martedì, marzo 28, 2006

Dal sito www.francarame.it

democrazia rappresentativa... di chi?

In Italia esiste da tempo un elettorato di centrosinistra privo di rappresentanza. E' formato da cittadini che hanno diverse esperienze e diversi orientamenti politici ma sono uniti da alcune convinzioni comuni che le vicende degli ultimi anni hanno rafforzato. Non hanno condiviso la scelta della maggioranza di centrosinistra di scassare la Costituzione insieme al centrodestra nella Commissione Bicamerale, tra il '96 e il '98. Non hanno capito perchè il centrosinistra, in cinque anni di legislatura tra il '96 e il 2001, non ha fatto una seria legge sul conflitto d'interessi e una legge per regolare le reti televisive analoga alle altre vigenti in tutta Europa. Hanno subito come una ferita alla democrazia la caduta del governo Prodi nel '98.Non hanno capito perchè nel 2001 il centrosinistra ha dato per scontata una sconfitta evitabile e ha rinunciato a battersi aprendo la strada a un'anomalia che nessun paese democratico avrebbe tollerato.Non hanno apprezzato dopo il 2001 la debolezza dell'opposizione e la ripetuta assenza dei suoi parlamentari quando era possibile fermare leggi incostituzionali.Hanno dato vita a una mobilitazione di massa senza precedenti per la libertà di informazione e l'autonomia della magistratura.Hanno riempito il Palavobis a Milano il 23 febbraio 2002, un mese dopo erano tutti insieme ai tre milioni del Circo Massimo a Roma, e il 14 settembre hanno colmato piazza San Giovanni .Hanno animato nei mesi e anni successivi enormi manifestazioni contro la guerra preventiva.Non hanno capito perchè i partiti, invece di accogliere e rafforzare la mobilitazione popolare, si sono ingegnati per fermarla, ingabbiarla, deluderla. Hanno assistito increduli all'inerzia del centrosinistra di fronte alla truffa della nuova legge elettorale.E ora assistono sbigottiti all'arruolamento di numerosi, imbarazzanti transfughi dal centrodestra cui vengono attribuiti gratis ruoli di rilievo.Sono i cittadini che vogliono difendere la Costituzione, ricostruire la salute istituzionale del paese, affermare la supremazia dell'interesse pubblico sull'utile privato, rinnovare lo stato sociale, affrontare con idee nuove il difficile tema del lavoro, rafforzare la difesa dei beni comuni, garantire la laicità dello stato, costruire un'Europa strumento di pace. Considerano la libertà e il pluralismo dell'informazione, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura condizioni necessarie e insostituibili per la democrazia.A questi cittadini è stato ora impedito di contribuire alla selezione della propria classe dirigente: è stato negato lo strumento delle primarie, è stato vietato il tentativo di liste indipendenti.Tra questi cittadini molti sono sempre più tentati dall'astensionismo, altri andranno a votare solo per senso del dovere. E per senso del dovere coloro che andranno a votare cercheranno di convincere chi ancora non vuole farlo. Questi cittadini non si identificano in alcun partito, anche se nel passato molti vi hanno militato, e faranno fatica a mettere la croce sul simbolo di partiti in cui non hanno più fiducia. Avrebbero molto pi volentieri votato per la coalizione ma è stato loro impedito.Voteranno per necessità . Voteranno solo per battere il peggior governo dell'età repubblicana, per cancellare l'anomalia che ha inquinato la politica italiana.Questi cittadini non saranno rappresentati nel futuro parlamento. I partiti del centrosinistra riceveranno il loro voto ma non potranno vantarlo come un'adesione incondizionata ai loro programmi.Questi cittadini delusi e impegnati sanno che dovranno da soli rianimare le loro energie e trovare nuovi strumenti per manifestarle. E vogliono esprimere questa convinzione prima del voto perchè non ci siano dubbi sul senso del loro impegno civile. Faranno tutto il possibile perchè prevalga il centrosinistra, ma dopo le elezioni eserciteranno tutta la loro vigilanza critica affinch&eacuto; la vittoria elettorale non venga svuotata da trattative e compromessi col centrodestra.Sollecitiamo tutti coloro che vivono questo profondo disagio a dare il loro personale, insostituibile contributo a un'opera di conoscenza reciproca, a una rete di relazioni paritarie per dare origine a una nuova fase di protagonismo civile e politico. E così forse si potrà dare rappresentanza politica ai moltissimi che anche dopo le elezioni continueranno ad esserne privi. Prima che il potere delle oligarchie costruisca un nuovo conformismo: parlate, scrivete, fate sentire la vostra voce.

