tag:blogger.com,1999:blog-17197253.post7282738250003481368..comments2023-10-28T10:30:06.703+02:00Comments on crisieconflitti.it: Risposta ad Andrea Vitalelunanerahttp://www.blogger.com/profile/11981461643656257419noreply@blogger.comBlogger1125tag:blogger.com,1999:blog-17197253.post-57224578909953454642007-03-08T23:19:00.000+01:002007-03-08T23:19:00.000+01:00Andrea così replicaCaro Salvatore,sono convinto ch...Andrea così replica<BR/><BR/><BR/>Caro Salvatore,<BR/>sono convinto che sia ora di porre una questione di metodo nel dibattito che da un po’ ci vede protagonisti. Prima di farlo, però, non posso esimermi dal rispondere nel merito di alcune considerazioni da te svolte, visto che con garbo, ma in maniera niente affatto celata, mi accusi di minoritarismo e settarismo, nonché di positivismo e determinismo.<BR/>Nel tuo scritto sintetizzi in 4 punti il mio commento al tuo lavoro su fordismo e postfordismo.<BR/>I primi due punti possono tranquillamente essere fusi, in quanto in sostanza essi si riferiscono al mio rifiuto di periodizzare il capitalismo con le categorie di fordismo e postfordismo, periodizzazione che si fonda sull’arbitrario accostamento di caratteristiche particolari del ciclo economico all’una o all’altra forma di organizzazione del lavoro. Il fordismo sarebbe l’epoca dello sviluppo, della produzione di massa, del primato della fabbrica sul mercato, del compromesso fra operai e capitale; il toyotismo l’epoca della stagnazione, del dominio del mercato sulla fabbrica, della disoccupazione e della precarietà crescenti. A tal proposito tu mi fai notare che il fordismo è nato negli USA durante una fase espansiva (prebellica) e si è affermato in Europa in un’altra fase espansiva, il secondo dopoguerra. Ne deduci che “sia per la sua nascita sia per la sua affermazione è possibile constatare un nesso preciso tra crescita economica ed organizzazione fordista del lavoro, contrariamente a quanto affermi nella tua lettera”. In realtà, l’unico nesso preciso che questo dato ci fornisce è che per estendere una nuova organizzazione del lavoro si ha bisogno di investimenti e che questi sono più abbondanti, ovviamente, nelle fasi espansive, che vedono così l’affermarsi dei nuovi metodi. Se c’è un nesso preciso è, quindi, solo quello fra crescita economica e affermazione dell’organizzazione fordista, non quello fra la prima e l’organizzazione fordista in quanto tale. Questo nesso, per cui sarebbe valida l’equazione fordismo = sviluppo economico, resta ancora tutto da dimostrare. Lo stesso tuo ragionamento, confermando implicitamente che il fordismo è esistito anche in una fase di grave crisi economica e sociale del capitale (dal ’29 alla fine degli anni ’40 – per evitare polemiche secondarie, tralascio il “piccolo particolare” della prima guerra mondiale) finisce col dimostrare il contrario di quello che intendevi sostenere, finisce cioè col confermare la completa compatibilità fra l’organizzazione fordista e le fasi basse o di crisi acuta del ciclo. Del resto, ti sei chiesto quando si è sviluppato in Giappone il toyotismo? Esattamente fra gli anni ’50 e ’70, epoca di grande sviluppo. Allora potremmo dire, seguendo il tuo esempio, che anche per questo tipo di organizzazione del lavoro è “dimostrato” il nesso preciso con la crescita economica, ed ecco che tutta la tiritera sulla differenziazione fra i due metodi andrebbe a farsi benedire.