottare contro le disuguaglianze riducendo tutte le aliquote Irpef di un punto l’anno per tre anni. Facciamo un po’ di conti: un lavoratore con 20 mila euro lordi l’anno di reddito, avrà un incremento dopo tre anni del 3% pari a 600,00 euro; un signore che guadagna 150 mila euro otterrà anch’egli un incremento del 3% pari a € 4.500,00, le disuguaglianze in realtà cresceranno. Per ridurle bisognerebbe operare sgravi fiscali inversamente proporzionali al reddito e cioè dare di più a chi ha meno, ma questo sarebbe una insopportabile “forma di comunismo” per Veltroni, terrorizzato dall’idea non dico di somigliare a Lenin ma di somigliare vagamente a Roosvelt o a Keynes. Costoro amano definirsi riformisti per motivi che sinceramente mi sfuggono.

La verità è assai semplice oggi, in Italia, non esiste nessun partito di sinistra, anche cautamente riformista, votare per costoro significa solo farsi prendere per i fondelli; naturalmente l’astensionismo non risolve il problema, ma pone la premessa minima per risolverlo e cioè l’acuirsi della crisi di consenso ad una democrazia rappresentativa che non rappresenta più nessuno (se non gli interessi forti fatti passare per interessi nazionali): per andare avanti bisogna sgombrare il campo dai cadaveri e questi partiti e questa democrazia mi sembrano appunto dei cadaveri, in avanzato stato di decomposizione.
Antonio Carlo