Dario Fo, Pancho Pardi
Fonte: www.francarame.it

lunedì, marzo 20, 2006

E' ancora centrale il lavoro?

Mi ha colpito però questa affermazione di Dominique Meda che vi lancio per sentire anche il vostro parere.
-Avendo innescato un dibattito semplicistico "pro o contro la fine del lavoro" con tutto il suo corredo di questioni oziose: il lavoro è centrale o no? stiamo per lasciarcelo alle spalle? possiamo vivere senza di esso? subito ripreso dagli economisti, abbiamo evitato di porci i veri interrogativi: come organizzare meglio i tempi di sociali, attraverso quali nuove forme di negoziato? come ridistribuire il tempo di lavoro fra disoccupati, persone costrette al part time, precari, dipendenti con il posto fisso? come garantire un vero riequilibrio fra lavoro e attività extra lavorative fra maschi e femmine, affinchè le donne possano inserirsi più facilmente e con altrettante possibilità di successo nella vita professionale e gli uomini possano dedicarsi molto più di quanto non avviene attulamente nella vita domestica e familiare? [...] Ecco altrettante questioni che avremmo dovuto affrontare invece di dissertare all'infinito sulla centralità del lavoro. -

Effettivamente ha senso di parlare di lavori piuttosto di lavoro e poi il rischio è di oscurare una serie di questioni di cruciale importanza come i tempi di vita. Che ne pensate?

sabato, marzo 11, 2006

Reddito di cittadinanza e riforma della moneta

Yuri Biondi e Antonio Casilli circa il reddito di cittadinanza sostengono che:


