domenica, gennaio 29, 2006

Schema di proposta più articolata

Reddito minimo di esistenza: euro 300 (viene corrisposto ai minori di 16 anni e a coloro che hanno rifiutato un lavoro dal collocamento pubblico dopo aver ricevuto formazione e reddito minimo di disponibilità per un numero di mesi doppio rispetto alla corresponsione del reddito minimo di disponibilità)
Reddito minimo garantito: euro 400 (corrisposto ai minorenni tra 16 e 18 anni; viene gestito per 300 dai genitori e per 100 dal ragazzo)
Reddito minimo di cittadinanza euro 500 (a maggiorenni che non hanno intenzione di cercare lavoro)
Reddito minimo di disponibilità euro 700 (a maggiorenni che danno disponibilità di lavoro e accettano la frequenza di corsi di formazione per due anni, oltre l'accettazione del lavoro offerto a fine corso)
Reddito minimo di reinserimento euro 900 (a chi è stato licenziato se accetta un periodo di formazione e l'accettazione del lavoro offerto a fine corso secondo modelli di Workfare)
Salario minimo netto euro 1200 (con 35 ore di lavoro settimanale)

Finanziamento: Tobin Tax (transazioni finanziarie di compravendita di titoli esteri) e/o tassazione rendite finanziarie e/o minimum tax (per l'emersione dell'evasione fiscale)

Sospensione reddito minimo: a chi è riconosciuto colpevole di reato penale fino allo sconto della pena

Caillè sul reddito di cittadinanza

Alan Caillè teorico del movimento antiutilitarista (http://www.geocities.com/centrotobagi/caille.html)
parte dalla considerazione che la società della piena occupazione appartenga integralmente al passato e collega il reddito di cittadinanza a quella che egli chiama "la rivoluzione del tempo scelto" dove nella società la presa del lavoro sulla vita degli uomini possa essere meno stretta
Caillè dice
  • Fino a tempi molto recenti, l'umanità non ha ritenuto il lavoro un valore ed anzi si è sempre adoperata per sfuggirvi. Progressivamente però a partire dall'introduzione dell'agricoltura e l'accumulazione di scorte il lavoro necessario è aumentato e con esso lo sfruttamento, per cui solo alcune classi potevano evitare il lavoro. Si è giunti poi all'etica protestante per la quale tutti devono lavorare e chi non lavora deve vergognarsi. La vittoria del lavoro sul tempo libero è stata seguita dalla democratizzazione della società, ha permesso alle classi dominate di rivendicare dignità nei confronti delle classi dominanti. Tuttavia il problema della disoccupazione mette alla prova questa mentalità e genera una società del lavoro in cui i lavoratori sono in diminuzione
  • Caillè pensa che questa crisi possa essere un'opportunità per tentare di ridare importanza alle attività liberamente scelte, alle attività di non-lavoro e di rendere accessibili a tutti, democratizzandoli e universalizzandoli i valori del tempo libero sinora riservati alle elite. Per passare ad una società post-lavorista Caillè pensa a due istituti, il tempo scelto e il reddito di cittadinanza
  • Caillè parte (per illustrare il principio del tempo scelto) dal fatto che nessuno può scegliere di modulare il proprio tempo di lavoro. Tutti si trovano obbligati al ruolo di lavoratori a tempo pieno, a moltiplicare le ore di straordinario, a dimostrare di essere davvero meritevoli. Bisogna lavorare sempre di più o rinunciare. In materia di rapporti di lavoro vige l'indivisibilità. Si deve essere o "un piccolo infaticabile lavoratore" o accettare di non essere più della partita. Ciò crea una rigidità che spiega da sola la persistenza della disoccupazione. Bisogna perciò muovere nella direzione della rivoluzione del tempo scelto e offrire a coloro che lo desiderano di scegliere tra un lavoro a tempo pieno ed uno a tempo parziale. Due lavoratori a tempo parziale costerebbero meno di un solo disoccupato (giacchè pagherebbero i contributi sociali)
  • L'altro strumento è un reddito minimo di cittadinanza fondato sul principio dell'incondizionalità che consenta di evitare l'indigenza e la miseria. In Francia tutte le misure che possono andare sotto il nome di Reddito di Cittadinanza sono praticamente in via già di applicazione e lo Stato paga di fatto diverse categorie di popolazione indipendentemente dal lavoro che svolgono. Si tratta di sancire ed unificare queste categorie sotto il principio dell'incondizionalità. Con la cassa integrazione nei fatti la società paga una massa di disoccupati che non si reinseriranno, solo che gli si domanda di compiere sacrifici al culto del lavoro e di dichiararsi sinceramente pronti a reinserirsi : ne consegue un'opera di controllo di tipo quasi religioso e un controllo meticoloso per stabilire se i beneficiari sono davvero dei possibili futuri lavoratori
  • Il reddito minimo non deve essere troppo basso, perchè deve consentire la sopravvivenza, nè essere troppo alto perchè disincentiverebbe al lavoro, nè troppo vicino al salario minimo perchè nessuno avrebbe interesse a lavorare ad un livello salariale basso ed interi settori dell'economia crollerebbero. Inoltre deve essere cumulabile con altre risorse altrimenti i destinatari vengono bloccati nella trappola della disoccupazione in quanto se uno accetta un lavoro quel che guadagna è solo la differenza tra il suo salario e il reddito minimo
  • Quindi si deve stabilire un reddito minimo di cittadinanza incondizionato, irrevocabile e cumulabile. Tutti in quanto cittadini avranno diritto ad un minimo di reddito che sarà la metà del salario minimo e tutti quelli che avranno un reddito inferiore al salario minimo riceveranno questo reddito in via incondizionata. E chi si avvantaggerà di tale reddito potrà cumularlo ad altre risorse, solo che per evitare iniquità si dovranno fiscalizzare i redditi supplementari al reddito di cittadinanza. Inoltre tale reddito va assegnato individualmente a partire dal venticinquesimo anno d'età.

Caillè poi parla degli argomenti a favore e di quelli contro il reddito di cittadinanza:

Contro:(A). Tutti i tentativi fatti nel corso della storia sono falliti: in Inghilterra tra il 1795 e il 1834 le poor laws concedevano un reddito incondizionato a cui seguì una catastrofe totale giacchè molti lavoratori e contadini si demoralizzarono e non vollero più lavorare. Anche i tentativi di imposta negativa sperimentati negli Stati Uniti hanno prodotto una smobilitazione sociale.(B.) Le coscienze non sono mature.

Caillè replica che il reddito minimo non deve essere interpretato liberisticamente e deve essere un incentivo alla ricostituzione del tessuto sociale e non uno strumento di controllo sociale. Inoltre la smobilitazione è dovuta alla situazione paradossale che vivono i disoccupati che da un lato ricevono messaggi improntati ad un'ideologia lavorista, mentre non trovano concretamente gli strumenti sia pur per assecondare tale ideologia.

Caillè poi giustamente ritiene che non sia giusto nè opportuno subordinare il reddito minimo ad una prestazione sia pure in lavori socialmente utili che alla fine sarebbero un'altra forma di lavoro coatto. La libertà deve essere l'unico vincolo del reddito minimo. Il tessuto sociale invece si può ricostituire sostituendo alla società duale tra coloro che avranno un lavoro a tempo pieno e i più sfavoriti, un numero illimitato di gradini e di status sociali intermedi che possono essere scelti nella massima libertà

Caillè poi accenna al costo dell'operazione che dovrebbe costare il 3-4 % del PIL

Alle argomentazioni di Caillè vale replicare quanto segue:

In primo luogo il reddito minimo deve scoraggiare lavoro nero e lavoro precario. Dunque non deve essere cumulabile (altrimenti causerebbe altre storture redistributive) e deve, differentemente modulato, scoraggiare l'esistenza di imprese a bassi salari. Se in presenza di un reddito minimo ci fosse una smobilitazione allora il problema non è il reddito minimo, ma la società del lavoro precario che lo precede e bisogna allora essere preparati a questo, ma non si può continuare a tollerare una società fatta largamente di workingpoors. Un reddito minimo garantisce la soddisfazione di bisogni vitali e forse niente più (ad es. per pagare un affitto spesso non è sufficiente un reddito minimo). Se l'offerta di posti di lavoro non riesce a venire incontro a questi bisogni, sarà chiaro che il cambiamento sociale dovrà essere molto più complessivo e radicale. Ben venga allora il reddito minimo a fare da cartina di tornasole. Un reddito minimo inoltre deve essere corrisposto anche a minorenni: esso sarebbe gestito dai capifamiglia, ma sarebbe un diritto individuale (questo perchè altrimenti il livello del reddito minimo sarebbe apertamente insufficiente in caso di prole)

sabato, gennaio 28, 2006

La critica di Mazzetti al reddito di cittadinanza

Mazzetti, Giovanni - Quel pane da spartire. Teoria generale della necessità di redistribuire il lavoro. - Bollati Boringhieri, Torino, 1997