venerdì, marzo 28, 2008

il ' 68

il ‘68
Molte cose si dicono, per meglio dire, si sprecano sul ’68. Certo che abbiamo avuto lo Statuto dei Lavoratori e la Legge sul divorzio, come pure la Legge quadro sulla Sanità.
Senza sopravanzare un giudizio positivo su questo periodo, che abbiano influito le lotte operaie è certamente vero, che si è trattato delle condizioni particolari dello sviluppo del capitalismo uscito dalla seconda guerra mondiale, pure è vero. L’opposizione tra chi forza il giudizio sul primo o sul secondo elemento è una questione ancora in discussione. Non tanto per il periodo storico preso in sé; anche se ha rianimato le attuali argomentazioni elettorali dei berlusconiani, tuttavia è ormai argomento degli storici. Interessano invece le implicazioni che sul piano dell’organizzazione operaia sono attinenti all’attuale situazione, specie se consideriamo il movimentiamo che anima molte organizzazioni senza che si metta al centro l’organizzazione degli operai in partito.
Il fatto che con lo Statuto gli operai non si sono liberati dallo sfruttamento, e che specie gli strati bassi che non lavoravano nelle fabbriche statali hanno pagato il più duro prezzo del Boom economico, è anch’essa una verità. Anzi, che quest’ultimi hanno rappresentato l’ultimo atto di distruzione del capitale nell’economia di sussistenza che trovavano nell’agricoltura, sradicandoli dai loro paesi e dalle loro famiglie per agglomerarli nelle grandi città industriali del mondo intero, per farli diventare gli antesignani della Legge 30, del pacchetto Treu, delle agenzie interinali e della repressione politica nelle fabbriche, ecc ecc., ci esime dal fare un’apologia e sostenere la tesi di un ’68 tutto operaio.
Oltre a tutti i diritti conseguiti coerentemente con lo sviluppo di una società capitalisticamente democratica, il ’68 segna anche l’aggancio della pensione al salario, ottenuta solo a seguito degli scioperi dell’autunno ‘69.
Ma, col ’68 si conclude un periodo e si compie anche il definitivo passaggio della guida dell’INPS nelle mani di Confindustria e Sindacati.
Se quest’ultimo approdo storico ci fa dire che si tratta di un esproprio di cui dobbiamo tener presente per come i sindacati odierni contrattano sulle pensioni, gli operai però possono ben dire che niente gli è stato regalato.
Anzi, se diamo uno sguardo a ritroso nella Storia sul problema della Previdenza Sociale, questo giudizio è più che confermato, perché non troviamo mai in primo luogo lo Stato, anche se le prime pensioni risalgono al 1812 per i dipendenti statali della Francia, e al 1873 per quelli dell’Inghilterra.
Per gli operai invece troviamo le Società Operaie di Mutuo Soccorso, la cui prima riunione ebbe luogo a Torino il 20 ottobre 1850, e il primo congresso si tenne ad Asti nel 1853.
Trenta società operaie, di cui quattro femminili, discussero delle questioni della vecchiaia, dell'invalidità, dell'assistenza alle vedove ed orfani degli operai.
Al sesto congresso discussero anche le questioni riguardante l'orario di lavoro. Fu il primo tentativo di parte operaia di usare queste associazioni per lo sciopero contro i padroni. Ma, avvocati e professionisti d'ispirazione democratico - liberale, accolti come soci onorari, si opposero con successo a questa tendenza degli operai. Vinsero questi borghesi paternalisti, sia per il ruolo di direzione che avevano assunto, sia soprattutto perché possedevano la “cultura”.
Al fine di scongiurarne il sovversivismo operaio permeato dalle prime idee socialiste, fu messo in atto da intellettuali dello stampo del Depretis il primo tentativo, non riuscito, di regolarizzare per legge tali associazioni.
L’avvocato Agostino Depretis, quasi sempre membro delle commissioni permanenti e sostenitore dei fini esclusivamente assistenziali, al congresso di Voghera del 1857, si fece promotore insieme ad altri della richiesta di regolamentazione legislativa da inviare al governo. Nel 1859 era già governatore di Brescia, e nel 1876 ebbe l’incarico di formare il suo primo governo, incarico che alternò a quello di ministro per diventare di nuovo capo del governo nel 1881.
Nonostante tutto, l'evoluzione dello scontro tra le classi impresso dalla pericolosità di un movimento operaio indipendente che rifletteva la nascita a Milano del Partito Operaio nel 1882, e le rivendicazioni, seppur annacquate, che seguirono con la nascita del PSI nel 1892, posero alla classe dei padroni e quindi allo Stato, la questione non più rinviabile della Previdenza Sociale.
Ma lo Stato il 15 aprile del 1886 si limiterà a riconoscerà per legge le Società di Mutuo Soccorso solo per fini assistenziali.
Il riconoscimento statale e l'unificazione delle società mutualistiche che seguirà, lungi dal rappresentare il buonismo del Re e del Parlamento, era solo lo specchio legislativo delle rivendicazioni e della pericolosità del movimento operaio. Benché annunciato teoricamente col Manifesto del 1848 e con la parte pratica avuta nelle insurrezioni contro i residui della vecchia società feudale, gli operai già avevano fatto presagire lo spettro della Comune di Parigi del 1871.
Infatti, l'INPS è fondato nel 1933, ma esso assorbì le competenze della Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali fondata nel 1919, la quale a sua volta subentrò alla Cassa Nazionale di Previdenza per l'Invalidità e la Vecchiaia degli Operai, fondata nel 1898. A ritroso vediamo soltanto i primi movimenti operai, ed in quest’arco di tempo si è realizzata la rivoluzione operaia del ’17 in Russia.
Tutto questo dimostra che la borghesia, con tutto il denaro che possiede quale mezzo per comprare chiunque, non potrà mai comprare l’intera classe degli operai, e il suo carattere sociale è fatto solo di paura per la miseria che genera, perché sa che gli operai non si lasceranno ridurre in una massa di diseredati, amorfa e senza futuro.
Elp 18-3-2008

il ' 68

il professor Giulio Tremonti

Nei dibattiti televisivi per la compagna elettorale è solito usare l’argomento che la sinistra è fatta sempre degli stessi uomini, lui sarebbe il nuovo, eh eh eh ehe .