<BR/>E’ proprio questo metodo di accomunare più o meno arbitrariamente fenomeni differenti fra loro, giocando sul fatto che esiste comunque una loro interrelazione (metodo che ci fa giungere, come abbiamo visto, a risultati contraddittori), che io ho voluto mettere in discussione nel precedente scritto. Certo tu puoi vantarti di essere con le tue posizioni in buona compagnia, riferendoti a Revelli, Fumagalli, Bonomi (e perché non ad Aglietta?), io mi accontento di restare col buon vecchio Marx, che tratta diffusamente dell’organizzazione del lavoro capitalistico nella IV sezione del Libro I del Capitale, “La produzione del plusvalore relativo”. Siamo a livello di processo di produzione del capitale, mentre nel Libro II Marx tratterà del processo di circolazione del capitale e nel Libro III del processo complessivo di produzione capitalistico. E’ questo di Marx un metodo atomistico, deterministico e settario, oppure è il corretto procedimento per stabilire i nessi concreti e reali dei fenomeni che si vuole analizzare? Il tuo richiamo al concetto marxiano di totalità organica qui è fuorviante, perché Marx non si ferma a cogliere l’interdipendenza e l’azione reciproca fra produzione, distribuzione, scambio, politica e ideologia, ma ne dispiega con lucidità i nessi interni.<BR/><BR/>Il risultato al quale perveniamo non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo siano identici, bensì che essi tutti sono momenti di una totalità, differenze all’interno di un’unità. La produzione predomina sia su se stessa nella sua determinazione antitetica, sia sugli altri momenti. Da essa il processo ricomincia sempre di nuovo. …… Una produzione determinata determina quindi un consumo, una distribuzione e uno scambio determinati, oltre che determinati rapporti reciproci fra questi differenti momenti. E’ però vero che anche la produzione, nella sua forma unilaterale, è a sua volta determinata dagli altri momenti.<BR/><BR/>Ma siamo giunti, così, alla “terza obiezione”, quella cioè sull’uso che tu fai degli “idealtipo” e della critica da me svolta al riguardo. Non mi soffermo sulla “valenza esclusivamente euristica, conoscitiva e non essenzialistica” che attribuisci loro, dato che mi sembra contraddittorio che tu subito dopo ne rivendichi la coerenza con numerosi e approfonditi studi concreti, in una presunta perfetta sintonia con lo schema marxiano concreto – astratto – concreto (Marx nel descrivere il percorso del pensiero che dal concreto sale all’astratto per giungere al concreto come sintesi di molte determinazioni, precisa che “le categorie esprimono forme di esistenza, determinazioni dell’esistenza”, che è tutt’altra cosa dei tuoi idealtipo). Quello che invece ritengo assolutamente importante è che in realtà questi idealtipo ci mostrano non ciò che fordismo e toyotismo sono (anche se in forma estremizzata, pura), ma ciò che credono di essere, per giunta nella traduzione di sinistra di questa ideologia. La misura della giustezza di questa mia affermazione sta, come ho sottolineato nel mio scritto precedente, nell’incapacità di queste letture di dar conto a fondo dell’esperienza più pura in Italia del toyotismo, la Sata di Melfi.<BR/>Il voler restare ancorato a questa visione ideologica ti spinge anche su un terreno minato per quanto riguarda l’analisi dello Stato (e siamo alla quarta questione). Qui si tratta del rifiuto netto da parte mia della concezione ideologica che vede lo Stato terreno neutrale di compromesso fra le classi, uno Stato il cui ruolo sarebbe quello di redistribuzione della ricchezza. Di quale compromesso parli? Quale redistribuzione intendi? Lo Stato non è super partes, è sempre lo strumento di dominio di una classe sull’altra, deve sempre garantire il “normale” sfruttamento degli operai. La redistribuzione della ricchezza è nient’altro che distribuzione del plusvalore sociale estorto agli operai in primo luogo ai singoli capitalisti e, in secondo luogo, alle altre classi, che in una maniera o nell’altra, partecipano al banchetto. Se storicamente, secondo te è stato altro, allora dovresti quantomeno dimostrarlo. Certo le forme in cui lo Stato assolve alla sua funzione cambiano in rapporto all’evoluzione della società e noi non possiamo essere indifferenti a queste forme, ma fermarsi alle modifiche delle forme senza coglierne la continuità nei contenuti è cosa estremamente pericolosa per chi tende, come tu dici, al superamento dell’esistente.