Giovanni Mazzetti è un economista vicino a Rifondazione, che ha a mio parere svolto attente analisi di filosofia dell'economia, ispirandosi alle categorie marxiane e cercando di vedere in Keynes un economista borghese le cui tesi hanno generato una situazione oggettivamente diversa (e densa di sviluppi) da quella che Marx aveva esaminato nella sua opera.
Egli nella sua opera critica la strategia del reddito minimo (pur riconoscendo che essa parte dalla giusta osservazione secondo cui occorre sempre meno lavoro per produrre più merci) dicendo che
I. Il ragionamento sul diritto ad un reddito non fa una grinza fintanto che si riferisce ai soli disoccupati, in quanto questi possono avere la certezza di ricevere le prestazioni corrispondenti al reddito che viene loro erogato, pur in assenza di un vincolo nei loro confronti inerente all'effettivo svolgimento di un'attività lavorativa, appunto perchè questo vincolo grava comunque su qualcun altro. Ma se il reddito minimo viene corrisposto a tutti i cittadini, questi avrebbero diritto a ricevere delle prestazioni che non sarebbero però vincolati a fornire a se stessi: un esito impossibile perchè se l'insieme di quelli che danno coincide con l'insieme di quelli che ricevono non può esserci per definizione incoerenza tra il dare e l'avere. Proprio perchè la riproduzione complessiva della società implica il susseguirsi delle figure della produzione e del consumo, come è possibile che i cittadini in quanto consumatori/utenti riescano ad ottenere ciò che come produttori non sono chiamati a dare? I sostenitori del reddito minimo non dicono come si potrebbe consentire il diretto acquisto di merci da parte degli individui a prescindere da una loro preliminare vendita o dal trasferimento a loro favore di un reddito derivato da una vendita altrui
II. Perhè si sostenga il reddito minimo si deve credere che la produzione della ricchezza abbia finito con l'essere svincolata da qualsiasi rapporto con l'erogazione di lavoro. Solo in questo caso si potrebbe infatti esercitare un controllo che invece di procedere dalla produzione potrebbe procedere dai momenti della distribuzione e del consumo. In quest'ottica il lavoro salariato apparirebbe come un rapporto completamente superfluo e gli individui non dovrebbero far altro che agire soggettivamente in modo corrispondente alla situazione nella quale si trovano
Il fatto invece è che è vero che la produzione aggiuntiva di merci richiede via via sempre meno lavoro, ma non è vero che la riproduzione corrente abbia smesso di dipendere dall'erogazione di tale attività. E proprio perchè la base della soddisfazione dei bisogni continua ad essere il lavoro salariato (e cioè la costrizione esterna, la necessità economica, altrimenti non avrebbe senso nemmeno la richiesta di un reddito "garantito") ogni libertà che si costituisca attraverso l'integrale esclusione dell'individuo da questo rapporto si costituisce in opposizione al lavoro salariato. Essa ha infatti bisogno che il lavoro salariato che l'alimenta continui ad essere svolto, mentre dal canto suo si sottrae alla necessità di svolgerlo: la libertà di chi godrebbe del reddito garantito riprodurrebbe la non libertà di colore che garantirebbero quel reddito. Si crea una classe parassitaria che trae antagonisticamente la propria libertà dal lavoro altrui
III. Se si imboccasse la via di garantire a tutti i cittadini un reddito nell'unica forma praticabile a breve, esso potrebbe essere solo un reddito monetario. Poichè questa disponibilità di moneta si riverserebbe su un sistema produttivo che continuerebbe a procedere senza un offerta aggiuntiva di mezzi, tutto quello che si otterrebbe sarebbe un generale aumento dei prezzi, che annullerebbe il potere che si cerca di instaurare con il reddito garantito. Forse la prospettiva di questo aumento potrebbe sollecitare una fase economica espansiva che se non fosse contrastata da un processo finanziario speculativo di segno opposto, determinerebbe un qualche aumento dell'occupazione. ma il problema della disoccupazione troverebbe così solo un'attenuazione temporanea
IV. Alcuni teorici del reddito di cittadinanza credono che il general intellect, che sovraintende alla straordinaria crescita della produttività, sarebbe già altro rispetto alla soggettività capitalistica, giacchè l'imprenditore non può più credibilmente rivendicare a sè alcuna paternità sulla forza produttiva, perchè essa si presenterebbe come il risultato di una cooperazione sociale sviluppatasi fuori del lavoro salariato. Per questo secondo loro si potrebbe rivendicare al non lavoro in senso generale una parte della ricchezza che quella cooperazione contribuirebbe in maniera determinante a produrre.
Ma (obietta Mazzetti) Internet ad es. sarebbe mai possibile senza energia elettrica, senza computer e supporti magnetici? E non è questa struttura (il cui pilastro è il lavoro salariato) l'effettiva espressione del general intellect, ed Internet stessa non è un embrionale e limitato tentativo di impiego di questa struttura anche per fini diversi da quelli che l'hanno originata, cosicchè quella struttura potrebbe sussistere anche senza Internet mentre non vale il contrario? Se questo è vero, è anche vero che la diminuzione del tempo di lavoro è tuttora opera del capitale e si presenta dal punto di vista del lavoro come un involontario prodotto degli individui che hanno agito ed agiscono sotto l'egemonia di questa entità sociale
V. Infine Andrea Fumagalli che pure ammette la necessità di intervenire anche nella sfera della produzione e considera inscindibili le due strategie della riduzione del tempo di lavoro (sostenuta da Mazzetti) e del reddito di cittadinanza, secondo Mazzetti, affermando che il reddito di cittadinanza deve essere indipendente dal lavoro salariato, ma deve essere legato al lavoro socialmente necessario, non si rende conto che se non è mediato dall'autonomia corrispondente al rapporto di denaro, tale legame va specificato in positivo e non in negativo.
A queste obiezioni di Mazzetti va risposto quanto segue
  1. Il diritto al reddito minimo è un diritto di tutti, ma viene attivato solo se si è disoccupati (ci sono anche altre ipotesi ma sono piuttosto lunghe da esporre). Dunque non c'è quell'incoerenza tra dare e avere che Mazzetti paventa. Di conseguenza le risorse sono più o meno le stesse che verrebbero attivate nel caso di riduzione generalizzata dell'orario di lavoro
  2. Quanto al presunto parassitismo esso ci sarebbe nella misura in cui un reddito minimo corrisponda ad una decurtazione della massa salariale in presenza di uguale erogazione di lavoro. Se non è così, quello che si va a toccare sono il profitto e gli aumenti di produttività, visto che chi lavora si ostina a lasciare al capitale questo surplus.
  3. Poichè le risorse sono più o meno le stesse che dovrebbero essere attivate in caso di redistribuzione del lavoro che c'è, i rischi di inflazione dovrebbero essere gli stessi.
  4. Internet apparterrebbe esclusivamente al capitale se le attività che si svolgono su Internet sono assolutamente ininfluenti alla realizzazione del valore. L'ipotesi di Bascetta e Bronzini perciò non può essere confutata semplicemente facendo vedere che le infrastrutture materiali che consentono Internet sono opera del lavoro salariato. Al tempo stesso lo spazio della produzione/riproduzione evidenziato da Bascetta e Bronzini non può essere la giustificazione del reddito minimo: quest'ultima si basa solo sui bisogni dei soggetti esclusi dal mercato del lavoro, bisogni che devono farsi domanda per prevenire (o quantomeno ritardare) le crisi di sovraproduzione.
  5. Per questo legare il reddito minimo al lavoro socialmente necessario è sbagliato se questo è la misura del reddito minimo. Esso è lo spazio di possibilità che si può aprire col reddito minimo ed in quanto tale può essere un argomento per il consenso sul reddito minimo, ma ciò non implica che esso sia il presupposto che fonda il diritto al reddito minimo e ne causa l'erogazione. Non si dà il reddito minimo perchè si è lavorato socialmente, ma si dà il reddito minimo perchè si possa lavorare socialmente.

domenica, gennaio 22, 2006

La risposta marxista all'obiezione dello sfruttamento

Secondo Del Bò l'idea soggiacente alla risposta marxista all'obiezione dello sfruttamento è che questa rischia di essere debole in quanto nelle società moderne complesse non è possibile individuare un nesso chiaro e diretto tra il lavoro del singolo e il prodotto che da tale lavoro deriva. Si tratta ad es. secondo Gorz di fare fino in fondo i conti con l'avvento del modo di produzione postfordista: essendo i mercati di fatto saturi, la competitività non si basa più sulle economie di scala, ma su produzioni snelle al fine di venire incontro ad una domanda molto diversificata e variabile, che cerca nei prodotti la novità ed il valore simbolico, per cui la produzione sta diventando qualitativa e immateriale
Tale produzione presuppone lo sfruttamento di quelle risorse intellettuali della forza lavoro che nel modo di produzione fordista-taylorista occorreva invece reprimere. Emerge una catena produttiva fondata sulla responsabilizzazione della forza lavoro e sulla cooperazione, sull'interazione tra i lavoratori per migliorare le procedure produttive e mantenere elevata la produttività dell'impresa. Nel mondo postfordista la produttività non dipende tanto dalla produzione immediata ma da una serie di capacità che i lavoratori sviluppano al di fuori del lavoro immediato. Nel mondo delle produzioni immateriali, il lavoro immediato conta molto meno non solo rispetto al lavoro necessario per la produzione e la circolazione delle competenze della forza lavoro, ma anche rispetto al lavoro necessario per la creazione delle condizioni di sfondo che consentono questa produzione e questa circolazione. La produttività del lavoro risulta così sganciata dalla materialità della produzione e del lavoro del singolo; ciò che la determina è piuttosto l'immaterialità delle relazioni interpersonali e degli scambi di idee che avvengono anche in contesti extralavorativi. Il lavoro produttivo richiede nei lavoratori un livello generale di conoscenze che entra nel processo di produzione come forza produttiva immediata.
Qui può essere richiamato il Marx del frammento sulle macchine secondo cui il livello generale delle conoscenze (general intellect) sarebbe diventato forza produttiva immediata, privando di senso la questione della produttività del lavoro di ciascuno. La creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, potenza che non è in rapporto col lavoro immediato, ma con lo stato generale della scienza e con il progresso della tecnologia o dell'applicazione di questa alla produzione. In questo contesto la produttività diventa produttività sociale, per cui la categoria ordinaria di sfruttamento tradizionalmente finisce per essere inservibile e che il reddito di base compensa una produttività sociale e riconosce un nuovo tipo di sfruttamento (quello dell'intellettualità diffusa)
Tale argomento marxista è inserito in una strategia teorica più ampia per la quale il reddito di base può essere strumento di contropotere economico, giacchè svincolando la disponibilità di reddito dalla disponibilità a lavorare, permette di sfuggire al ricatto del bisogno che si materializza nella necessità a volte di accettare lavori degradanti e sottopagati per procurarsi i mezzi per vivere; il reddito di base così concepito contesta alla radice la logica vittoriana ed il pregiudizio lavorista, secondo cui solo il lavoro può essere un fattore di inclusione sociale. Per Claus Offe il diritto al reddito di base fondato sul diritto alla cittadinanza è giustificato moralmente non dal lavoro salariato ma dalle attività utili comprese al di fuori del lavoro formale o del mercato del lavoro e che sfuggono a misurazioni e contabilità definite : il critterio di giustizia è la garanzia dei bisogni fondamentali.
Il reddito di base può essere anche strumento di contropotere sociale in quanto consente di contrastare le crescenti tendenze alla precarizzazione del rapporto di lavoro consentendo alla forza lavoro di ripensare alla propria condizione e di riorganizzarsi. La possibilità di disporre di un reddito al di fuori del rapporto di lavoro potrebbe favorire lo sviluppo di forme di resistenza e di conflittualità antagonista e la ricomposizione sociale di diverse soggettività oggi sparpagliate
Il reddito di base può anche essere strumento di contropotere culturale dal momento che la formazione permanente sul luogo di lavoro risulta inevitabilmente funzione delle esigenze della produzione. Il reddito dal ricatto del bisogno, consente di seguire percorsi formativi alternativi rispetto alla logica della produzione e perciò non finalizzati all'acquisizione di competenze specifiche ma allo sviluppo della autoconsapevolezza e dell'autonomia culturale
Del Bò a proposito di questa risposta marxista alla obiezione dello sfruttamento dice che essa si basa su presupposti (epistemologici, economici e sociologici) troppo impegnativi perchè a partire da essi per una prospettiva di ricerca filosofica feconda sul reddito di base

Le considerazioni che si possono fare a tal proposito sono le seguenti:
1. Va analizzata con molta attenzione la differenza tra il general intellect inteso come il sapere scientifico concretizzato nella tecnologia e il sapere diffuso e disperso nella sfera antropica (o nella forza-lavoro o nel proletariato) Un'identificazione superficiale tra le due ha generato l'identificazione postfordista (e ottimista) tra produzione e riproduzione sociale, identificazione non impossibile, ma che non è già data.
2. Offe dice che le attività socialmente utili sono il fondamento del reddito minimo. I sostenitori dei lavori socialmente utili deducono erroneamente che tali attività (che sono non quantificabili) sono la misura (!) e perciò la condizione necessaria per l'erogazione del reddito minimo (essi confondono il presupposto validativo con il presupposto genetico)
3. La tesi marxista sembra presupporre premesse troppo impegnative perchè esplicita i propri presupposti. Ma Del Bò pensa erroneamente che le altre teorie siano meno impegnative solo perchè tale doverosa esplicitazione non viene effettuata. Ma la conformità di una teoria al senso comune dominante in un dato ambito storico-geografico non la rende filosoficamente più semplice o meno impegnativa