A metà degli anni settanta diventa docente di Diritto Tributario nell’Università di Padova, Macerata e Parma, e subito comincia a fare attività professionale in una società di consulenza e di intermediazione finanziaria, la Sem, nel cui consiglio di amministrazione entrerà il 12 giugno 1985.
Attraverso il meccanismo delle scatole cinesi, dalla Sem si giunge alla Eurogest, società che per prima, seguendo i finanzieri USA, introdusse la collocazione pubblica dei certificati di partecipazione a iniziative immobiliari: vengono definiti titoli atipici perché sono una specie di obbligazione che non garantiscono il rimborso del capitale investito. In quegli anni, oltre ad ottenere commissioni dal Vaticano, l’Eurogest, tramite una sua consociata, la Interpharos advisors, iniziò a fare affari anche sulla piazza di Mosca.
Negli anni ottanta Tremonti inizia a interessarsi di politica e collabora al Corriere della Sera per dieci anni, dal ’84.
Di famiglia liberale, si avvicina alle idee socialiste ed è candidato nel partito di Bettino Craxi alle politiche del 1987, ma già dal 1979 era consigliere dei Ministri delle Finanze, incarico che manterrà fino al 1990.
Lo sfaldamento della prima repubblica e la distruzione dei due maggiori partiti, la DC e il PSI, per mano della Magistratura, perché accusati e condannati per corruzione, vede Tremonti alleato di Mariotto Segni con quale viene eletto di nuovo deputato nel 1994. All’esaurimento di questo cartello elettorale – il Patto Segni- per via dell’avvento del maggioritario, Tremonti passa a Forza Italia e diventa Ministro dell’Economia e delle Finanze del primo governo Berlusconi, incarico che terrà fino al 2005.
Per anni è stato molto critico nei confronti dei condoni utilizzati dai vari governi della prima Repubblica: “ In sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni, ma mutando i fattori il prodotto non cambia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge” ( dal Corriere della Sera, 25 settembre 1991).
Quando fu ministro, Tremonti varò i condoni, ricevendo anche una denuncia da parte della Unione Europea nel 2002.
Nel 2004 dovette dimettersi. I conti della finanziaria risultavano truccati. Mancavano due miliardi di euro tra il preventivo delle entrate e la riduzione reali delle spese. Alle critiche della sua stessa maggioranza rispose che si trattava di escamotage contabile.
Nel 2005 sarà richiamato d'urgenza per stilare la Finanziaria 2006.
Fonte http://www.wikimedia.it/ e Internet

Da economista di Berlusconi, a parte le fantasiose proposte di vendere le spiagge ai privati per 100 anni, o introdurre la pornotax del 25%, la proposta di stampare biglietti di carta da un euro anzicchè far circolare la moneta metallica, come vedremo, riconferma il suo ruolo di manipolatore economico. Certamente pensava alla differenza che esiste tra la carta stampata e il valore che indubbiamente contiene la moneta metallica.
Ma era un artifizio che fu rifiutato dagli organismi economici, perché quel valore stampato sulla carta avrebbe alterato il parametro di Mastricht del 3% tra deficit pubblico e Prodotto Interno Lordo.
Un artifizio che a Napoli avrebbe guadagnato l’appellativo di “Bancunaro” – erano faccendieri senza lavoro che dal dopoguerra, fino agli anni settanta, allietavano le feste di paese con baracconi dove venivano messi in palio pacchi in cui c’erano regali al di sopra del valore del biglietto di partecipazione, ma che nessuno mai vinceva – .

Assieme a Berlusconi, che ha scoperto la nuova professione di Fachiro per risolvere i problemi dei lavoratori al grido di “Alzati Ali-Italia!”, formano una inossidabile coppia. Ma deve essere ricordato anche come l’inventore del meccanismo dell'otto per mille sull'Irpef.
Studiato quand’era consulente del governo Craxi, sulle pagine del Sole 24 Ore dell'84, fu definito una mostruosità giuridica, perché assegna alla Chiesa cattolica anche donazioni non espresse. Infatti, il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille", ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse, il Vaticano si accaparra quasi il 90 per cento del totale.
Al momento il nuovismo di Tremonti non trova opposizione, perché la cosiddetta sinistra non ha il coraggio di confessarlo apertamente.
Difatti al protezionismo dichiarato di Tremonti che vede realisticamente il mercato pieno di merci cinesi, alle quali vuole porre limiti doganali, qual è la differenza che oppone la sinistra quando predica la ricerca scientifica per introdurre nelle merci più valore aggiunto? La differenza è che Tremonti, pragmatico com’è, vede il suo paese minacciato, mentre la sinistra che è più dialettica, vede il mercato mondiale e la possibilità di infrangerne la concorrenza con nuovi prodotti ad alta tecnologia, che possono funzionare come un monopolio con il quale drenare più ricchezza nello scambio con gli altri paesi.
Se questa è la differenza che li distingue nella politica verso i capitalisti concorrenti, resta un punto fermo tra loro: per gli operai deve esserci più produttività e salari sempre meno corrispondenti alla ricchezza che producono, ed una società che nel suo complesso va sempre più in basso.
È questo il destino cui vogliono indurre gli operai. Ma, una folta schiera di loro hanno più che compreso che le merci, pur rappresentando il terreno della concorrenza, all’opposto, possono anche rappresentare il terreno della loro solidarietà internazionale. Perché sono fatte dalle stesse persone: gli operai.
Allora per Tremonti finirà il bel tempo in cui poter fare battutine cui nessuno può rispondergli.
Elp 26-3- 2008

Il prof. Giulio Tremonti

jil professor Giulio Tremonti

Nei dibattiti televisivi per la compagna elettorale è solito usare l’argomento che la sinistra è fatta sempre degli stessi uomini, lui sarebbe il nuovo, eh eh eh ehe .

