lunedì, marzo 20, 2006

E' ancora centrale il lavoro?

Mi ha colpito però questa affermazione di Dominique Meda che vi lancio per sentire anche il vostro parere.
-Avendo innescato un dibattito semplicistico "pro o contro la fine del lavoro" con tutto il suo corredo di questioni oziose: il lavoro è centrale o no? stiamo per lasciarcelo alle spalle? possiamo vivere senza di esso? subito ripreso dagli economisti, abbiamo evitato di porci i veri interrogativi: come organizzare meglio i tempi di sociali, attraverso quali nuove forme di negoziato? come ridistribuire il tempo di lavoro fra disoccupati, persone costrette al part time, precari, dipendenti con il posto fisso? come garantire un vero riequilibrio fra lavoro e attività extra lavorative fra maschi e femmine, affinchè le donne possano inserirsi più facilmente e con altrettante possibilità di successo nella vita professionale e gli uomini possano dedicarsi molto più di quanto non avviene attulamente nella vita domestica e familiare? [...] Ecco altrettante questioni che avremmo dovuto affrontare invece di dissertare all'infinito sulla centralità del lavoro. -

Effettivamente ha senso di parlare di lavori piuttosto di lavoro e poi il rischio è di oscurare una serie di questioni di cruciale importanza come i tempi di vita. Che ne pensate?

3 commenti:

meinong ha detto...

Ritengo che la questione del reddito di cittadinanza si va ad inserire soprattutto nella questione della scoperta di altre dimensioni della vita che sono al di là (e anche al di qua) del lavoro

lunanera ha detto...

"L’occupazione si misura in due modi: contando quante sono le persone che stanno lavorando, e quante sono le “unità di lavoro equivalenti”, che tengono conto di quante ore lavora ognuno. Se ci sono due idraulici che lavorano 60 ore alla settimana, gli occupati sono due, ma visto che entrambi fan l’equivalente di un tempo pieno e mezzo le unità di lavoro sono tre. Se poi il lavoro va male, ed entrambi lavorano solo 20 ore, i lavoratori sono sempre due, ma le unità di lavoro sono solo più una. In pratica, in un caso si contano “le teste”, nel secondo quanto lavoro c’è.
Nel grafico allegato si vede cosa è successo a lavoro e lavoratori nel decennio che si apre con Prodi e si chiude con Berlusconi. La prima cosa da dire è che l’occupazione è cresciuta durante il centro destra. Ma la crescita era già in atto con il centro sinistra. La “piccola” differenza, è che durante il centro sinistra l’occupazione parte fiacca e poi cresce, durante il centro destra parte crescendo, e rallenta bruscamente negli ultimi due anni. Guardando alle unità di lavoro poi il rallentamento è ancora più drastico, e diventa un calo nell’ultimo anno (quello che sottolineano sia Istat che Bankitalia). Da notare che per la prima volta nella storia repubblicana sono più i lavoratori che le unità di lavoro: c’è più gente che lavora, sì, ma di lavoro ce n’è poco.

-->I grafici sono pubblicati insieme con i dati ISTAT 2005 sul sito www.beppegrillo.it del 21 marzo

Nel secondo grafico che allego si vede che anche la disoccupazione è calata negli ultimi cinque anni. Di nuovo, non è un dono del centro destra, il calo è in corso (fortunatamente) da circa un decennio. Il numero dei disoccupati non è una statistica da guardare da sola. Ci sono casi in cui le cose vanno bene, ma la disoccupazione aumenta: quel che capita è che molti sono presi da un turbine di ottimismo e si mettono a cercar lavoro, e finché non lo trovano il numero di disoccupati aumenta. E ci sono casi in cui il mercato è talmente depresso che molti alzano bandiera bianca, smettono di cercar lavoro, e il numero di disoccupati diminuisce. Nel grafico ho riportato il numero dei cosiddetti “scoraggiati”, cioè persone senza lavoro che a domanda dell’Istat “Perché non sta cercando lavoro?” barrano la X su “Ritiene di non riuscire a trovarlo”. Il numero di scoraggiati – 600 mila fin verso il 2003 – nel 2004 ha una prima impennata che li porta al milione, per poi salire ancora a circa 1.250.000. Basta convincere un altro mezzo milione di persone che è inutile stare a cercarsi un lavoro e porteremo la disoccupazione ad un confortante 5.5%.

Infine, i precari. Dai dati Eurostat, risulta che Berlusconi prende il testimone del precariato, nel secondo trimestre del 2001, a circa il 9.5%: questa era la percentuale dei lavoratori con contratto temporaneo sul totale dei dipendenti. Nel secondo trimestre del 2005 eravamo già al 12.5% (e non stiamo contando i co.co.co.). Un Maroni potrebbe sostenere però che il fatto che un contratto a termine non cambia un granchè, che sapere che il tuo posto di lavoro è solido salvo contrordine, o che è a termine salvo contrordine, non cambia nulla. Questa è una tale eresia che ho sacrificato il sabato sera, ed ho calcolato da dati di fonte Inps una semplice statistica: la correlazione che si osserva tra il tipo di contratto che ha una lavoratrice, e il fatto che questa decida o meno di fare un figlio. Bene, avere un lavoro precario riduce di dieci volte la probabilità che una lavoratrice faccia un figlio".
Fonte: Mario Gallegati su www.beppegrillo.it

meinong ha detto...

Altro criterio è vedere il montesalari se sia aumentato o diminuito. E rapportarlo al numero totale di ore lavorate