sabato, gennaio 21, 2006

la risposta libertaria all'argomento dello sfruttamento

Del Bò afferma che l'obiezione dello sfruttamento può essere aggirata in due modi:
I) assumere come valida l'impostazione in base al quale il reddito debba essere funzione del lavoro, ma spiegare anche perchè il reddito di base sia armonizzabile con questa impostazione
II) oppure rigettare tale impostazione
La prima strada viene scelta dalla tradizione libertaria secondo la quale le persone sono proprietarie di se stesse ed hanno il diritto di scegliere liberamente ( nel rispetto del diritto altrui) come impiegare le proprie capacità fisiche e mentali ed inoltre la proprietà delle risorse naturali ed esterne è originariamente soggetto ad un qualche vincolo di tipo egualitario.
Il vincolo egualitario sulle risorse naturali definisce le caratteristiche che deve avere una situazione iniziale per essere giusta, mentre la proprietà di sè fissa le regole che occorre rispettare perchè le azioni successive degli individui sulle risorse naturali siano giuste.
Ad es. il vincolo egualitario stabilisce che tutti debbano avere una quota eguale di terra, mentre la proprietà di sè impone che ognuno sia libero di coltivare nel suo appezzamento quello che vuole e scambiare i propri prodotti sul libero mercato
Per il libertarismo di destra le risorse naturali sono in origine prive di proprietario e sono pienamente disponibili per l'appropriazione privata dei singoli individui. Per il libertarismo di sinistra tali risorse sono soggette sin da principio ad una qualche forma di proprietà che vincola l'esercizio della proprietà di sè individuale
A tal proposito alcuni dicono che le risorse naturali siano originariamente proprietà collettiva e di conseguenza ogni individuo ha il potere di porre un veto su di un'eventuale privatizzazione
Altri invece ipotizzano un regime di proprietà comune con diritto d'uso da parte di ciascuno delle risorse rimaste inutilizzate
Altri ancora ipotizzano una divisione delle risorse uguale per tutti. Tale eguaglianza si può realizzare consentendo alle persone di appropriarsi delle risorse naturali prive di proprietario a condizione che venga pagata ad un fondo sociale una certa somma che venga pagata ad un fondo sociale una certa somma che verrà poi redistribuita ad altri a titolo di risarcimento per tale appropriazione. Il vincolo egualitario sull'appropriazione delle risorse è soddisfatto non da un'eguale quantità di risorse naturali, ma da un'eguaglianza del loro valore, comunque tale valore venga definito.
In questo modo si aggirerebbe l'obiezione dello sfruttamento e si giustificherebbe l'introduzione di un reddito di base, che sarebbe una forma di risarcimento per la privatizzazione di risorse naturali inizialmente uguali per tutti. Il risarcimento non si fonda su un qualche tipo di valutazione controfattuale di come sarebbe stata la situazione delle persone in assenza di appropriazione privata. Il risarcimento spetta alle persone per il solo fatto che chi è stato escluso dall'appropriazione ha subito una violazione dei propri diritti sulle risorse esterne
Hillel Steiner ha perfezionato questa tesi risalente a Paine, Fourier ed H.George : egli dice che il reddito di base sostanzia tre tasse giuste (che tolgono alle persone ciò che non hanno diritto a possedere)
una tassa sull'appropriazione delle risorse naturali
una tassa sull'appropriazione del lavoro umano cristallizzato nei patrimoni (si pensi all'eredità)
una tassa sui corredi genetici innati
Per Steiner le eredità non sono analoghe a donazioni, in quanto è possibile attraverso di essa costruire un passaggio continuo di proprietà solo attraverso la finzione concettuale che pone ancora in vita il de cuius. Quanto alla faccenda dei corredi genetici, Steiner sostiene che essi sono fattori di produzione come gli altri, che insieme a cibo, educazione e cure mediche sono usate per produrre "abilità". Dunque i genitori che hanno dotazioni genetiche con più alto valore devono versare al fondo globale una somma più elevata rispetto a quella che devono versare i genitori che hanno figli con corredo genetico di minor valore, dal momento che si sono appropriati di un paniere di risorse naturali superiori rispetto a quello di cui si sono appropriati gli altri (Carling a questo ragionamento obietta che l'uso dei corredi genetici non ne diminuisce la quantità disponibile e dunque non richiede risarcimenti per gli altri)
Del Bò dice che gli argomenti di Steiner potrebbero essere non soddisfacenti per un sostenitore del reddito minimo dal momento che il reddito che potrebbe scaturire da tali tasse potrebbe essere molto esiguo. Inoltre una tassa sui corredi genetici esigerebbe più un una tantum che non un' erogazione periodica. Ackermann e Alstott a questo proposito elaborano la teoria di un "capitale di base", secondo la quale tale capitale di base (80.000 dollari ricevuti alla maggiore età e da spendere come meglio si crede e da restituire con gli interessi al momento della morte con una consistente tassa sull'eredità) sarebbe meglio di un reddito di base perchè offrirebbe una maggiore libertà reale di fare ciò che si vorrebbe fare che non quest'ultimo (e ciò verrebbe incontro ai valori presi in considerazione da Van Parijs). Infatti presi tutti una volta questi soldi permetterebbero ad es. di iniziare un'attività imprenditoriale.
Van Parijs obietta che i giovani tendono a prendere decisioni non pienamente informate, per cui occorre metterli al riparo dai rischi che questo implica. In questo senso il reddito di base (al contrario del capitale di base) protegge le risorse della persona che si sarà a cinquant'anni dal rischio che vengano sprecate dalla persona che si era a venti.
A questo argomento Ackermann e Alstott hanno replicato che si può introdurre qualche restrizione, distribuendo il capitale di base non tutto in una volta, ma ad es. in quattro rate così che si possa avere più di una chance ed imparare dai propri errori. E' invece per loro iniquo che si abbia una nuova chance ogni mese in quanto deve rimanere valido il principio generale per cui le persone devono pagare i costi delle proprie scelte (come pure hanno titolo dei vantaggi che da queste scelte possono derivare)

Le considerazioni che si possono fare a questo proposito sono le seguenti:
1. Non è possibile isolare il vincolo iniziale di eguaglianza, giacchè il presunto "stadio iniziale" si riforma ad ogni fase della competizione di mercato: se uno che per abilità o fortuna ha un profitto di 100 di cui usa la metà per fare investimenti, egli alla successiva fase ha un vantaggio che, sia il profitto conseguito meritato o meno in parte o totalmente, altera la competizione in corso. Dunque l'eguaglianza delle chance deve essere ricostituita ad ogni fase della competizione economica e non deve risalire ad una "ucronica" fase iniziale.
2. Il reddito di base non può essere configurato come un risarcimento, ma una dotazione indispensabile per soddisfare i bisogni primari di ogni individuo. Dunque la giustificazione libertaria può giustificare un'ulteriore integrazione del reddito di base, ma non il reddito di base stesso
3. Anche la teoria del capitale di base può essere integrativa rispetto al reddito di base (essa può essere configurata come prestito sociale di base ad es.). Ma uno che ad es. avesse sperperato il capitale di base dopo appena qualche anno avrebbe ugualmente diritto al soddisfacimento dei diritti essenziali e dunque il capitale di base non può essere sostitutivo del reddito di base. La tesi per cui un individuo deve pagare il costo dei propri errori non riguarda il soddisfacimento dei diritti essenziali (che non sono nemmeno negoziabili o oggetto di rinuncia), ma quello di altre aspettative meno legittime dei primi
4. Il corredo genetico, a meno che non possa in un certo essere ricompreso nel calcolo economico, deve essere valutato solo per quanto riguarda i suoi effetti positivi o negativi nel corso della competizione economico-sociale. Le eredità per quanto siano titolo legale, turbano sempre le fasi successive della competizione e dunque vanno compensate senza che perciò ci sia sfruttamento
5. Per quanto riguarda il fatto che l'uso dei corredi genetici non ne alteri la disponibilità, ciò non cambia la situazione per cui tale disponibilità è propria solo di alcuni soggetti e tale situazione è tale da dover essere compensata (qualora abbia conseguenze concrete) da un'ulteriore redistribuzione di chances

giovedì, gennaio 19, 2006

Van Parijs sulla questione dello sfruttamento

Van Parijs ha provato a rispondere all'obiezione dello sfruttamento con due argomentazioni:
Il primo argomento unisce quattro idee:
A) l'idea che tutti abbiano diritto ad un eguale quota di risorse esterne per perseguire la concezione del bene favorita
B) l'idea che i posti di lavoro sono risorse esterne a tutti gli effetti
C) L'idea che nelle moderne economie capitalistiche quei posti sono divenuti risorsa scarsa e dunque la loro appropriazione deve essere soggetta a vincoli
D) L'idea che lo Stato deve rimanere neutrale rispetto alle varie concezioni del bene sostenute dai propri cittadini
Se si accettano le prime tre idee si deve anche accettare la conclusione secondo cui occorre suddividere tra tutti le rendite di posizione di cui gode chi si è impossessato di un "posto di lavoro".
Se si accetta anche la quarta dobbiamo suddividerle tra tutti e non destinarli sotto forma di sussidi ai soli disoccupati involontari, dal momento che verrebbero favoriti i piani di vita che prevedono ampio spazio per l'attività lavorativa.
Il secondo argomento si concentra sul concetto di sfruttamento ed evidenzia tre principi secondo cui tale concetto viene declinato
a) Il principio lockeano in base al quale ognuno ha diritto all'intero prodotto del proprio lavoro
b) Il principio luterano in base al quale ognuno ha diritto ad una quota del proprio lavoro equivalente o proporzionale al valore del proprio contributo
c) Il principio dello sforzo forte in base al quale ognuno ha diritto ad un reddito strettamente proporzionale al proprio sforzo produttivo

Van Parijs obietta che tutti questi tre principi ammettono ineguaglianze frutto della sorte bruta e perciò moralmente arbitrari (ad es. uno potrebbe avere una terra più fertile dell'altro o più capacità innate di un altro)
Per questo egli ritiene più attraente un principio dello sforzo debole che stabilisce un legame positivo (ma non una corrispondenza diretta) tra reddito e sforzo produttivo e consente di pensare che in un regime di reddito di base chi lavora comunque finisce per avere un reddito più elevato di chi vive del solo reddito di base

Stuart White pensa che tale argomento di Van Parijs non riesce ad evitare l'applicazione della nozione di sfruttamento, giacchè l'introduzione di un reddito di base, consentendo alle persone di sottrarsi all'obbligo lavorativo, violerebbe il principio fondamentale del Welfare State che è l'obbligo di reciprocità. In cambio di un reddito minimo soddisfacente ogni cittadino ha un corrispondente obbligo di soddisfare una ragionevole aspettativa di lavoro (a sua volta funzione della durata dell'attività lavorativa e delle differenze delle capacità produttive) ; chi non soddisfa questa aspettativa sfrutta quelli che la soddisfano, in quanto trae iniquo vantaggio dal loro lavoro. Secondo White gli individui hanno l'obbligo di offrire un contributo produttivo minimo in cambio della garanzia delle libertà civili fondamentali e della sicurezza economica
Per White il primo argomento di Van Parijs dimentica che i posti di lavoro possono essere visti come risorse solo in forza dell'accesso che conferiscono ai benefici della coooperazione sociale e dunque per avere accesso ad una quota di questi benefici occorre offrire la propria disponibilità a contribuirvi. Il secondo argomento invece non considera la possibilità di un principio come quello di reciprocità compatibile sia con la necessità di rimuovere l'ineguaglianza dovuta a sorte bruta sia con l'obiezione al reddito di base fondata sulla nozione di sfruttamento

Vengono in mente a questo proposito le seguenti osservazioni
1. Non è necessario che lo Stato sia del tutto neutrale rispetto alla destinazione ed allo stile di vita degli individui (forse una neutralità assoluta non è sempre possibile), ma di certo si può ritenere difficile cosa sia più opportuno per l'intera comunità ad es. un individuo che non lavora, ma che svolga in maniera rapsodica attività intellettuali che possono risultare utili nel lungo periodo (prendiamo un Socrate), o un individuo che sacrifichi il suo talento a lavori che non sempre svolge profittevolmente. Dunque non la neutralità rispetto ai fini, ma l'ammissione di ignoranza su quando e come i fini socialmente utili possano considerarsi conseguiti
2. Un concetto che si può contrapporre a quello ordinario di sfruttamento è quello per cui dei bisogni primari debbano essere soddisfatti da ciascun individuo quale che sia il suo contributo riconosciuto alla società, per cui si può dire che sin quando non si esce dalla soddisfazione di tali bisogni primari, quello che soggettivamente viene chiamato sfruttamento è una redistribuzione
strategicamente ed eticamente prioritaria rispetto ad una presunta appropriazione dei frutti del proprio lavoro, frutti che non sono assolutamente quantificabili in maniera oggettiva nei singoli casi individuali, ma che si possono solo valutare alla luce del lavoro sociale complessivo
3. Il principio di reciprocità di White sarebbe plausibile se e solo se l'organizzazione del lavoro e la composizione organica di capitale fosse decisa coscientemente dalla collettività sociale e terminasse la fase in cui la domanda di lavoro fosse gestita da centri decisionali individuabili attraverso la proprietà privata dei mezzi di produzione. In secondo luogo il tempo di lavoro dovrebbe essere modulabile temporalmente in maniera libera e duttile quanto si vuole (orari, modalità etc.) ; qualsiasi rigidità dell'offerta dei posti di lavoro sarebbe infatti in contrasto col diritto dell'individuo di offrire la quantità di lavoro che vuole in cambio della corrispondente quota di beni sociali e la reciprocità sarebbe così impossibile (una banca del tempo risolverebbe almeno in parte questo tipo di problemi, ma il cosiddetto lavoro necessario sarebbe modulabile secondo la banca del tempo, oppure quest' operazione presupporrebbe comunque il toglimento della proprietà privata dei mezzi di produzione ? )
4. In conclusione molti dei ragionamenti svolti dai filosofi analitici della politica risultano essere astratti rispetto alla fase storica e spesso del tutto fuorvianti rispetto agli attuali rapporti di produzione

Provate a rispondere e a...diffondere

1.quale concetto di reddito di cittadinanza proponi e perchè.