A metà degli anni settanta diventa docente di Diritto Tributario nell’Università di Padova, Macerata e Parma, e subito comincia a fare attività professionale in una società di consulenza e di intermediazione finanziaria, la Sem, nel cui consiglio di amministrazione entrerà il 12 giugno 1985.
Attraverso il meccanismo delle scatole cinesi, dalla Sem si giunge alla Eurogest, società che per prima, seguendo i finanzieri USA, introdusse la collocazione pubblica dei certificati di partecipazione a iniziative immobiliari: vengono definiti titoli atipici perché sono una specie di obbligazione che non garantiscono il rimborso del capitale investito. In quegli anni, oltre ad ottenere commissioni dal Vaticano, l’Eurogest, tramite una sua consociata, la Interpharos advisors, iniziò a fare affari anche sulla piazza di Mosca.
Negli anni ottanta Tremonti inizia a interessarsi di politica e collabora al Corriere della Sera per dieci anni, dal ’84.
Di famiglia liberale, si avvicina alle idee socialiste ed è candidato nel partito di Bettino Craxi alle politiche del 1987, ma già dal 1979 era consigliere dei Ministri delle Finanze, incarico che manterrà fino al 1990.
Lo sfaldamento della prima repubblica e la distruzione dei due maggiori partiti, la DC e il PSI, per mano della Magistratura, perché accusati e condannati per corruzione, vede Tremonti alleato di Mariotto Segni con quale viene eletto di nuovo deputato nel 1994. All’esaurimento di questo cartello elettorale – il Patto Segni- per via dell’avvento del maggioritario, Tremonti passa a Forza Italia e diventa Ministro dell’Economia e delle Finanze del primo governo Berlusconi, incarico che terrà fino al 2005.
Per anni è stato molto critico nei confronti dei condoni utilizzati dai vari governi della prima Repubblica: “ In sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni, ma mutando i fattori il prodotto non cambia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge” ( dal Corriere della Sera, 25 settembre 1991).
Quando fu ministro, Tremonti varò i condoni, ricevendo anche una denuncia da parte della Unione Europea nel 2002.
Nel 2004 dovette dimettersi. I conti della finanziaria risultavano truccati. Mancavano due miliardi di euro tra il preventivo delle entrate e la riduzione reali delle spese. Alle critiche della sua stessa maggioranza rispose che si trattava di escamotage contabile.
Nel 2005 sarà richiamato d'urgenza per stilare la Finanziaria 2006.
Fonte http://www.wikimedia.it/ e Internet

Da economista di Berlusconi, a parte le fantasiose proposte di vendere le spiagge ai privati per 100 anni, o introdurre la pornotax del 25%, la proposta di stampare biglietti di carta da un euro anzicchè far circolare la moneta metallica, come vedremo, riconferma il suo ruolo di manipolatore economico. Certamente pensava alla differenza che esiste tra la carta stampata e il valore che indubbiamente contiene la moneta metallica.
Ma era un artifizio che fu rifiutato dagli organismi economici, perché quel valore stampato sulla carta avrebbe alterato il parametro di Mastricht del 3% tra deficit pubblico e Prodotto Interno Lordo.
Un artifizio che a Napoli avrebbe guadagnato l’appellativo di “Bancunaro” – erano faccendieri senza lavoro che dal dopoguerra, fino agli anni settanta, allietavano le feste di paese con baracconi dove venivano messi in palio pacchi in cui c’erano regali al di sopra del valore del biglietto di partecipazione, ma che nessuno mai vinceva – .