<BR/>Mi fermo qui nelle precisazioni, ma prima di affrontare la questione di metodo che ti avevo preannunciato, voglio completare il discorso toccando brevemente alcuni altri aspetti che hai trattato.<BR/>Tu dici che io sono il rappresentante di un’associazione operaista. Niente di più sbagliato. Questo tuo giudizio dimostra la maniera preconcetta con cui tu ti approcci alla nostra posizione. L’operaismo è stata una corrente del marxismo che ha affermato che le lotte operaie sono il motore dello sviluppo capitalistico. Una lettura idealistica e unilaterale della lotta di classe, che nega, nei fatti, l’assunto marxiano che il limite del capitale è il capitale stesso. Una lettura che ha avuto la sua coerente evoluzione nelle teorie negriane sull’operaio sociale prima e sull’impero e la moltitudine poi. Una lettura nei cui confronti tu offri sostanziose concessioni, quando vedi unilateralmente il toyotismo come risposta capitalistica alla conflittualità operaia o, parallelamente, le modifiche della forma stato come risposta ai processi di lotta. L’esagerazione del ruolo di questi aspetti soggettivi, la sottovalutazione della spinta del capitale ad estrarre plusvalore relativo e ad adeguare la macchina statale alle esigenze dell’accumulazione spinge inevitabilmente allo sterile ribellismo o all’impotenza politica, se non direttamente al riformismo. Unilateralismo che di fronte ad un discorso a piombo fatto da un operaio sulla questione centrale di chi produce la ricchezza e chi se ne appropria e sulla necessità storica degli operai di risolvere questa contraddizione, ti suscita solo la preoccupazione di meccanicismo. Ma secondo te chi dovrebbe espropriare gli espropriatori? E questa espropriazione sarebbe possibile se non ne esistessero già in questa società le condizioni? Sarebbe possibile se gli operai non raggiungessero la coscienza della sua possibilità e necessità? Ma appunto questa è la vera questione su cui ti invito a riflettere: quale classe deve compiere quest’opera che la crisi sociale ci impone sempre più come necessaria? Gli operai o le altre varie e variegate forme del lavoro dipendente? Se per te siamo settari e minoritari perché sosteniamo, con Marx, che questa classe è quella degli operai, allora ti invito ad indicarmi quale è per te il nuovo soggetto rivoluzionario, sperando che non cada anche tu nella palude delle moltitudini di negriana memoria.<BR/><BR/>Spero di essere stato esaustivo, anche per la vastità di argomenti che mi hai costretto a toccare in così breve spazio.<BR/>Passo perciò alla questione di metodo.<BR/>Su vostro invito ho partecipato all’incontro del 27 gennaio. Su vostro invito ho preparato una sintesi dell’intervento per la pubblicazione sul blog. L’intervento non è mai stato pubblicato. Della cosa non mi dolgo, ma se a questo punto dobbiamo continuare il confronto fra noi in maniera privata, come è stata finora, credo che la forma scritta sia la meno adatta. Tanto vale incontrarsi personalmente, magari a casa mia a prendere un caffè, e in meno tempo sarà più facile personalmente chiarire le rispettive posizioni, senza gli equivoci e gli irrigidimenti che il dialogo scritto naturalmente comporta. Per quanto riguarda la collaborazione al forum, non abbiamo niente in contrario in linea di principio (non perché voglia “intercettare” altri soggetti sociali, ovviamente), ma se questo significa che non possiamo esprimere (come nei fatti è stato finora) sullo stesso strumento della rivista i nostri pareri sulle elaborazioni complessive che la redazione produce anche in virtù dell’esperienza eventuale del forum, allora è meglio dire da subito che a tale forma di partecipazione “ingessata” non siamo interessati.<BR/>Fammi sapere.<BR/>Pozzuoli, 6 marzo 2007 Ti saluto cordialmente,<BR/> Andrealunanerahttps://www.blogger.com/profile/11981461643656257419noreply@blogger.com