2.quale è il fondamento etico, giuridico, filosofico, economico e politico della rpoposta di reddito di cittadinanza?

3. quali possono essere le fonti di finanziamento del reddito di cittadinanza?

4. quali sono gli strumenti di lotta per realizzare l'obiettivo in rapporto allo Stato e alle imprese multinazionali?

Su proposta di Antonio, cerchiamo per il prox laboratorio di discuterne...
Ovviamente si accettano commenti!

Il reddito di base genera sfruttamento?

Del Bò passa nell'ultima parte del suo saggio ad esaminare la questione del perchè alcune persone dovrebbero lavorare per mantenerne altre, a meno che queste non siano incolpevoli della loro situazione, perchè non hanno le capacità fisiche oppure a causa dei meccanismi economici delle nostre società. Ma ciò vale anche per chi non vuole lavorare perchè preferisce fare surf a Malibu ? In questo caso non sarebbe giusto come dice Rawls che chi voglia stare tutto il giorno a Malibu dovrebbe trovare il modo di mantenersi da solo?
Se uno coltiva patate e un altro gioca a tennis e quando le patate sono cresciute arriva un funzionario che impone al coltivatore di dare una parte delle patate al tennista, non è in atto uno sfruttamento?
In tal caso precisa Del Bò si intende lo sfruttamento nel senso ordinario di
"trarre iniquo vantaggio da un'altra persona"
e non in quello marxiano per cui
il capitalista trae dal lavoro dell'operaio più valore (sotto forma di beni prodotti)
di quello che rende all'operaio per il suo lavoro (come salario)
In tal caso esiste sfruttamento se e solo se si è stabilito che
è iniquo che
una persona non abbia diritto a tenere per sè tutto ciò che produce col proprio lavoro
o perlomeno che è iniquo che
parte di questi prodotti debbano andare a chi ha scelto di non lavorare
la nozione di sfruttamento presuppone la validità della tesi della proprietà di sè
secondo la quale un individuo ha diritto alla proprietà della propria persona
e sulla base di questa dei frutti del proprio lavoro

Su questa questione ci sarebbe ro già delle osservazioni da fare:
1. Molto banalmente è difficile che uno che abbia solo il reddito minimo (che secondo me dovrebbe essere di 500 euro) possa andare a Malibu e vivere d'aria. Comunque sarebbe in cerca di lavoro (ma almeno non morirebbe di fame se non lo trovasse) o sarebbe costretto a svolgere una vita frugale, senza eccessivi spostamenti etc. Inoltre vorrei vedere uno che con questo sistema di consumi riuscisse a fare una vita soddisfacente con il reddito minimo: chi riuscisse a superare la prova sarebbe un guru e farebbe un sacco di soldi. In pratica chi riceve reddito minimo non per questo sarebbe demotivato a cercare lavoro

2. Una cosa è la proprietà di sè, un'altra la proprietà sui cosiddetti "frutti del proprio lavoro", che nella moderna società sono sempre più difficilmente definibili (una cosa è piantare fagioli nel proorio giardino, un altra essere operaio o impiegato di una grossa azienda, in quest'ultimo caso le relazioni di causa ed effetto sono più complesse) Io sono addirittura dell'idea che il soggetto dello sfruttamento sia il proletariato (esercito di riserva compreso) nel suo insieme verso il complesso dei porietari del capitale, mentre il calcolo del caso singolo ha poco senso

3. Inoltre, tale teoria presume che chi lavora lavora e chi no no, cosa che vale solo in un mercato del lavoro con una specifica struttura, rigido nell'entrata e nell'uscita, ma in un mercato del lavoro meno regolato non ci sarebbe molto da essere sfruttato perchè si potrebbe oggi lavorare e domani no, per cui diamo un contentino a chi sta (suo malgrado o per scelta spartana) fuori dal circuito o altrimenti i disoccupati potrebbero far parte di quella maggioranza silenziosa che chiede la deregolamentazione del mercato del lavoro...potrebbero vendersi a minor prezzo, alimentare il mercato nero, causare la crisi di industrie che rispettano le regole etc etc.
Insomma la cosa è un po' più complessa...

4. Infine, non si può nel contesto storico odierno parlare di sfruttamento ordinario, senza parlare della forma capitalistica di sfruttamento, in quanto la proposta del reddito minimo (sia pure anticipando una logica comunistica di redistribuzione) tiene conto proprio del fatto che la composizione organica del capitale (cioè quanti e quali lavorano vicino alle macchine) non viene decisa pubblicamente, ma da tanti soggetti privati, limitati in questo solo dalla legge e dal conflitto sociale, per cui guardare quello che Del Bò chiama sfruttamento ordinario senza guardare pure quell'altro tipo di sfruttamento può alla fine risultare fuorviante

domenica, gennaio 15, 2006

La giustificazione libertaria del reddito minimo

La giustificazione libertaria del reddito minimo sostiene che:
1. Il reddito di base è quello appropriato per realizzare una società i cui membri godano della massima libertà reale
2. La libertà reale è per Van Parijs (teorico della filosofia della politica di lingua inglese) il principio per cui essere realmente liberi significa possedere non solo il diritto e quindi la libertà formale, ma anche i mezzi materiali per condurre la propria vita, come si potrebbe volerla condurre (e non come concretamente si vuole, altrimenti uno schiavo contento della propria situazione sarebbe perfettamente libero). Il possesso di un passaporto valido mi offre la libertà formale di andare negli Usa, ma sono realmente libero di andarci solo se ho i soldi per comprare il biglietto e se sono fisicamente in grado di sopportare le fatiche del viaggio.
3. La libertà reale si compone di tre elementi : sicurezza, proprietà di sè e opportunità.
I primi due elementi si ricollegano alla teoria liberale classica e definiscono la libertà formale. Il concetto di opportunità invece esplicita l'idea che la libertà di compiere un'azione comprende la capacità effettiva di compierla e determina la libertà reale, questo a prescindere dalle cause di questa impossibilità, giacchè qualsiasi restrizione all'insieme delle opportunità risulta rilevante per la libertà (per MacCallum X è libero/non-libero da Y di fare/non-fare Z, ove X è un agente, Y un ostacolo, Z un'azione).
4. Dunque la concezione di libertà reale non solo rifiuta di confinare gli ostacoli che restringono la libertà alla coercizione. Essa rifiuta anche di confinarli agli ostacoli esterni che riguardano la persona o agli ostacoli che sono prodotti deliberatamente e che sono creati o possono essere rimossi da altri esseri umani. Sono egualmente non-libero di nuotare sia che me lo vieti il prorietario del laghetto sia che non me lo permettino i miei deboli polmoni.
5. Dunque la società che rende i suoi membri massimamente liberi si delinea come una società nella quale esiste una salda struttura di diritti (security) che protegge le persone dall'uso arbitrario della forza, dove ciascuna persona è proprietaria di sè (self-ownership) e ha la più alta opportunità di fare quello che potrebbe voler fare (opportunity)
Se per le due prime proprietà vale l'eguaglianza, per la terza vale il criterio di leximin (maximin lessicografico) caratterizzato da due fattori,
A) quello per cui una società va valutata comparando la situazione dei più svantaggiati con quella degli svantaggiati di ogni altra società (si tratta del maximin cioè l'idea per cui vanno individuati gli esiti peggiori tra le alternative disponibili e va scelta l'alternativa il cui esito peggiore è migliore degli esiti peggiori di tutte le altre)
B) e quello per cui nel caso gli svantaggiati di due diverse società stanno egualmente bene, occorre guardare alla situazione dei secondi più svantaggiati e poi dei terzi e così via.
6. La security ha priorità sulla self-ownership e questa sulla opportunity, anche se si può tollerare una più lieve perdita di un fattore superiore, per un guadagno consistente riguardante un fattore inferiore (es. si può accettare una lieve perdita sociale di security in cambio di un consistente guadagno sociale di opportunity)
7. Secondo van Parijs il reddito di base sarebbe lo strumento che garantisce la presenza di questi tre fattori. Esso va erogato alle condizioni per cui da un lato esso deve essere economicamente sostenibile, dall'altro deve vigere una situazione di diversità non-dominata, in cui cioè nessuno ha una dotazione di risorse interne (capacità) ed esterne (ricchezze) così bassa che nessuno farebbe a cambio con lui; in caso contrario almeno parte delle risorse destinate al reddito minimo dovrebbero essere utilizzate per ricostituire tale situazione di diversità non-dominata
Ad es. prima di destinare risorse al reddito minimo, bisognerebbe destinare risorse agli handicappati sotto forma di assistenza medica specifica, abolizione delle barriere architettoniche etc.

Su questa giustificazione del reddito minimo vale la pena di dire che
I. La libertà reale di van Parijs ricorda quella reale e sostanziale di stampo hegelo-marxista. Tale ascendenza va ricordata altrimenti tutto quello che sa di anglosassone sembra essere sempre nuovo e "fashion" , mentre invece va ricollegato alla tradizione filosofica passata
II. C'è bisogno comunque di ridurre l'ambito delle restrizioni alla libertà reale in modo da escludere quelle per nulla legate all'attività umana (intesa sia come causa della restrizione, che come azione possibile contro la restrizione stessa)
III. la gerarchia tra security, self-ownership e opportunity va ridiscussa volta per volta a seconda delle situazioni conflittuali concrete. Ogni gerarchia aprioricamente stabilita rischia di essere poco applicabile nella vita politica effettivai

domenica, gennaio 08, 2006

Reddito minimo e movimento femminista

Alcuni riconoscono l'esistenza di attività (come le faccende domestiche, le cure degli anziani, le attività di volontariato) che generano esternalità positive e soddisfano bisogni per i quali c'è una domanda, ma per le quali non è previsto compenso.
Tali attività sono essenziali non solo per chi ne trae direttamente beneficio, ma anche per tutto il mercato del lavoro, giacchè sono queste attività non pagate che permetteno di assorbire alcune tensioni dell'organizzazione sociale derivante dal lavoro salariato.
Il reddito di base costituirebbe lo strumento attraverso cui riconoscere questo diritto e pagare così lavori altrimenti non remunerati. Ci troveremmo di fronte ad una sorta di salario sociale che però non sarebbe vincolato alla disponibilità di ciascuno a lavorare, sulla base del presupposto empirico che la maggior parte delle persone, se non proprio tutte, finisce per essere impegnata in questo tipo di attività.
Per ragioni storiche e culturali sono spesso le donne a farsi carico di questo tipo di attività e il reddito di base potrebbe configurarsi come un modo per retribuire il lavoro che le donne svolgono per la famiglia all'interno delle mura domestiche.
Un reddito incondizionato avrebbe effetti positivi per le donne non solo in termini meramente retributivi, ma anche perchè aumenterebbe la loro indipendenza economica e il loro potere contrattuale sia nella sfera lavorativa che nella sfera familiare: esse potrebbero rifiutarsi di effettuare lavori pesanti e mal retribuiti fuori dalle mura domestiche, senza dover necessariamente rimanere alle dipendenze dei mariti.
In questo modo il reddito di base potrebbe dare un contributo per la lotta alle ingiustizie di genere.
A tal proposito Ailsa McKay ha sostenuto che la discussione sul reddito di base non esce dal pregiudizio androcentrico che assume la logica produttivistica come essenziali per la definizione delle relazioni sociali e per l'elaborazione dei meccanismi di protezione sociale. Infatti il reddito di base mantiene fermo il valore positivo attribuito all'occupazione. Se nelle economie di mercato il lavoro domesticoe familiare è sottovalutato rispetto al lavoro salariato e se il reddito di base favorisce forme di lavoro più flessibili, allora esso finirà per spingere le donne dal lavoro domestico verso il lavoro salariato senza però incentivare gli uomini a compiere il percorso inverso. A questo proposito, conclude McKay, occorre pensare più che al reddito di base classico, all'istituzionalizzazione del diritto ad un reddito non condizionato interamente separato dal mercato del lavoro. Il reddito incondizionato garantito deve essere pagato ad un livello giudicato sufficiente per venire incontro ai bisogni fondamentali, in modo che qualsiasi altro reddito guadagnato sia indicazione delle preferenze individuali in quanto opposte ad una necessità economica.
Ingrid Robeyns dice invece che i meccanismi che operano nella creazione di disuguaglianze di genere agiscono nel profondo e assumono l'apparenza di scelte libere di uomo e donna per cui il reddito di base non solo non rimuoverebbe le ingiustizie di genere, ma anzi incentiverebbe le donne a rinunciare al lavoro esterno (soprattutto se faticoso o pagato poco)
Le considerazioni che si possono fare su questo aspetto del reddito di base sono le seguenti:
1.La McKay ha perfettamente ragione: il reddito di base non deve essere compenso di alcunchè, ma deve essere garanzia incondizionata per il soddisfacimento parziale (integrato con i servizi sociali) di bisogni primari e in soggetti adulti garanzia di tempo per l'espletazione di attività socialmente ma non economicamente rilevanti, le quali però se fossero rimunerate, dovrebbero esserlo molto di più (come uno stipendio o un salario)
2. Per quanto riguarda Robeyns non esiste solo la discriminazione di genere: un lavoro faticoso e pagato poco non viene rifiutato da una donna solo per riflessi condizionati di subalternità di genere, ma anche per evitare subalternità di altro genere.