Assieme a Berlusconi, che ha scoperto la nuova professione di Fachiro per risolvere i problemi dei lavoratori al grido di “Alzati Ali-Italia!”, formano una inossidabile coppia. Ma deve essere ricordato anche come l’inventore del meccanismo dell'otto per mille sull'Irpef.
Studiato quand’era consulente del governo Craxi, sulle pagine del Sole 24 Ore dell'84, fu definito una mostruosità giuridica, perché assegna alla Chiesa cattolica anche donazioni non espresse. Infatti, il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille", ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse, il Vaticano si accaparra quasi il 90 per cento del totale.
Al momento il nuovismo di Tremonti non trova opposizione, perché la cosiddetta sinistra non ha il coraggio di confessarlo apertamente.
Difatti al protezionismo dichiarato di Tremonti che vede realisticamente il mercato pieno di merci cinesi, alle quali vuole porre limiti doganali, qual è la differenza che oppone la sinistra quando predica la ricerca scientifica per introdurre nelle merci più valore aggiunto? La differenza è che Tremonti, pragmatico com’è, vede il suo paese minacciato, mentre la sinistra che è più dialettica, vede il mercato mondiale e la possibilità di infrangerne la concorrenza con nuovi prodotti ad alta tecnologia, che possono funzionare come un monopolio con il quale drenare più ricchezza nello scambio con gli altri paesi.
Se questa è la differenza che li distingue nella politica verso i capitalisti concorrenti, resta un punto fermo tra loro: per gli operai deve esserci più produttività e salari sempre meno corrispondenti alla ricchezza che producono, ed una società che nel suo complesso va sempre più in basso.
È questo il destino cui vogliono indurre gli operai. Ma, una folta schiera di loro hanno più che compreso che le merci, pur rappresentando il terreno della concorrenza, all’opposto, possono anche rappresentare il terreno della loro solidarietà internazionale. Perché sono fatte dalle stesse persone: gli operai.
Allora per Tremonti finirà il bel tempo in cui poter fare battutine cui nessuno può rispondergli.
Elp 26-3- 2008

vita da operai

Questioni d’inizio anno 2008: La vita degli operai.

L’anno che si è chiuso e quello che comincia ad incamminarsi verso primavera è stato costellato da innumerevoli casi di incidenti mortali sul lavoro. Ciò che è avvenuto alle acciaierie Thyssen, ha scoperchiato le responsabilità del mondo delle imprese. Le morti sul lavoro sono uscite dalla considerazione pubblicistica della marginalità delle piccole imprese. Con la Thyssen, ma anche con l’ILVA di Taranto, si è riaperta la questione del lavoro Killer, la media nazionale delle morti è passata da tre degli anni passati a quattro al giorno, la gravità sociale del fenomeno ha sommerso l’intero ambiente politico. E ciò conferma quanto da tempo abbiamo sostenuto sulla questione amianto: prima ti fanno sgobbare fino a rimetterci la vita, e solo dopo arriva qualche legge che tenta di arginare per ricondurre il fenomeno nelle compatibilità fisiologiche del sistema.
Nonostante questo, gli operai tornano al centro della scena.
Addirittura il segr. del PdCI Diliberto rinuncia alla sua candidatura nella lista Arcobaleno per far posto a Ciro Argentino, delegato sindacale della Thyssen. Un altro operaio è candidato nel PD di Veltroni, perché ha sposato in pieno la tesi che può esserci un accordo tra i produttori. Così ha definito Veltroni gli operai che mettono braccia e intelligenza, la quale, tranne brevi periodi storici, non è mai stata pagata, e i capitalisti che impiegano il loro capitale.
Ci può essere un accordo simile? Tranne ovviamente gli accordi di tipo sindacale, e non mi riferisco a quelli che firmano le attuali organizzazioni sindacali, perché niente posso aggiungere alla già matura critica che i lavoratori gli fanno, ma considero l’ipotesi di accordi migliori, ed anche in questo caso la risposta è NO! Non ci può essere un accordo tra il capitale e il lavoro.
L’ esempio di cui mi servirò per dimostrare l’infodatezza di questo accordo è tratto dalla discussione che K. Marx sostenne a Londra nel 1865, in una serie di conferenze dell’Internazionale Operaia da un anno appena fondata, il cui contenuto è stato pubblicato col titolo “Salario, Prezzo e Profitto”.
In quell’occasione Marx trattò vari argomenti:
1 - Dimostrò che l’aumento o la diminuzione del salario non intacca la legge del valore. In determinate condizioni di stabilità tra capitale e lavoro la merce prodotta ha sempre lo stesso valore. Per cui, la diminuzione o l’aumento del salario significano soltanto il relativo aumento o diminuzione del profitto, e non già la scomparsa di esso quale incarnazione della classe capitalistica e del suo “circolo infernale” dei prezzi e dei salari.
2- Precisato questo punto, come un principio da cui non si può deviare, passò ad esaminare la dinamica economico - sociale del capitale, i cui due elementi essenziali sono la concorrenza e la concentrazione.
3- Dalle conclusioni su questo secondo punto che illustrerò di seguito, Marx passò ad esaminare tutte le possibili azioni che gli operai potevano portare avanti sul terreno sindacale. Non le giudicò né insensate né irrealistiche. Anzi, dimostrò che esse erano una necessità da cui gli operai non potevano sfuggire, e che tutte le resistenze dei capitalisti, giustificate secondo la tesi che l’aumento dei salari faceva aumentare i prezzi, era infondata, e mirava a sfiancare gli operai nella loro lotta facendola apparire una cosa inutile. Ma avvertì che questo tipo di lotta non combatteva le cause della miseria degli operai, ma gli effetti di queste cause, e mise in guardia gli operai dalla inefficienza e dal modo con cui si portava avanti questa lotta, cioè mise in guardia gli operai sul modo irrazionale di come i sindacati organizzavano e gestivano la forza che essi mettevano in campo contro i padroni.