  • Esso contiene due indubbi svantaggi e cioè non redistribuisce il reddito (se dato universalmente e incondizionatamente) ed è potenzialmente inflattivo dal momento che ogni erogazione incondizionata di moneta aumenta la base monetaria e può attivare una spirale inflazionistica. Infatto da un punto di vista patrimoniale la moneta funge da numerario per il sistema degli scambi. In tale prospettica sia per i monetaristi che per i ricardiani ogni forma di redistribuzione sarebbe inflattiva come già inflattiva è la spesa finanziata da una riallocazione del risparmio o tramite le entrate fiscali, qualora ci si trovi in piena occupazione. Solo una visione della mometa oltremisura può fondare l'erogazione di un reddito di cittadinanza come potere d'acquisto e quindi come radicale riforma della moneta escludendo ogni corrispondenza biunivoca tra prezzo e merce. Dunque bisogna inquadrare la proposta del reddito minimo all'interno di una diversa concezione della moneta e di una sua radicale riforma. Ad una produzione immateriale e a fattori produttivi flessibili deve corrispondere una trasformazione adeguata dei mezzi di pagamento che devono perdere materialità e diventare almeno in parte portafogli elettronici di moneta bollata di cittadinanza.
  • L'economia moderna e il cosiddetto mercato del lavoro non si sono sviluppati naturalmente, ma sono stati ricercati e ottenuti tramite scelte precise (politiche ed intellettuali) tipo la legge Le Chapelier in Francia, l'abolizione dell'Atto di Speenhamland in Inghilterra. Con la nascita del sistema industriale una sorta di tecnologia del denaro si è immessa nelle relazioni sociali con la conseguenza dell'affermazione dell'idea di moneta come equivalente universale per cui il denaro si accumula soltanto o si scambia in modo equivalente. Il procedere dell'industrializzazione ha fatto poi sì che sempre più persone in Europa e nel mondo iniziassero a confrontarsi con strumenti come denaro metallico e cartamoneta che prima erano ferri del mestiere solo di circoscritte categorie di cittadini. Certo il domestico, il bracciante, l'artigiano venivano pagati per il loro lavoro, ma in maniera irregolare e non uniforme e quasi nessuno di loro conosceva il ritiro del salario corrisposto a fine mese e per nessuno di loro valeva l'idea che tale compenso venisse calcolato in base ad un rendimento lavorativo precisamente misurabile. L'Ottocento delle manifatture invece prescrisse che tutti potessero toccare il denaro e tutti dovessero applicarsi nel lavoro e a questa consuetudine progressivamente vennero condotti anche coloro che vivevano ai margini. Il sistema industriale fondando una civiltà del lavoro ha fondato una civiltà del salario e una civiltà della moneta. Teorizzando il denaro come misura del valore, lo ha usato come regolatore e manipolatore delle regolazioni sociali.
  • Con l'inizio di questo secolo il sistema fordista ha segnato l'ascesa vertiginosa della moneta. Dal 1938 al 1966 la corcolazione di moneta aurea è passata da 25 mld di Usd a 38 mld di Usd, ma la circolazione di carta moneta è passata da 24,2 (1938) a 107,5 miliardi di Usd, mentre la moneta scritturale (impegni del sistema monetario verso il settore privato per moneta fiduciaria e depositi a vista) è aumentata da 70 a 380 mld di Usd. Il calcolo razionale e la valutazione economica divenute abitudini consolidate hanno determinato la convinzione collettiva che il denaro ripaghi la performance produttiva di ciascuno. Ma di fronte al decline della forza lavoro globale, sorge la necessità di ripensare la natura stessa della moneta usata come mezzo di remunerazione dei fattori produttivi, oltre la concezione del denaro da accumulare e del denaro equivalente universale.
  • Qual è la moneta giusta per una misura minima e indifferenziata come il reddito di cittadinanza? Non la moneta d'accumulo che provocherebbe scompensi reditributivi di ricchezza, nè la moneta equivalente perchè tale erogazione sarebbe non commisurata a nessuna prestazione lavorativa. La moneta adatta a pagare il reddito di cittadinanza deve essere compatibile con la base monetaria e preferibilmente non farla crescere, non deve essere accumulabile ed infine non deve essere misura di risorse produttive (non deve essere un sostituto universale) Per soddisfare il primo di questi requisiti si potrebbe pensare ad una moneta immateriale di conto elettronico, mentre per soddisfare il secondo dobbiamo invece prospettare il ricorso ad un denaro di decumulo, un denaro cioè che perde il proprio potere d'acquisto o quando al suo investimento non corrisponde la creazione di valori (si sperimentò una sorta di denaro bollato ogni mese all'epoca della Grande Depressione in Estonia, America, Austria e Germania e Keynes e Fisher si interessarono a queste tesi di Gesell). Per soddisfare l'ultimo assunto si deve pensare ad una moneta che sia scambiabile solo con un dato dominio di beni e servizi. Non si tratta di una moneta emessa privatamente in quanto in tal caso non sarebbe garantito alcun criterio di equità e solidarietà sociale (dunque si rifiuta l'e-cash dell'olandese Chaum o dei fautori del free-banking) quanto le proposte Usa di Welfare elettronico (imitate da Inghilterra, Germania e Singapore)
  • Bisogna in prospettiva concepire una riforma monetaria ben più radicale adatta a gestire l'introduzione del reddito di cittadinanza in un orizzonte che preveda un rimodellamento della spesa previdenziale ed assistenziale classica sulla scia degli Electronic Benefits Transfers (conti elettronici in valuta per i soggetti svantaggiati da cui è possibile prelevare danaro o accedere a risorse destinate ad uso vincolato, convenienti per l'abbattimento di spese amministrative grazie ad una rete informatica che processa autonomamente tutte le transazioni). Lo Stato sociale già ha tentato di introdurre una diversa moneta, parzialmente endogena alle esigenze delle istituzioni, al fine di rendere più armoniose le relazioni tra moneta tradizionale (accumulabile) e le esigenze di consumo e di decumulo richiesti dall'economia reale.
  • Si potrebbe immaginare che per ciascun fruitore del reddito di cittadinanza viene aperto u conto corrente virtuale sul quale vengono caricate le somme dall'ente erogatore, il cui accesso verrebbe garantito da una smartcard non cedibile in grado di effettuare pagamenti per spese personali analoghi a quelli delle carte di credito o debito. Tale denaro elettronico non sarebbe coniato e non aumenterebbe la base monetaria. Il valore nominale di questa moneta non esiste sin quando l'utente non la utilizza per cui l'ammontare corrispondente al reddito sarebbe erogato solo al momento della sua spesa effettiva, mentre l'impegno di competenza si potrebbe annullare in caso di mancato utilizzo. Tale concezione della spesa supera la distinzione tra economia produttiva ed economia consuntiva (distinzione che vede i servizi come salario differito) giacchè nella nostra ottica anche la fornitura di una prestazione di Welfare rappresenta una libera scelta di spesa
  • Tale portafoglio contiene una moneta a parte, con una differente circolazione monetaria, il cui potere d'acquisto si riferisce solo a specifiche risorse. Una prima configurazione di spese ammesse al circuito della moneta di cittadinanza includerebbe spese per l'abitazione (affitto, manutenzione), sostentamento fisico, servizi culturali, scolastici e formativi, vestiario, trasporto e spese sanitarie. I portafogli elettronici di cittadinanza devono contenere una moneta di spesa che non deve essere accumulabile, nè tale da favorire la speculazione, nè separarsi dalla compravendita di beni. Si tratta di moneta di cittadinanza, non di moneta d'accumulo, dunque non risparmiabile, nè investibile, nè fruttifera. Moneta di reddito nel senso di moneta di consumo. Tale moneta si dovrebbe capitalizzare negativamente e dovrebbe diminuire il proprio valore nel tempo, dal momento che si tratta di moneta endogena legata ad esigenze sociali e individuali e legata al contributo immateriale e non calcolabile della cooperazione sociale che risponde al nome di general intellect.
  • Infatti il postfordismo prospettando il superamento della distinzione dei fattori produttivi ci introduce ad una capacità produttiva diffusa i cui contenuti non si conservano, ma sfumano in quelli che si succedono ad essi, per cui la moneta ad essi collegata si deve deprezzare nel tempo. Si può pensare a diversi scaglioni di decumulo a seconda del reddito di partenza dei cittadini beneficiari: la valuta dei più bisognosi ridurrebbe il proprio valore più lentamente di quella dei beneficiari meglio situati. Il decumulo eviterebbe gli effetti inflattivi del reddito di cittadinanza e lo renderebbe più equo pur senza fargli perdere la sua universalità.