Le riserve di Gorz sul reddito di base

Gorz elabora una serie di riserve sul reddito di base che vale la pena esaminare
Egli dice che


  1. E ' giusto dire che non è possibile riservare il diritto ad un reddito alle sole persone che occupano un posto di lavoro nè far dipendere il livello del reddito dalla quantità di lavoro fornita da ciascuno. Da qui l'idea di un reddito garantito indipendentemente dal lavoro, idea rilanciata negli anni '60 negli Usa come sostituto del regime di previdenza sociale molto lacunoso oltreatlantico (fu promesso sia da Nixon che da Mc Govern), ripreso in Germania nel 1982.
  2. A tal proposito si doveva decidere anche se il diritto al reddito (oltre che dal diritto al salario) andasse dissociato anche dal diritto al lavoro e su quest'ultima opzione è ricomparsa la divisione tra destra e sinistra in Germania, mentre in Francia sembra esserci la necessità a destra come a sinistra (per chi non ha mai lavorato, per chi non lavorerà più, per i portatori di handicap, i sofferenti mentali, i malati ) di fare qualcosa, occupandosi però degli effetti senza interrogarsi sulle cause
  3. Il minimo garantito sarà un palliativo temporaneo in attesa di politiche di redistribuzione del lavoro ? L'inizio di una transizione verso una fase in cui il lavoro sarà intermittente per tutti ed in cui un secondo assegno garantirà un livello di vita normale quando non si lavora? O sarà l'oppio dei popoli che permetterà di ridurre al silenzio ed all'inattività un terzo della popolazione e renderà tollerabile un 'estensione della disoccupazione e della marginalità ? Infatti le leggi dei poveri della legislazione sociale di fine '700 si accompagnarono alla soppressione delle protezioni sociali (quali il diritto a coltivare un po' di grano e verdura sulle terre comunali) di cui beneficiavano i lavoratori senza terra dei comuni rurali, costringendoli così a lavorare per i proprietari terrieri. Questi ultimi però non avevano necessità di impiegare in permanenza una manodopera supplementare. Le poor laws permettevano ai proprietari di sostituire salariati fissi con braccianti occasionali che una volta finito il raccolto potevano rispedire a vivere del minimo di sussistenza che la parrocchia era tenuta a versare agli indigenti
  4. In realtà questo genere di garanzie non derivano dalla solidarietà, ma dalla carità istituzionale ed invece di combattere la segmentazione della società, tendono semplicemente a renderla accettabile e preso da solo è un'idea di destra. L'alternativa di sinistra è che non si deve accettare che la crescita della disoccupazione sia un dato inevitabile nè si deve accettare la scissione della società in lavoratori permanenti di pieno diritto ed esclusi. Perciò va affermato il legame indissolubile tra diritto al reddito e diritto al lavoro : ogni cittadino deve avere diritto ad un livello di vita normale, ma ognuno deve avere la possibilità (il diritto/dovere) di fornire alla società l'equivalente in lavoro di ciò che consuma, il diritto di non dipendere per la sussistenza dalla buona volontà di chi detiene il potere di decisione in campo economico. Perciò l'unità indissolubile di diritto al reddito e diritto al lavoro è per ciascuno la base della cittadinanza
  5. Nelle società capitalistiche contemporanee non c'è molto spazio per lo sviluppo di nuove forme di comunità microsociali basate sulla volontaria cooperazione e su progetti condivisi, con il risultato di un deficit permanente di rapporti comunitari e di partecipazione sociale.
  6. D'altra parte l'essere genericamente ed astrattamente membro di una comunità politica non può essere considerato un valido surrogato; infatti nelle società moderne complesse è la partecipazione al processo sociale di produzione economica che costituisce un essenziale fattore di socializzazione e di appartenenenza, il che è quanto dire che il lavoro resta essenziale per la piena inclusione nella società. L'appartenenza alla comunità presuppone un qualche tipo di obbligo, in quanto non c'è inclusione senza obblighi reciproci, ed è nel lavoro socialmente riconosciuto che tali obblighi si estrinsecano.
  7. Non conta da questo punto di vista che si esercitino attività a livello microsociale (le attività di cura) che pure quando fossero retribuite, non possono offrire cittadinanza nel senso pieno del termine (essendo svolte secondo modalità e finalità extraeconomiche ed extragiuridiche) laddove la cittadinanza viene attribuita in una sfera pubblica retta da logiche economiche e governata con strumenti giuridici. Il lavoro formale in senso economico è regolato da norme e rapporti universali che liberano l'individuo dai legami di dipendenza particolari e lo definiscono come individuo universale e cioè come cittadino: la sua attività remunerata è socialmente riconosciuta come lavoro in generale ed ha un'utilità sociale generale; si può vendere questo lavoro ad un numero indefinito di imprese senza dover allacciare con chi mi paga una relazione personale e privata. Lavorare nella sfera pubblica macrosociale significa che stai svolgendo un lavoro che ti assicura il riconoscimento sociale della tua utilità e ti fa sentire che eserciti un ruolo o occupi uno spazio nella società, che vali quanto chiunque altro: inoltre significa che non lavori per la persona del tuo capo, ma per far fronte ad un qualche bisogno o esigenza sociale che possono esprimersi più o meno attraverso il mercato.
  8. Da qui deriva il carattere emancipatorio del lavoro formale giacchè esso mi conferisce la realtà sociale impersonale di individuo astratto la cui identità personale non è conferita dal lavoro a cui non devo impegnarvi tutta la mia persona e tutta la mia vita : i miei obblighi sono ben delimitati dalla natura del mestiere, dal contratto di lavoro e dal diritto sociale. Una volta adempiuto ai miei obblighi contrattuali, non apppartengo che a me stesso, ai miei cari ed alla mia comunità di base. La sfera microsociale privata esiste come sfera di sovranità e di reciprocità volontaria solo in quanto è il rovescio di una sfera delimitata di obblighi sociali ben definiti. Se sono sollevato dall'obbligo di guadagnarmi da vivere lavorando, per poco che sia il lavoro, ho solo un'esistenza privata o microsociale e non essendo asservito ad alcun obbligo sociale generale, ad alcuna necessità socialmente riconosciuta non posso essere nè fare altro che quel che abbia deciso io stesso : escluso da ogni gruppo e da ogni iniziativa, ridotto alla noia di vivere, alla coscienza vivida della mia contingenza, sono un soprannumerario della specie umana.
  9. A tal proposito non è la garanzia di un minimo sociale che può cambiare qualcosa e neppure l'attribuzione di un lavoro fittizio, creato apposta per impiegare le persone per le quali non ci sono veri posti di lavoro e giustificare il sussidio che viene loro versato. Per quanto l'ammontare del minimo garantito possa essere elevato, non cambia minimamente il fatto che non si attende nulla da me, dunque mi nega la realtà di individuo sociale in generale. Mi versa un sussidio senza chiedermi niente, dunque senza conferirmi dei diritti su di lei; con questo sussidio mi tiene in suo potere: ciò che mi concede oggi, può lesinarmi o togliermi domani, perchè non ha alcun bisogno di me, mentre io ho bisogno di lei. Ad es. nella versione di destra il minimo garantito è un reddito concesso dallo Stato, finanziato con prelievi fiscali, per cui lo Stato prende da chi lavora e dà a chi non lavora, senza nessun concreto esercizio di solidarietà tra occupati e disoccupati: la legittimità di questo trasferimento resterà sempre più o meno contestata e lo Stato sarà sempre sospettato di favorire il parassitismo e l'indolenza e allontanerà il sospetto con una serie di controlli più o meno umilianti e i beneficiari saranno sempre in balia di rivolte fiscali e cambiamenti politici. Un reddito base di questo tipo servirà sempre da pretesto alla moltiplicazione dei lavoretti e piccoli impieghi precari, considerati come fonti di reddito integrativo ed inoltre faciliterà l'ulteriore discriminazione verso le donne, trasformandolo nel loro caso in un salario domestico. In pratica tale provvedimento salverebbe l'individuo dalla decomposizione della società del lavoro, ma non svilupperebbe una dinamica sociale che apra prospettive di emancipazione.
  10. Perciò non è con l'integrazione del reddito che si genera integrazione sociale, per il semplice fatto che il consumo è diverso dalla partecipazione (far parte di un gruppo significa che si può contare sugli altri, ma anche che gli altri contano su di noi) e ciò che importa alle persone non sono soltanto i propri introiti complessivi, ma è la capacità di mantenersi da soli con i propri guadagni. Il diritto al reddito deve dunque legato al dovere di lavorare non per salvare la società del lavoro, ma per produrre il reddito che si riceve, per salvare l'unità dialettica di diritto e dovere: il mio diritto è il dovere degli altri verso di me ed implica il mio dovere verso gli altri
  11. In una concezione di sinistra non si tratta di garantire un reddito indipendente da qualsiasi lavoro: si tratta di garantire e il reddito e la quantità di lavoro sociale corrispondente, un reddito cioè che non deve diventare indipendente dal lavoro in sè, ma dalla durata del lavoro così che la riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario non implichi la riduzione del reddito. In questo modo, per quanto il lavoro diventi intermittente e si riduca la sua durata, il reddito garantito a ciascuno non cesserà mai di essere un reddito guadagnato. Insomma la garanzia di un reddito garantito per chi è marginalizzato dalla società non deve essere nè lo scopo ultimo nè il punto di partenza del progetto politico, che invece deve essere la diminuzione del volume di lavoro necessario per eliminare la disoccupazione involontaria, la povertà, la mancanza di tempo, l'obbligo al rendimento ed al tempo pieno. Non si tratta di assicurare un sussidio a chi rimane fuori ma di togliere le condizioni che hanno portato all'esclusione di parte della forza lavoro dal mercato.
  12. Il reddito di base perciò può essere utilmente impiegato in una strategia di più ampio respiro che comprenda tre ulteriori linee di intervento e cioè una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, l'introduzione di concreti programmi di formazione e un riconoscimento sociale delle attività volontarie. Tale strategia globalmente considerata permetterebbe di redistribuire in maniera più equa il lavoro socialmente utile consentendo alle persone di operare una scelta tra un maggior guadagno e un maggior tempo libero da dedicare ad attività nel microsociale.
  13. Da questo punto di vista il reddito di base costituisce il pagamento differito o anticipato della quota di ricchezza socialmente prodotta dall'individuo e dunque un reddito cui si ha diritto per aver svolto la propria quota di lavoro socialmente utile all'interno di una società in cui il lavoro è distribuito equamente tra tutti, un reddito guadagnato che è dovuto e non concesso dalla società per la quota di lavoro che si è impegnati a compiere
  14. Concludendo il reddito di base non è una misura che può essere scissa da altri meccanismi di intervento aventi come obiettivo l'inclusione sociale, in primis quelli finalizzati a garantire alle persone un'occupazione stabile e decente