L’operaio che avrà la pazienza e saprà sottomettersi a questo ulteriore sacrificio dello studio di questo piccolo libro, costaterà quanto siano attuali i giudizi e quanto siano preziose le indicazioni che Marx offrì alla lotta per l’emancipazione dallo sfruttamento.
Anche se una parte del contenuto di questo libro trova largo uso nella cosiddetta “politica dei redditi”, che con parole più roboanti quali “giustizia sociale” o “redistribuzione sociale della ricchezza”, viene presentata dai sinistri come ultima spiaggia, l’ulteriore sviluppo dell’analisi di Marx, di cui il punto 2 è la premessa, ci fa capire non solo che la politica dei redditi è un imbroglio dei padroni, benché si presenti con un lato positivo, ma scopriremo addirittura che in determinate condizioni si arriva alla sua stessa impossibilità.
Le condizioni attuali lo dimostrano a sufficienza. Alla insopportabile condizione economica dei lavoratori che in quest’anno fuoriesce dall’inferno della loro vita, la borghesia risponde accorgendosi della loro miseria. Non perché produttori espropriati della ricchezza che producono, per la quale si dovrebbe stabilire in via del tutto pacifica un aumento dei salari, ma perchè la loro miseria deprime i consumi e quindi la produzione industriale e la crescita economica della società. Quindi l’unica risposta che i capitalisti, con tutto il loro apparato borghese di politici e sindacalisti sanno offrire, è sempre di aumentare i loro profitti, perchè questo significa quando di pretende un nuovo aumento di produttività come unica possibilità di aumentare i salari, che come sappiamo sarà del tutto effimero.