Ecco le osservazioni che si possono fare su questa tesi:

  1. Un reddito di cittadinanza basato sul trasferimento fiscale o sul debito pubblico non dovrebbe portare ad un rischio inflattivo paragonabile a quello di un aumento della base monetaria circolante. Oltretutto con la disoccupazione strutturale non c'è più il rischio di inflazione dovuta a trasferimenti fiscali. Inoltre perchè il reddito minimo sia redistributivo esso non deve essere universale e incondizionato, anche se non deve essere condizionato all'erogazione di lavoro, ma allo stato di bisogno. Esso rimane anche in questo caso reddito di cittadinanza perchè legato ad un diritto (quello del soddisfacimento di bisogni primari) universalmente riconosciuto
  2. Il fatto che si dia moneta non vuol dire che si riconosca una prestazione lavorativa dall'altra parte, ma il fatto che di cede una quota di un generalizzato potere d'acquisto. Proprio della moneta non è il rapporto con una prestazione, ma la sua generalità. La prestazione può essere monetizzata, ma la moneta non è obbligatoriamente rapportabile ad un lavoro.
  3. Una moneta che possa essere scambiata solo con un dato dominio di beni e servizi non è vera moneta, ma un contrassegno del diritto ad essere utente di determinati servizi e ciò ridurrebbe il reddito di cittadinanza a una riduzione dei servizi sociali fruibili dalla cittadinanza, Al limite si potrebbe pensare ad una quota del reddito minimo del tutto monetaria ed un' altra quota usabile solo per determinate gamme di beni e servizi, ma il tutto senza esagerare. La quota monetaria sarebbe di decumulo, mentre quella legata a servizi sarebbe utilizzabile in un arco di tempo illimitato, anche se essa non potrebbe corrispondere interessi e non sarebbe moneta di credito
  4. Ma l'acquisto di beni o servizi da parte del destinatario del reddito di cittadinanza pur non aumentando la moneta emessa non aumenta il numero di scambi ? E questo non implica comunque una dinamica inflattiva? Inoltre cosa corrisponde a chi fornisce la merce o il servizio? Se corrisponde un costo questo deve essere compensato da moneta trasferita o emessa ex-novo. Dunque la dinamica inflattiva non è scongiurata.
  5. Le spese per l'affitto non sarebbero sostenibili per un reddito di cittadinanza (a meno che non si tratti di famiglie con più elementi) : esse vanno sostituite da posti letto, stanze, abitazioni a prezzi popolari. Anche le prestazioni sanitarie e scolastiche non sono monetizzabili nel reddito di cittadinanza
  6. L'analogia tra saperi transeunti e moneta di decumulo non è sostenibile: i saperi per quanto antichi sono sempre riciclabili, mentre la moneta di decumulo deve soltanto evitare la trappola della liquidità e promuovere i consumi materialmente più necessari
  7. La tesi degli scaglioni di decumulo è interessante per distinguere tra loro i destinatari del reddito di cittadinanza, ma ciò non implica l'universalità del reddito di cittdinanza stesso: le persone che superano un certo reddito devono essere escluse, anche se sono titolari del diritto all'esistenza che motiva l'erogazione del reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è uno strumento selettivo che permette l'esercizio del diritto all'esistenza, ma non il contenuto del diritto stesso