A queste tesi vanno poste le seguenti osservazioni

  • In realtà come dice pure Marx la legge dei poveri rese impossibile non stabilire un salario minimo e dunque consentì di assestare il rapporto tra capitale e lavoro su di un equilibrio più avanzato senza attardarsi nella difesa anacronistica delle prerogative precapitalistiche dei lavoratori rurali.
  • Gorz confonde il diritto al lavoro e il dovere di lavorare che sono due cose diverse (non si può parlare di diritto/dovere di lavorare) soprattutto all'interno dei rapporti capitalistici di produzione
  • La politica di cui parla Gorz è la politica alienata (quella dei giorni festivi) propria della fase capitalistica. Dunque la sua astrazione non è connaturata alla politica, ma è l'effetto di una situazione patologica che va rimossa e non accettata come tale, come fa Gorz
  • Gorz parlando del lavoro come legame universale e astratto, nasconde l'esistenza dietro il lavoro astratto del lavoro alienato che è sì lavoro astratto, ma non riesce ad essere legame universale di cittadinanza. Egli presuppone una società socialista che non c'è stata e forse non ci sarà mai (a dispetto del modello di transizione ipotizzato da Marx) ed a cui si è avvicinata più la socialdemocrazia nordeuropea che il socialismo reale. Ragionamenti del genere sono fuorvianti in un contesto capitalistico. Inoltre l'uscita dal lavoro salariato non vuole immediatamente dire noia di vivere ed emarginazione sociale.
  • Il reddito minimo non vuol dire sancimento della precarietà del lavoro, ma al contrario uno strumento per combattere la coazione al lavoro precario
  • Il fatto che un reddito concesso dallo Stato si risolva in una dipendenza dallo Stato o dalla politica clientelare è già un fatto da quando per ribadire la coazione al lavoro ci si è accontentati del lavoro fasullo propinato dallo Stato e in certe fasi clientelarmente condizionato. Il reddito minimo di cittadinanza invece fa sparire il velo che consentiva la genesi di processi di corruzione politica e presenta la lotta per l'instaurazione ed il mantenimento di un reddito sganciato dal lavoro come una lotta per la denuncia e la redistribuzione del surplus generato dallo sfruttamento del proletariato sia lavorante che non-lavorante (dal momento che ci si serve dei bisogni di chi non lavora per condizionare chi lavora)
  • La partecipazione se non è data dal reddito minimo non è neanche data dal lavoro salariato: piuttosto il reddito minimo costituisce la base per generare una forma non alienata di partecipazione consentendo agli individui di non accettare per forza la forma alienata caratterizzata dal lavoro salariato
  • Impedire a tutti i costi l'espulsione dal mercato del lavoro presuppone che l'unica forma di lavoro possibile è quella storicamente determinata del lavoro salariato
  • Il fatto che è il lavoro il mezzo per l'inclusione sociale è un fatto, ma Gorz anche qui non fa capire se sia condivisibile o meno. In realtà il fatto che il lavoro alienato venga riconosciuto come requisito della cittadinanza è l'effetto ultimo di quell'alienazione sociale che va combattuta anche attraverso il reddito di base. Gorz considera come un dato semplicemente da accettare il fatto che il lavoro socialmente riconosciuto sia quello gestito secondo la logica economica, ma la lotta per il reddito di base serve proprio a includere l'attività gratuita (non scandita dal tempo uniforme dell'orologio) tra quelle socialmente riconosciute. Se l'attività politica è astratta, l'attività economica è alienata: singolarmente prese nessuna è un autentico veicolo di partecipazione alla vita della comunità.
  • Dire che nel lavoro socialmente riconosciuto non si lavori per il proprio datore di lavoro (chi è il capo, se non il detentore del capitale?) è un'ingenuità in odore di ipocrisia. Gorz sembra edificare la sua catapecchia senza tener conto dai materiali di costruzione elaborati da K. Marx
  • Dire che il consumo non equivale alla partecipazione, significa fermarsi ad un'astratta posizione etica che non tiene conto di come il consumo sia un momento necessario per l'equilibrio del ciclo economico capitalistico, momento che salva il ciclo da una produzione spesso inutile che è ormai in larga parte fine a se stessa. Inoltre privilegiare la produzione rispetto al consumo significa invertire l'ordine dei valori grazie ai quali riconosciamo a quale fine che non sia la felicità dei singoli e della collettività sia subordinato tutto l'insieme della produzione sociale
  • Il reddito sociale di base non deve essere considerato compenso di niente, ma nucleo concreto della cittadinanza e del riconoscimento sociale che va assegnato per la sola comunanza di specie e per la soddisfazione dei bisogni primari, soddisfazione che non può essere condizionata a nessun erogazione di lavoro
  • E' giusto collegare il reddito di base ad una redistribuzione del lavoro necessario e/o sgradevole, ma ciò non perchè da solo il reddito di base manchi di sufficiente legittimità.
    Ciò dal momento che la redistribuzione del lavoro necessario trova resistenze più all'interno della categoria degli occupati che non all'interno di quella degli inoccupati

A. Gorz ha comunque cambiato la sua posizione diventando molto più favorevole nei confronti del reddito di cittadinanza. Infatti in Miseria del presente, ricchezza del possibile egli sostiene che

I. Bisogna passare da una liberazione nel lavoro ad una liberazione dal lavoro e dunque bisogna promuovere un reddito garantito incondizionato basato sul sapere vivo collettivamente detenuto dagli individui e che fa dell'intelligenza collettiva la principale forza produttiva. Per Gorz il precariato è la condizione comune (attuale o potenziale) a tutti i lavoratori ed il movimento dei disoccupati francesi ha dato un grande contributo al maturare di questa consapevolezza (il 40% della popolazione attiva francese, il 45% di quella tedesca e il 55% di quella italiana sono formate da lavoratori atipici).

II. Si deve per Gorz rifiutare i lavori indegni ma non limitarsi a questo, piuttosto bisogna elaborare un progetto che leghi in una prospettiva comune la diversità delle aspirazioni, dei livelli di esperienza, delle forme di socialità, di cooperazione che da soli non sono capaci di comunicare direttamente tra loro. La forza lavoro sociale deve riappropriarsi delle potenze intellettuali della produzione considerando che il Capitale tende a proteggersi da tale riappropriazione limitando l'estensione, l'interconnessione e l'uso delle conoscenze prodotte e trasmesse.

III. Infatti dalla nascita del capitalismo, i mezzi e le tecniche di produzione, l'organizzazione e la divisione del lavoro e dei saperi hanno sempre avuto, oltre che una funzione produttiva, anche una funzione di dominio. Se il Capitale non può controllare e dominare la forza-lavoro, esso non può nemmeno trarre da essa il massimo di plusvalore. Ma in linea di principio quando il sapere, la conoscenza, la capacità di autorganizzazione diventano la principale forza produttiva e la forma essenziale di capitale fisso, può aprirsi uno spiraglio all'interno dei dispositivi di potere del Capitale. Quest'ultimo si trova nell'inedita situazione di dover valorizzare ciò che dal punto di vista del processo di produzione immediato è al tempo stesso forza-lavoro e capitale fisso. Poichè la proprietà di questo capitale umano manifestamente impossibile, la proprietà privata dell'impresa capitalistica diventa problematica. In mancanza di proprietà e monopolio del sapere, il Capitale esercita il suo potere sulla divisione, trasmissione, omologazione, valutazione e suddivisione dei saperi e sulle condizioni di possibilità della loro messa in opera. Il potere del Capitale sul lavoro cessa di essere un potere frontale che obbliga e controlla direttamente, ma si esercita obliquamente condizionando l'intera persona e controllando i lavoratori attraverso il modo in cui esso esige di essere controllato da essi. Perciò la riappropriazione delle competenze e dei saperi del general intellect non può avvenire immediatamente e direttamente a livello dell'impresa e del processo di produzione immediato. Esso deve effettuarsi a monte della produzione e deve elaborare processi alternativi di acquisizione, ricomposizione, sviluppo e messa in opera delle capacità dei saperi e delle competenze.

IV. Gorz dice poi che secondo alcune concezioni le capacità che gli individui sviluppano fuori dal lavoro immediato contribuiscono enormemente alla sua produttività all'interno di un processo (chiamato appunto postfordista) che le esige e le mobilita. Le attività esterne al lavoro sarebbero dunque indirettamente produttive e meriterebbero a questo titolo di essere remunerate socialmente. Questa concezione però per Gorz trasforma tutta la vita in lavoro e pone comunque al suo centro la produzione; inoltre essa non tiene conto del fatto che dal punto di vista delle temporalità la differenza tra lavoro e non-lavoro rimane intatta

V. Infatti il tempo di lavoro è tempo organizzato razionalmente al fine di ottenere il miglior risultato col minimo sforzo possibile; al contrario il tempo libero non è tempo nel quale si fa economia, ma è tempo da spendere senza contarlo e senza contare l'energia che vi si impiega. In questo caso la massima spesa di energia è persino un elemento del massimo godimento e vale in quanto fine a se stessa

VI. Tuttavia è vero che il processo di produzione ormai tende a mobilitare all'interno del lavoro immediato e direttamente produttivo le stesse capacità di autonomia, di iniziativa, di immaginazione e di comunicazione delle attività esterne al lavoro le quali vengono messe all'opera in maniera pianificata in vista di un risultato determinato. Ma nella cooperazione produttiva l'interazione e la comunicazione vi acquistano un senso diverso da quello che hanno in un balletto, per una squadra sportiva, in un dibattito politico ed in un dialogo amoroso. Non è per essere più produttivi che i soggetti sviluppano le proprie facoltà all'interno di tali attività ma è perchè essi sviluppano tali facoltà che la produttività della loro forza-lavoro aumenta.

VII. Tale distinzione è indispensabile per evitare di impattare nell' autovalorizzazione cioè quel modo ossessivo che nel contesto attuale hanno i membri più competitivi e creativi dell'elite del sapere di considerarsi vero e proprio capitale fisso esigendo di essere messi massimamente a profitto. La massimizzazione della loro produttività, creatività e competitività è la ragione essenziale di tutto ciò che fanno al di fuori del lavoro immediato e tutto questo per loro fa parte del lavoro perchè è necessario al mantenimento ed all'accrescimento del capitale umano che ai loro occhi essi rappresentano

VIII. Quando Marx a tal proposito scrive che il tempo libero per lo sviluppo dell'individuo retroagisce come forza produttiva più elevata sulla forza produttiva del lavoro, egli osserva anche che l'aumento della produttività del lavoro ha per effetto e deve avere come scopo quello di permettere la riduzione al minimo del tempo di lavoro e la liberazione del tempo per l'ozio come per le attività superiori. . La riduzione del tempo di lavoro immediato non deve dunque essere (come vorrebbe la maggior parte dei padroni) il mezzo per accrescere la produttività delle persone attraverso una formazione continua mirata e specializzata, ma il mezzo per aumentare il tempo disponibile per il pieno sviluppo delle capacità in particolare della capacità di godimento e dell'inclinazione all'otium. L'accresciuta produttività risulterà per soprammercato dal pieno sviluppo della capacità di ciascuno e porterà a nuove riduzioni del tempo di lavoro immediato

IX. Dunque per essere realmente fecondo occorre che lo sviluppo delle capacità di tutti ecceda i bisogni del processo di produzione immediato (delle imprese) e conferisca agli individui un'autonomia reale non solo dentro ma anche rispetto al lavoro immediato: un'autonomia non solo professionale, ma culturale capace di mettere in discussione lo scopo del lavoro nel suo contesto sociale. Nell'era dell'economia dell'immateriale, quest'autonomia è la vera posta in gioco, giacchè l'autonomia nel lavoro è uno strumento di cui il Capitale si serve per asservire (la creatività di uno scrittore al servizio della pubblicità non cessa di essere notevole) , mentre tale autonomia si acquista principalmente nella lotta al produttivismo

X. Gorz poi dice che il reddito garantito attenuando l'obbligo monetario al rapporto salariale può essere uno strumento essenziale per la trasformazione del lavoro all'interno dell'impresa e per la sua riappropriazione. Esso però avrà un senso pieno solo se tale riappropriazione è un fine dichiarato sin dall'inizio e si accompagna ad azioni politiche che rendono possibile tale riappropriazione: il reddito garantito (per non essere il salario della marginalità) deve prima di tutto sfociare nel diritto di scegliere la durata, gli orari, le intermittenze e le discontinuità del lavoro. Ovviamente nè la riappropriazione del tempo nè quella del lavoro si sviluppano spontaneamente se non corrispondono ad un progetto collettivo e politico esprimibile nella riappropriazione trasformativa di un territorio dotandolo di strutture tecnicamente avanzate per l'autoattività, l'autoapprendimento, l'autoproduzione e l'autorganizzazione.