Ci può essere quindi un accordo tra gli operai e i padroni secondo quanto abbiamo specificato prima?
In quelle discussioni dell’Internazionale Marx giunse alla considerazione finale: ” La lotta fra capitale e lavoro e i suoi risultati”- pag. 105 libro citato, Editori Riuniti, va edizione, 1955-: […]. Con lo sviluppo della produttività del lavoro, l’accumulazione di capitale è molto accelerata,… Si potrebbe dunque concludere… che questa accumulazione… debba far traboccare la bilancia a favore dell’operaio, in quanto crea una domanda crescente di lavoro. […]. Ma parallelamente all’accumulazione progressiva del capitale ha luogo una modificazione crescente della composizione del capitale. Quella parte del capitale fisso, macchine, materie prime, mezzi di produzione di ogni genere, aumenta più rapidamente di quell’altra parte del capitale che viene investita in salari, cioè per comprare lavoro. […].
Se inizialmente il rapporto tra questi due elementi del capitale era uno a uno, con il progresso dell’industria esso diventa cinque a uno, e via di seguito.
- Infatti, ndr - Se di un capitale globale di seicento, si investono trecento parti in strumenti di lavoro, materie prime, ecc., e trecento in salari, basta raddoppiare il capitale globale per creare una domanda di seicento operai invece di 300.
Ma se dello stesso capitale di 600, cinquecento parti sono investite in macchinari, materie prime, ecc., e soltanto 100 in salari, questo capitale globale deve salire da 600 a 3600 per creare una domanda di 600 operai invece che di 300. Con il progresso dell’industria la domanda di lavoro non procede dunque di pari passo con l’accumulazione del capitale. Essa aumenterà indubbiamente, ma in proporzioni continuamente decrescente rispetto all’aumento del capitale. […]. Queste poche indicazioni basteranno per mostrare che proprio lo sviluppo dell’industria moderna deve far pendere la bilancia sempre più a favore del capitalista, contro l’operaio, e che per conseguenza la tendenza generale della produzione capitalistica non è all’aumento del livello medio dei salari, ma alla diminuzione di esso, cioè a spingere il valore del lavoro, su per giù, al suo limite più basso.
Se tale è in questo sistema la tendenza delle cose, ciò significa forse che la classe operaia deve rinunciare alla sua resistenza contro gli attacchi del capitale e deve abbandonare i suoi sforzi per strappare dalle occasioni che le si presentano tutto ciò che può servire a migliorare temporaneamente la sua situazione? Se essa lo facesse, essa si ridurrebbe al livello di una massa amorfa di affamati e disperati a cui non si potrebbe più dare nessun aiuto.[…].
Credo di aver dimostrato che le lotte della classe operaia per il livello dei salari sono fenomeni inseparabili da tutto il sistema del salario, che in 99 casi su 100 i suoi sforzi per l’aumento dei salari non sono che tentativi per mantenere integro il valore dato del lavoro, e che la necessità di lottare contro il capitalista per il prezzo del lavoro dipende dalla sua condizione, dal fatto che essa è costretta a vendersi come merce. […]. Nello stesso tempo la classe operaia, …non deve esagerare a se stessa il risultato finale di questa lotta quotidiana. […], che scaturisce incessantemente dagli attacchi continui del capitale o dalle oscillazioni del mercato. Essa deve comprendere che il sistema attuale, con tutte le miserie che accumula sulla classe operaia, genera, ed è nello stesso tempo gravido delle condizioni materiali e delle forme sociali necessarie per una trasformazione e ricostruzione economica della società. Invece della parola d’ordine conservatrice: “Un salario giusto per un giusto lavoro”, gli operai devono scrivere sulla loro bandiera la parola d’ordine rivoluzionaria: “Soppressione del sistema del lavoro salariato”. […].

Ma perché lo sviluppo dell’industria fa pendere la bilancia a favore dei capitalisti e contro gli operai?
L’esercito industriale di riserva
K. Marx
da - Il Capitale, vol. I Editori Riuniti 1997 pag. 688 / 701.
e - Il Capitale, Newton Compton Editori 1976, pag. 853 / 852 -

[…]. L’accumulazione del capitale, che all’inizio appariva come una sua estensione quantitativa, si realizza, come abbiamo visto, attraverso un costante cambiamento qualitativo della sua composizione, in un costante aumento della sua parte…costante - fissa - a spese di quella variabile - salari -. […]. L’accumulazione capitalistica…produce in continuazione, ed esattamente in rapporto alla propria energia e alla propria entità, una popolazione operaia relativa, cioè eccedente alle esigenze medie di valorizzazione del capitale, quindi superflua ossia supplementare. […]. Ma se una sovrappopolazione operaia è il prodotto necessario dell’accumulazione, ossia dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa sovrappopolazione diventa a sua volta la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico.
Essa costituisce un esercito industriale di riserva disponibile che appartiene al capitale in maniera così completa come se quest’ultimo l’avesse allevato a sue proprie spese, e crea per i mutevoli bisogni di valorizzazione del capitale il materiale umano sfruttabile sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione. […]….per godere di un libero gioco, per avere mano libera… […].
L’esercito industriale di riserva, …. è quindi lo sfondo sul quale si muove la legge della domanda e della offerta del lavoro. […]. Quelli che vengono resi liberi, non sono soltanto gli operai soppiantati direttamente dalle macchine, ma in egual misura anche i loro sostituti regolari e il contingente addizionale, che viene di solito assorbito regolarmente quando l’impresa si estende sulla vecchia base - della composizione del capitale, cioè della ripartizione tra capitale fisso e capitale variabile n.dr. -. […].
Che assuma questi o altri operai, l’effetto sulla domanda generale del lavoro sarà uguale a zero, fintantoché questo capitale sarà esattamente sufficiente a liberare il mercato di quello stesso numero di operai che le macchine vi hanno gettato.
Se esso ne occuperà un numero minore, la massa degli operai in soprannumero crescerà; se ne occuperà un numero maggiore, la domanda generale del lavoro crescerà soltanto dell’eccedenza degli operai occupati su quelli “messi in libertà”.[…].
Il che significa quindi che il meccanismo della produzione capitalistica fa in modo che l’aumento assoluto del capitale non sia accompagnato da un corrispondente aumento della domanda generale di lavoro. […].
Quindi, non appena gli operai penetrano il mistero e si rendono conto come possa avvenire che, nella stessa misura che lavorano di più, …. perfino la loro funzione di valorizzazione del capitale diventa più precaria per essi; non appena scoprono che il grado d’intensità della concorrenza fra loro stessi dipende in tutto dalla pressione della popolazione relativa; non appena quindi cercano mediante Trade Unions, ecc., di organizzare una cooperazione sistematica fra gli operai occupati e quelli disoccupati per spezzare o affievolire le rovinose conseguenze che quella legge naturale della produzione capitalistica ha per la loro classe, - il capitale, e il suo sicofante, l’economista, strepitano su una violazione della “eterna” e per così dire “sacra” legge della domanda e della offerta.
Ogni solidarietà fra operai occupati e quelli disoccupati turba infatti l’azione “pura” di quella legge. Non appena,…circostanze avverse impediscono la creazione dell’esercito industriale di riserva e insieme impediscono la dipendenza assoluta della classe operaia dalla classe dei capitalisti, il capitale si ribella…contro la “sacra” legge della domanda e della offerta e cerca di raddrizzarla con mezzi coercitivi. […].