domenica, marzo 05, 2006

Fumagalli e il reddito minimo

Andrea Fumagalli, economista vicino ai Centri Sociali (ma proveniente pare anche dalla scuola di Augusto Graziani), ha elaborato la più completa analisi circa la necessità del reddito di cittadinanza a partire dalla crisi del paradigma fordista. Egli dice che





  • L'aumento della povertà in Europa e la polarizzazione dei redditi a livello mondiale sono legate alla crisi del paradigma fordista ed al passaggio ad un modello di accumulazione flessibile. Paradossalmente la frammentazione del lavoro che è una delle conseguenza di tali processi ha come contraltare l'uniformazione degli economisti a quello che altri chiamano il "pensiero unico", mentre invece il passaggio al fordismo aveva sancito la nascita di nuove riflessioni sull'economia che volendo magari legittimare il capitalismo monopolistico ad ovest e il capitalismo di Stato ad est avevano cominciato a studiare le possibilità di gestione politica dell'economia a partire dalla programmazione per finire alla pianificazione centralizzata
  • Perchè si possa pensare di superare l'attuale stato di cose è utile guardare anche ai movimenti che nella società esprimono vecchi e nuovi bisogni: uno di questi è il movimento dei disoccupati francesi che ha avuto tra le sue parole d'ordine non solo la richiesta di lavoro, ma anche quello di un reddito sganciato dal lavoro, spia della consapevolezza che avere un lavoro può anche non bastare.
  • Il reddito di cittadinanza è in realtà un concetto che è nato da quando è nato il capitalismo dal momento che quest'ultimo genera con il suo funzionamento un surplus la cui redistribuzione è stata da sempre oggetto di conflitti sociali. Agli albori dello sviluppo del capitalismo la creazione di una forza-lavoro metropolitana, slegata dalle condizioni di sussistenza agricola e tale da consentire un processo di accumulazione capitalistico, portò ad un dibattito su forme di distribuzione del reddito come puro sussidio contro fame e miseria; nel secolo successivo il pieno dispiegarsi del processo di accumulazione portò all'abolizione dei sussidi contro la povertà ed alla regolazione salariale basata sul mercato, con un salario di mera sussistenza e l'occupazione condizionata dall'andamento demografico. Le cose come vedremo sono cambiate con l'avvento del fordismo. Il capitalismo ha comunque sempre fatto in modo che l'accesso al reddito fosse mediato per la stragrande maggioranza della società dall'accesso al lavoro, un lavoro libero e retribuito ma subordinato alle regole dell'accumulazione privata grazie al ricatto del bisogno. Dunque il rapporto capitale-lavoro è stato il contesto in cui si è articolata la dinamica sociale: mentre il processo di accumulazione determina le condizioni di produzione, la distribuzione del reddito influenza le condizioni della domanda: intervenire sulla produzione ( sull'organizzazione del lavoro, sulle scelte di investimento, sui rapporti gerarchici) è essenziale, ma lo è anche dirottare la distribuzione del reddito (come ben si sa dall'esperienza dei paesi dell'Est)
  • Il passaggio dal modello di produzione artigianale al modello fordista fu scandito dall'aumento della disoccupazione amplificato dalla crisi del '29. Si passò anche dall'operaio di mestiere all'operaio massa, dipendente e salariato. Il keynesismo e le conseguenti trasformazioni economico-sociali del capitalismo furono la risposta democratica all'ingresso del proletariato organizzato sulla scena storica, ed al tempo stesso sancirono l'ascesa dell'economia Usa a livello globale ed una crisi delle economie europee che portò poi alla seconda guerra mondiale . In questo periodo si evidenziò la necessità del connubio tra crescita economica complessiva e crescita dei profitti e dunque l'esigenza di coniugare (onde evitare crisi di sovraproduzione) alla produzione di massa una redistribuzione del reddito consistente nella ricerca della piena occupazione, incrementi salariali pari a quelli della produttività ed erogazione di servizi sociali da parte dello Stato, il tutto senza intaccare i margini di profittabilità del capitale privato. Il salario diventa una delle principali componenti della domanda e della realizzazione monetaria del sovrappiù prodotto in quantità sempre più elevate, e perciò si mette in relazione di dipendenza con le stesse modalità di funzionamento del processo di accumulazione
  • Questo modello sociale ha in parte realizzato anche alcuni punti del programma minimo del Manifesto di Marx, in particolare per quel che riguarda le imposte progressive, la riduzione della proprietà fondiaria, il condizionamento fiscale del diritto di eredità, lo sviluppo di imprese di Stato, la ricerca dell'occupazione, la legislazione del lavoro e l'educazione pubblica. Tuttavia il passaggio dal fordismo al post-fordismo ha significato una crisi sia del pensiero economico che del modello sociale: calata la crescità di produttività e profittabilità degli investimenti, il mercato dei principali beni di consumo ha cominciato a saturarsi e la via d'uscita è stata il passaggio ad una fase di accumulazione flessibile che si potesse adattare ai nuovi fattori competitivi della domanda e dei rapporti tra nazioni diverse. Le attuali forme di flessibilità produttiva (dal toyotismo al just/in/time) coniugano produzione automatizzata e differenziazione del prodotto (resa necessaria dalla saturazione dei mercati di beni standardizzati). La diffusione del paradigma informatico ha aumentato il tasso di disoccupazione rendendola strutturale, il lavoro si è frammentato rendendo difficile disciplinarlo per legge, l'economia Usa ha cominciato un declino da cui cerca di riprendersi con le guerre e l'economia ad esse collegata, il legame tra aumenti di produttività e aumenti salariali si è infranto, per cui si rivela necessario un nuovo strumento di intervento sociale all'altezza della nuova fase tecnologica ed economica