XI. La riappropriazione del lavoro e dell'impresa non può realizzarsi attraverso l'autogestione e la proprietà collettiva delle imprese come sono: essa presuppone un'altra concezione dal momento che il lavoro e l'attività umana possono ormai svilupparsi solo al di fuori della sfera di valorizzazione capitalista. L'avvento del reddito di base deve essere intesa non come avvento al diritto a non far niente, ma come diritto ad altre forme di cooperazione sociale al fine di creare una totalità di valori d'uso che non hanno nè prezzo nè valore di scambio quantificabili. Tale reddito deve essere incondizionato perchè nella civilizzazione che si va costruendo il tempo di lavoro immediato è poca cosa rispetto al tempo trascorso ad acquisire le capacità che il lavoro immediato mette in opera e dunque è assurdo far dipendere il diritto ad un reddito e la sua quantità dal tempo di lavoro immediato. Ma è ugualmente assurdo continuare a farlo dipendere da certe forme di lavoro mediato di produzione di sè. Ciò significherebbe chiedere che la produzione di sè, anzichè essere libero sviluppo delle individualità venga assoggettata a delle norme e adelle forme istituzionali di controllo della sua utilità sociale (intesa come conformità agli interessi dominanti).

XII. Il capitale riconosce che l'autonomia e la creatività e l'immaginazione delle persone gli sono necessarie e per questo si ignegna a captare la loro libera produzione chidendole entro limiti che consentono all'impresa di trarne profitto. D'altra parte è perverso esigere (come fanno Rifkin ed altri socialdemocratici) che il reddito di base sia riservato ai cittadini che si fanno benevolmente carico di attività riconosciute di pubblico interesse. Queste infatti cesserebbero di essere benevole e disinteressate, ma diventano un mezzo tra altri per guadagnarsi la vita. La condizionalità trasforma il reddito di base in salario (si pensi che in Usa, Gran Bretagna e Francia le madri nubili hanno spesso un figlio ogni tre anni perchè è la sola condizione per avere un alloggio o un reddito di sopravvivenza

XIII. Infine dice Gorz le iniziative del movimento dei sans papiers rende visibile la precarizzazione generalizzata del lavoro non solo in Francia ed in Europa, ma su scala planetaria. Interi settori della produzione e dei servizi si reggono sia in Nordamerica che in Europa su una manodopera nomade la ribasso e semiclandestina. Essa è la punta di diamante di cui una parte dei padroni si serve per minare le rigidità del mercato del lavoro, per impiegare sul territorio nazionale una forza-lavoro alle stesse condizioni della Cina o delle Filippine. Dunque per colpire i meccanismi di valorizzazione del Capitale occorrono azioni e politiche nazionali e transnazionali e nonostante l'impermobilità del Capitale, la concertazione su scala planetaria non sono sue armi esclusive ma possono essere rivolte contro di lui.. Bisogna estendere la cittadinanza dunque o estendere il salario minimo al di là della cittadinanza

XIV. Il tipo di industrializzazione che in Occidente ed in Giappone ha permesso di urbanizzare e trasformare in salariati le masse rurali non esiste più: esiste un tasso di disoccupazione nel mondo di circa il 25% della popolazione attiva e bisognerà creare milioni di posti di lavoro per stabilizzare nei prossimi decenni il tasso di disoccupazione al livello attuale, ma la mondializzazione distrugge più posti di lavoro di quanti ne crea perchè le industrie che le società transnazionali impiantano nel Terzo mondo spesso sono più automatizzate dei loro equivalenti occidentali e distribuiscono una massa salariale troppo debole per dare impulso ad una crescita economica endogena. L'invenzione dunque di alternative al salario ed agli scambi mercantili monetizzati è quindi un imperativo di sopravvivenza per la maggior parte della popolazione mondiale

L'ultimo Gorz dice cose molto condivisibili soprattutto quando parla della necessità che le attività del tempo di non-lavoro non abbiano la stessa temporalità contratta del lavoro, ma abbiano i liberi tempi dell'ozio. Perchè comunque vi sia quella riappropriazione collettiva del general intellect vi deve essere una riforma radicale del sapere e l'unificazione di quelle che Snow chiamava le due culture. Il processo perchè però questo accada è forse ancora inedito

sabato, gennaio 07, 2006

Giustificazioni comunitariste del reddito di base

Per i comunitaristi al contrario il reddito di base può essere un potente strumento di integrazione sociale.
Secondo Bill Jordan il liberalismo deve dare spazio adeguato ai valori della condivisione, della cooperazione e della democrazia. In secondo luogo appartenenza non vuol dire solo comuni diritti, ma condivisione di progetti e riconoscimento del'esistenza di obblighi reciproci
Nelle società capitaliste ora ci sono persone che sono tagliate fuori dal mercato e dunque dalla cooperazione sociale e dalla condivisione di un bene comune. Coloro che non hanno lavoro sono senza certezza, non hanno possibilità di accedere alla proprietà di beni, perchè non hanno la proprietà del lavoro. Il problema è allora: come realizzare l'inclusione di questa underclass?
In un mercato frammentato e precario il reddito di base consentirebbe i soggetti che sono ai margini ad accettare questi lavori precari (giacchè il reddito di base garantirebbe il soddisfacimento dei bisogni primari) e ad accedere al mercato del lavoro sfuggendo alla trappola della povertà. Il reddito di base sarebbe uno strumento per realizzare una redistribuzione del lavoro per includere così tutti i concittadini nella comunità sociale. Naturalmente tale processo deve essere accompagnato da una rivalutazione della sfera pubblica che favorisca lo sviluppo di cittadini attivi
In realtà tale versione del reddito minimo è a mio parere peggiore di quella liberale.
Infatti:
1. Presuppone che il lavoro rimanga lo strumento in cui si realizza la soggettività politica mentre il reddito minimo deve cominciare a realizzare il passaggio ad una fase in cui questo non sia più del tutto vero.
2. Considera il reddito minimo come un elemosina che consenta di digerire il lavoro precario, mentre dovrebbe essere uno strumento che serve a combatterlo
3. Ritiene che l'estensione del lavoro precario costituisca una reditribuzione del lavoro, mentre questa può essere garantita solo da una riduzione generalizzata dello stesso

In sintesi questa più di quella liberale è la versione di destra del reddito minimo

Internamente a tale prospettiva annoveriamo le critiche di Freeden all'idea di reddito di base, reddito che non sarebbe collegato alla partecipazione degli individui alla vita comunitaria. Inoltre Freeden osserva che non è detto che il bene comune sia raggiunto da politiche rigidamente egualitarie dal punto di vista distributivo e che il reddito di base è pensato solo per una parte della società e non per la comunità nella sua interezza.
Le critiche di Freeden non tengono conto del fatto che

I. Il reddito di base consente di svolgere attività che sono utili alla comunità, ma che non sono previste dal mercato del lavoro. Dunque esso è comunque collegato alla partecipazione alla vita comunitaria
II. Non è detto che il lavoro salariato e adeguato sia una forma di partecipazione alla vita della comunità, se non in forma alienata e patologica. Non è un caso che in Grecia coloro che partecipavano alla vita politica delegassero buona parte del lavoro economicamente rilevante agli schiavi
III. Il reddito di base stabilisce una redistribuzione egualitaria di base, che non impedisce differenziazioni ulteriori del reddito
IV. Il bene comune può essere garantito anche attraverso provvidenze ad una sola parte della società, senza contare il fatto che solo una minoranza della società sarebbe esclusa dal reddito di cittadinanza

giustificazioni liberiste del reddito di base

Per i neoliberisti (prendendo spunto da un'intuizione di Milton Friedman circa l'imposta negativa) il reddito minimo contribuisce a creare quelle condizioni sociali di sfondo che consentono a tutti l'esercizio delle libertà economiche e incoraggia le nuove iniziative imprenditoriali. Essa prende atto del fatto che ci sono persone che vivono del proprio lavoro e persone che non sono in grado di farlo e non necessariamente per colpa loro.Il reddito di base assolve la funzione di aiutare la forza di lavoro debole a sopportare gli effetti della precarizzazione del lavoro e della disoccupazione di lunga durata.Alcuni liberalsocialisti, preoccupati dei crampi della mano invisibile, tipo John Baker dicono che il reddito minimo dà corpo al diritto di non lavorare quale garanzia contro l'assenza di un'occupazione soddisfacente per tutti
Alan Carling invece dice che il reddito di base può costituire lo strumento che permette di evitare le transazioni non volontarie per cui un operaio che avesse a disposizione un reddito di base non sarebbe costretto a svolgere lavori sgradevoli per assicurarsi i mezzi di sussistenza
Nozick a questo argomento obietta che non c'è nulla di costretto nella scelta dell'operaio la scelta di una persona fra gradi diversi di alternative sgradevoli non è resa non-volontaria dal fatto che altri volontariamente hanno scelto ed agito secondo i loro diritti in modo da non rendere disponibile un'alternativa più gradevole
Ovviamente qui Nozick confonde scelta volontaria con scelta libera, ma una scelta che non abbia alternative concretamente perseguibili può essere consapevole quanto si vuole, ma libera non lo sarà mai. Inoltre Nozick ha una concezione dei diritti che non concepisce l' autolimitazione reciproca del loro esercizio a condizioni date e che dunque risulta essere oltremodo astratta.Del Bò osserva che qualcuno dovrà fare il lavori sgradevoli, ma dimentica come pure in precedenza che questo lavoro può essere temporalmente redistribuito, attraverso una parte del tempo di lavoro di ognuno svolta per l'esecuzione di lavori socialmente utili
Ci sono a queste interpretazioni anche le critiche da sinistra secondo le qualiil reddito minimo fa parte di una politica di palliativi che vuole proteggere la società dalla decomposizione della società del lavoro senza sviluppare una dinamica sociale che apra loro prospettive di emancipazione (Gorz prima maniera)
Inoltre il reddito di base se concepito come reddito di sopportazione, sancirebbe la marginalità e l'esclusione sociale, si rovescerebbe in un formidabile meccanismo di esclusione, una sorta di salario di subalternità, destinato cancellare ogni potere di contrattazione e di resistenza delle classi lavoratrici.Si tratterebbe di un riflesso della dualizzazione del mercato del lavoro in cui si contrapporrebbero una minoranza di lavoratori con le competenze per avere lavoro stabili, interessanti e ben pagati e una maggioranza di persone non qualificate e destinate a lavori sottopagatiA queste obiezioni si possono contrapporre le seguenti considerazioni:
1. il reddito minimo tende proprio a contrastare il lavoro precario che esisterà e si svilupperà sempre, se rimarrà valido il principio che ognuno deve lavorare per soddisfare i suoi bisogni primari. Invece il reddito minimo è legato al principio che i bisogni primari vanno soddisfatti senza la mediazione del lavoro, in quanto il lavoro è una merce la cui domanda può essere considerata in flessione di lungo
2. Il salario di subalternità esiste già e con esso la dualizzazione del mercato del lavoro, anzi c'è una scomposizione molto più segmentata del mercato del lavoro che rende molto difficile l'azione di difesa dei diritti dei lavoratori
3. Quanto alla dinamica di liberazione, al momento nè le istituzioni statali, nè quelle dei partiti, nè quelle più interne al mondo del lavoro sono riuscite a completare dinamiche di liberazione. Non si può chiedere al reddito minimo di farlo. Esso può generare solo le condizioni perchè le nuove soggettività vengono costituite o liberate e la condizione principale è la fine del ricatto del bisogno e la liberazione del tempo

Giustificazioni morali al reddito di base

Del Bò espone la questione morale del reddito di base, dicendo che ad es. si deve rispondere alla possibile obiezione che introducendo un reddito di base, si consentirebbe a certe persone di non lavorare e dunque di vivere sulle spalle di altri, di sfruttarli.
A tale obiezione Chiappero Martinetti risponde che non c'è sfruttamento se l'opzione "non lavorare e ricevere il reddito di base" è un'opzione in linea di principio aperta a tutti. Perchè il sistema produttivo funzioni, è necessario che una quota della popolazione lavori, ma questo non predetermina chi deve lavorare, solo che qualcuno dovrà lavorare.
A Del Bò questo sembra solo spostare la questione, perchè se qualcuno deve lavorare, anche se questo verrà scelto per sorteggio, questo qualcuno verrà sfruttato o no?
Lo sfruttamento è stato regolato forse equamente, ma rimane.