La risposta degli operai:
Se gli scioperi hanno più che dimostrato una tendenziale forza d’urto, per come sono portati avanti dalle centrali sindacali, si dimostrano invece del tutto svilite. Per questo è necessario che agli scioperi deve seguire una Coalizione degli Operai. Per le questioni finora toccate molto alla larga per dimostrare quanto è illusorio, ma anche quanto sia banditesco proporre in politica degli operai che si fanno portavoce di simili sciocchezze, il processo di unità operaia, pur vertendo sui caratteri di difesa, non può prescindere dalla necessità di incamminarsi verso la realizzazione più piena e sempre più fondata di un Partito politico indipendente degli operai.
Perché ai due operai della Thyssen voglio porre la seguente domanda: se invece di questioni legate ai salari e alla distribuzione sociale della ricchezza, che è bene sempre precisare che sono gli operai stessi a produrla, dovremmo discutere, ad esempio, dei materiali che si usano nella produzione, come pure dei processi chimici e tecnologici, che sappiamo hanno prodotto e produrranno nel prossimo futuro la morte per gli operai, che per l’Europa si aggira su 200 mila nuovi casi mortali, come il solo caso amianto dimostra, che spazio avrebbero le loro illusioni benché mosse da nobile intento?
Affinché la vita degli operai fuoriesca dalla casualità, è necessario che siano essi stessi padroni del ciclo produttivo. Un materiale che è nocivo per la salute o non si mette in produzione, oppure, se è necessario, lo si adopera con le migliori precauzioni possibili, e ciò nella società capitalistica, per il profitto che vi deve dominare, può avvenire sempre fino ad un certo punto. Perché la necessità è sempre il regno della schiavitù, e soltanto con il potere degli operai può accadere che sia relegata nelle cose inservibili, man mano che cresce il loro potere di indurre anche la scienza verso programmi dal contenuto sociale, anzicchè dal lato della utilità e profittabilità privata.
Da questo punto di vista è quanto mai risibile l’entrata di questi nuovi apostoli operai nell’arena famelica della politica borghese.
Perché se uno si domanda quali sono i mezzi coercitivi di cui Marx parla per raddrizzare la legge capitalistica della domanda e dell’offerta del lavoro, scoprirebbe che essi sono il protezionismo economico fino al fascismo interno e l’imperialismo esterno che stiamo vedendo in Palestina, in Iraq, in Afghanistan, in Cecenia. A questi mezzi pratici non si può opporre né l’egemonia basata sulle chiacchiere, né l’opinione pubblica pacifista, che, benchè sarà chiamata a svolgere un ruolo, esso lo potrà avere soltanto in presenza di una rottura rivoluzionaria in un punto del mercato mondiale. Ed è in quest’ottica che deve essere indirizzato il lavoro della formazione del Partito politico indipendente degli operai.
Elp. 15/16 – 3 - 2008