  • Se ad una diminuzione della produzione corrisponde ancora una diminuzione dell'occupazione, non è più vero il contrario. Il modello tayloristico era basato sull'introduzione e diffusione di tecnologie rigide e meccaniche (quali la catena di montaggio, le procedure di assemblaggio) che favorivano notevoli incrementi di produttività e dall'altro prevedevano una forte subordinazione della forza-lavoro di cui però non potevano comunque fare a meno. La capacità tecnologica informatica consente ora di aumentare la produzione senza che aumenti l'occupazione grazie agli alti livelli di produttività incorporati nellle nuove tecnologie che sono costituite per la maggior parte da innovazioni di processo e dunque non consentono nuovi sbocchi di mercato: esse sono caratterizzate dall'immaterialità del linguaggio informatico in grado di programmare e collegare l'uso di due macchinari; in questo modo la produzione non è ampliata, ma ristrutturata e modificata con un costante incremento di flessibilità che non crea ma distrugge occupazione. La produttività non dipende più tanto dal lavoro vivo, ma dal tipo di macchinario esistente per cui lavoro vivo e sua retribuzione stanno diventando esterni al meccanismo di accumulazione con la conseguente separazione tra salario e produttività e tra produzione ed occupazione
  • Da ciò consegue che la distribuzione del reddito e la domanda nazionale di consumo non è più rilevante nel processo di accumulazione che è sempre più globale e caratterizzato dall'internazionalizzazione dei flussi finanziari e dalla delocalizzazione dell'industria di trasformazione delle merci. Lo Stato nazionale perciò comincia a venire meno nel suo ruolo di sostegno dell'accumulazione e come redistributore del reddito per cui il Welfare assume l'aspetto di un elemento di rigidità che va fortemente ridimensionato. L'esclusione e l'emarginazione sociale ora attraversano anche il mondo del lavoro e diventano un elemento esterno di pressione sui lavoratori garantiti. Il salario che prima dipendeva dalla produttività oggi ritorna a collegarsi all'andamento demografico ed alla consistenza della forza-lavoro complessiva. Flessibilità tecnologica e salariale sono gestiti dalle imprese ed al momento sono variabili esogene e non controllabili dalle realtà sociali antagoniste: lo spazio per una politica riformista tradizionale è praticamente nullo
  • Negli anni Cinquanta e Sessanta il lavoro era il passaporto per il riconoscimento sociale e giuridico di cittadini, la subordinazione alla disciplina del lavoro era la condizione per partecipare al benessere collettivo, per cui l'esclusione diventava una scelta individuale e l'inclusione l'esito compromissorio di un conflitto collettivo economico di tipo redistributivo. La crisi dell'organizzazione fordista e lo svuotamento conseguente del Welfare, il riemergere del liberismo e dell'individualismo fanno invece dell'inclusione sociale l'esito contingente di una spietata competizione individuale. La stessa disponibilità al lavoro non garantisce l'inclusione sociale, come testimonia il fenomeno dei working poors. Inoltre se nel processo di produzione fordista l'omogeneizzazione della forza lavoro era una necessità per lo sfruttamento delle economie statiche di scala e consentiva allo stesso tempo la genesi di forme di rappresentanza basate direttamente dall'analisi delle condizioni soggettive di lavoro, nel paradigma dell'accumulazione flessibile non è possibile individuare una soggettività operaia unitaria. I livelli di subordinazione e di intensificazione dello sfruttamento (sia in termini di tempi che di remunerazione del lavoro) sono maggiori e più pervasivi di quelli che operavano nella logica fordista, ma nello stesso tempo più diversificati e indiretti.
  • In Inghilterra con le poor laws viene istituito un sussidio di assistenza ai poveri che insieme alle workhouses svolgeva il ruolo di strumento di regolazione degli effetti socio-economici devastanti determinati dal processo di espropriazione delle terre che trasforma i produttori in salariati cioè in venditori di se stessi: la determinazione del rapporto di subordinazione tra salariato e capitalista fu condizione dell'accumulazione stessa del capitale. Tale necessità di un'accumulazione primitiva si ritrova in tutti i momenti in cui vi è un cambiamento strutturale nella regolazione produttiva e tecnologica; essa infatti è dovuta alla necessità di dover disporre delle risorse finanziarie idonee per sostenere i cambiamenti della dinamica economica. I processi di finanziarizzazione dell'economia per ripristinare il comando del capitale sul lavoro. Ai tempi dell'accumulazione originaria ha svolto la funzione di legittimazione delle enclosures (con un reddito di risarcimento per gli espropriati), di regolazione degli effetti sociali devastanti del dualismo sociale determinato dalla conseguente sovraproduzione di forza-lavoro e di regolazione del salario diretto in modo tale da non fa lievitare il prezzo della forza lavoro. Perciò si può definire il sussidio di povertà delle poor laws come un salario sociale di esclusione, un'elargizione monetaria funzionale alla costituzione del rapporto salariale capitalistico. Take concezione del reddito minimo è presente anche nella concezione neo-liberale di M.Friedman, in cui lo strumento di interventoera però un imposta negativa sul reddito di cui possono godere solo coloro che hanno un reddito nullo o inferiore ad una certa soglia; l'obiettivo è di razionalizzare le misure assistenziali già esistenti a scaputo delle prestazioni sociali non monetarie. Essa è dunque un salario di esclusione funzionale all'accumulazione capitalistica ed operante all'interno di uno schema di allocazione delle risorse basato sul lavoro remunerato secondo mercato.