A queste considerazioni si può rispondere che:
1. Se il reddito di cittadinanza si dà a tutti coloro che ne potrebbero aver bisogno (esclusi coloro che hanno un reddito superiore ad un certo importo) il problema (se effettivamente, dato il livello di consumi esistente nelle nostre società, un basic income dà tutta sta' libertà) è chi voglia lavorare per altri motivi: ebbene se non si vuole col proprio lavoro mantenere coloro che non vogliono/possono lavorare, basta accontentarsi del basic income. Se si vuole lavorare per altri motivi, il fatto di lavorare anche per chi questi motivi non li ha non sarà di nocumento. Non ci si sente sfruttati per questo, giacchè "essere sfruttati" vuol dire "lavorare mantenendo altri che non lavorano e non poter scegliere altrimenti", ma qui la possibilità c'è, ed è quella di accontentarsi del basic income, mentre l'adire stesso al lavoro ed al reddito che ne consegue è sottoscrivere il contratto sociale che prevede il mantenimento minimo di chi non lavora, è l'altra medaglia del diritto al lavoro, che è quello della redistribuzione delle chances almeno per quanto riguarda un livello minimo di vita socialmente condiviso.
Si può a questo punto dire: e se nessuno volesse lavorare?
In questa fantascientifica ipotesi, si dovrebbe rispondere alla domanda: che lavoro c'è da fare e quanto ce ne è da fare, cosa si produce e perchè etc, quali sono i bisogni fondamentali.
Insomma se nessuno volesse lavorare, si ritornerebbe a discutere sulle ragioni del legame sociale e questo potrebbe essere un bene
Si capirebbe qual è la domanda effettiva di lavoro vivo e come redistribuire il lavoro necessario
Se ci fosse tale redistribuzione ci sarebbe una quasi piena occupazione e non ci sarebbe più sfruttamento (almeno tra esponenti della forza lavoro). Il fatto che tale battaglia per la redistribuzione del lavoro sia così fiacca la dice lunga sul fatto che chi lavora è sfruttato di disoccupati, o meglio la dice lunga sulla rilevanza di questo sfruttamento per il benessere dei lavoratori. I problemi sono forse altri o la tubazione perde da qualche altra parte

2. Ma andiamo infatti sul concreto e vediamo cosa implica il lavoro di chi lavora: per varie ragioni il tempo di lavoro di fatto è più lungo di quello stabilito dalla legge e non a caso almeno in Italia le sanzioni pecuniarie stabilite per lo sforamento dello straordinario non sono mai state adeguate dal 1925 (o giù di lì) al costo della vita. Perchè secondo voi? In alcune fasi del ciclo le ore di straordinario (per ragioni le più diverse ) sono state altissime. Cosa è stata questa se non sottrazione di lavoro a chi stava fuori? Ovviamente al capitale questo conviene (assumere altro personale sarebbe troppo costoso), e conviene a chi lavora (per necessità perchè si potrebbe essere licenziati in questo ambito di precarietà o per convenienza perchè sono più soldoni, più carriera, etc etc). Ebbene in questo caso il basic income dividerebbe coloro che lo fanno per necessità (a cui darebbe l'alternativa del reddito minimo garantito) da coloro che lo fanno per vantaggi personali (che pagano questa soddisfazione mantenendo i primi)

3. Ma tagliamo la testa al toro: in primo luogo, il preteso sfruttamento già c'è se un disoccupato va dal medico della mutua e si fa curare gratis, perchè quel medico lo paga chi lavora
Ma la cosa fondamentale è che tale obiezione nega semplicemente che lo sfruttamento c'è già ab ovo, ed è lo sfruttamento capitalistico. Se escono i soldi per lo stato sociale vuol dire che c'è un surplus che vivvaddio viene più o meno gestito pubblicamente, ma il surplus c'è. In pratica non solo il cosiddetto salario diretto, ma anche quello indiretto e differito (cioè Stato sociale e pensioni) sono istituzioni tramite le quali, almeno molto parzialmente, si è estorto al capitale parte del surplus (si può discutere se questo surplus poi abbia fatto risparmiare soldi al capitale, sia servito al capitale sotto altre forme etc), e pensare che ad es. le voci della busta paga dedicate alle imposte o alla previdenza a ripartizione siano decurtate è solo un'associazione a delinquere tra un soggetto forte (il capitale) che continuerà a sfruttare l'altro contraente, il soggetto debole (il lavoratore) che comunque rimarrà in vantaggio solo finchè lavorerà, ma la sia condizione sarà precaria perchè le condizioni per cui lavora non sono sua proprietà (e a testimoniarlo ci sono i professionisti altamente specializzati che si sono trovati col culo per terra in questi ultimi venti anni)

4. Ultima cosa: coloro che si accontenteranno del basic income e non faranno niente saranno una minoranza sparuta: la maggior parte di costoro impiegherà il tempo libero per crescere personalmente, per istruirsi, per aggiornarsi, per impegnarsi in attività non facilmente allocabili sul mercato, per trovare la propria strada. Qualcuno si perderà, ma la maggior parte troverà il modo di rendersi utile comunque oppure rientrerà nel mercato con più consapevolezza e con più capacità di offrire il proprio apporto sociale

venerdì, gennaio 06, 2006

Caduta tendenziale del saggio di profitto e crisi di sottoconsumo

Il progresso tecnico della produzione aumenta la composizione organica di capitale e cioè aumenta C/V aumentando C
Ora in teoria l'aumento di C dovrebbe essere compensato dalla diminuzione di V (espulsione di manodopera o abbassamento dei salari), mantenendo più o meno intatta la composizione organica di capitale ed evitando la diminuzione del saggio di profitto. altrimenti se aumentasse C, rimanendo inalterata V, diminuirebbe Pl/C+V (e cioè il saggio di profitto)
Se invece diminuisse V all'aumentare di C, allora il tasso di profitto rimarrebbe inalterato e aumenterebbe il tasso di sfruttamento Pl/V (ad es. la disoccupazione tecnologica diminuisce le aspettative salariali di chi ha la "fortuna" di rimanere al posto di lavoro)
Naturalmente tutte le lotte per l'occupazione, per la redistribuzione dei profitti, diminuiscono il saggio di profitto perchè o aumentano V o nelle situazioni peggiori lo fanno abbassare di meno di quanto non siano aumentate le spese per C.
Dunque un Pl/V o un Pl/C+V in diminuzione in teoria può essere frutto di un'attività cosciente e di una soggettività politica dei lavoratori
Ipotizziamo però che all'aumento di C corrisponda una diminuzione di V
Ci potrebbe essere un problema di sovraproduzione nel settore II (quello dei beni di consumo) e dunque si può dire che le crisi di sottoconsumo siano una variante della crisi del modo di produzione capitalistico che ha come alternativa la caduta tendenziale del saggio di profitto: in pratica se V rimane invariata o diminuisce di meno dell'aumento di C (innovazione tecnologica) c'è la caduta tendenziale del saggio di profitto, se invece V diminuisce proporzionalmente all'aumento di C, ci può essere una crisi di sottoconsumo (che si può definire come lo squilibrio del settore II, quello dei beni di consumo)
Ovviamente tale crisi di sottoconsumo potrebbe essere solo parzialmente ovviata da un aumento della domanda e della domanda di beni di investimento e di mezzi di produzione (o della domanda e dell'offerta di beni di consumo per soli ricchi) e/o dall'abbassamento forte dei prezzi dei beni di consumo.
La scienza e la tecnologia con le innovazioni di processo e di prodotto che rendono possibili
sono il volano di questo avvitamento della spesa per C, che rinvia, ma rende sempre più alta la composizione organica di capitale, rendendo potenzialmente più grave la crisi successiva.
L'imperialismo e la spesa militare sono state tra le valvole di sfogo di questo perverso meccanismo

Una digressione su crisi di sottoconsumo e caduta tendenziale del saggio di profitto: lessico minimo

Prima di andare avanti con la questione del reddito di cittadinanza, sarebbe bene (nonostante le remore di Antonio Carlo) premettere alcune considerazioni sulle tesi marxiane relative alla caduta tendenziale del saggio di profitto e alle crisi di sottoconsumo.
Partiamo da alcune formule che vengono attribuite a Marx
1) Composizione organica di capitale (rapporto tra capitale variabile, investito in fondo salari e capitale costante, investito in capitale fisso e/o macchine) = C/V
Tale valore aumenta se aumenta il capitale costante o se diminuisce il capitale variabile
La tendenza sarebbe (sostituendo macchine ad operai) che l'aumento di capitale costante e la diminuzione di capitale variabile si verificano congiuntamente. Naturalmente la disoccupazione che ne deriva, secondo alcuni teorici potrebbe essere temporanea se la disoccupazione tecnologica viene assorbita da altri mercati, nell'ipotesi che ad es. i maggiori profitti o una diminuzione di prezzi di quella merce generino un aumento della domanda complessiva

2) Saggio di profitto (rapporto tra plusvalore e somma di capitale costante e capitale variabile) = Pl/C+V
Tale valore diminuisce se diminuisce il plusvalore o se relativamente al plusvalore aumentano il capitale costante e/o il capitale variabile, in maniera tale che aumenti la somma del capitale totale investito)

3) Saggio di plusvalore (rapporto tra plusvalore e capitale variabile) = Pl/V
Viene detto anche saggio di sfruttamento

4) Produzione del settore I (produzione dei mezzi di produzione) = C1 + V1 + Pl1

5) Produzione del settore II (produzione di beni di consumo) = C2 + V2 + Pl2

6) Domanda di mezzi di produzione = C1 + C2 + a (Pl1 + Pl2)
a(Pl1 + Pl2) è la parte di plusvalore risparmiata dai capitalisti per l'acquisto di mezzi di produzione mentre C1 + C2 è la spesa per ammortamenti

7) Domanda beni di consumo = V1 + V2 + 1-a ( Pl1 + Pl2)
1-a (Pl1 + Pl2 ) è la parte del plusvalore spesa per consumi mentre V1 + V2 sono i salari spesi per consumi

8) Equazione di equilibrio del Primo settore = (C1 + V1 + Pl1 = domanda beni di produzione)

9) Equazione di equilibrio del Secondo settore = (C2 + V2 + Pl2 = domanda beni di consumo)

10) Tesi sul rapporto tra situazioni di equilibrio:
p = (Offerta globale = Domanda globale )
q= (Offerta mezzi produzione = Domanda beni produzione )
r = (Offerta beni di consumo = Domanda beni di consumo )
Se p et q (oppure r) allora r (oppure q)
cioè la presenza di un equilibrio complessivo tra domanda ed offerta e la presenza di un equilibrio tra domanda ed offerta in uno dei due settori implica la presenza di un equilibrio anche nell' altro dei due settori
Infatti se la domanda complessiva (x + y) è uguale all'offerta complessiva (k + z)
e la domanda del settore I (x) è uguale alla offerta del settore I (k)
allora la domanda del settore II (y) deve essere uguale all'offerta del settore II (z)