  • Nel periodo tra le due guerre B.Russell e O.Lange riprendono il tema di un reddito minimo di cittadinanza come elemento costitutivo di una distribuzione sociale del reddito, come fattore di inclusione sociale e strumento della trasformazione dell'economia. Lange parte dalle difficoltà dell'economia Usa e teorizzando come già legato alla cooperazione sociale l'aumento di produttività del capitale, propone una distribuzione sociale del reddito per la cui attuazione non è necessario attendere l'avvento di una società socialista. Negli anni del compromesso fordista il tema del reddito di cittadinanza perse interesse e riprende quota solo con la crisi del modello fordista. Con la fine della recessione dei primi anni Ottanta si cominciano a vedere gli effetti economico-sociali della crisi del fordismo: segmentazione del lavoro salariato, scomposizione del mercato del lavoro tra dipendenti ed autonomi (o pseudo-tali) , riduzione del potere d'acquisto salariale, incremento della rendita finanziaria, aumento tassi d'interesse, aumento del debito pubblico, riduzione dei meccanismi colleganti produttività e salario, disoccupazione persistente.
  • In Italia il dibattito si articola dal 1988 con interventi di Massimo Paci (che sottolinea il rischio della trappola della povertà) Morley Fletcher (che lo collega all'eredità comune di tutti gli individui e parla di voucher) Capecchi (che lo subordina alla formazione professionale) Marianetti e Brunetta (che lo subordinano ad una sorta di servizio civile) Garonna (che lo considera iniquo ed inefficiente per la sua universalità) Trentin (che lo rifiuta perchè marginalizzerebbe la forza lavoro) Carniti (che lo rifiuta perchè toglierebbe identità al lavoratore) Dore (che parla di un reddito universale di base in cambio di servizi obbligatori per la comunità che dovrebbe costituire il 40% del PIL e sostituire il Welfare) Salsano (che si associa alla proposta di Gorz di un secondo assegno che dovrebbe compensare la riduzione di salario dovuta alla riduzione di orario) Silva (per il quale il reddito minimo dovrebbe sostituire i servizi sociali ed essere garantito solo ai poveri) Rossi (che parla di credito rimborsabile)
  • In questa congiuntura si evidenzia l'intervento di Alain Lipietz critica l'idea che gli incrementi di produttività dovuti alle nuove tecnologie flessibili si possano tradurre in una nuova fase di crescita senza freni; l'esistenza di un vincolo ambientale esige la definizione di un nuovo compromesso sociale alternativo a quello fordista, dove c'è una crescita dell'economia immateriale e la sua riconversione in valori d'uso a vantaggio della collettività, con la costituzione di nuovi indicatori economici di benessere legati alla qualità della vita e con la riduzione dell'orario di lavoro subito a 35 ore e poi a 30. Lipietz però rifiuta un reddito di cittadinanza che non sia temporaneo e legato a difficoltà occupazionali temporanee.
  • Francesco Silva invece sottolinea come la lotta alla disoccupazione sia stata storicamente affrontata secondo tre diverse prospettive tra loro integrabili (quella individualistica che sottovaluta l'obiettivo della sicurezza, quella solidaristica e quella statalistica troppo dispendiosa) nella proposta di un reddito di cittadinanza universale (magari differenziabile per età e negato a coloro che si macchiano di certi reati) di importo inizialmente inferiore alla sussistenza ma cumulabile con altri redditi da lavoro in modo tale da facilitare l'assunzione di lavoratori a bassa produttività e aumentando la flessibilità e la riduzione del salario reale (così come sostenuto da Meade), giacchè il datore di lavoro potrebbe ridurre il salario di un ammontare pari al reddito di cittadinanza e permettere l assunzione di molti lavoratori a bassa qualificazione. Inoltre Silva presume che il reddito di cittadinanza possa ridurre le spese dello Stato sociale affidando i servizi ad imprese private
  • Il punto di vista antagonista riprende la tematica del reddito di cittadinanza come strumento non unico in gradoi di introdurre elementi di contraddizione nel rapporto salariale capitalsitico e quindi di puntare al superamento di quest'ultimo. Perciò esso in tale accezione non è considerabile come fattore di esclusione sociale nè può essere legato ad un approccio lavorista in corrispondenza a una qualche forma di prestazione lavorativa. Secondo tale prospettiva il reddito di cittadinanza (o esistenza) è una proposta di intervento economico universale e inondizionato che concorre a definire la piena cittadinanza economica e sociale e il pieno godimento delle libertà civili.
  • Per reddito di cittadinanza si intende dunque l'erogazione di una somma monetaria a scadenza regolare e perpetua in grado di garantire una vita dignitosa, indipendentemente dalla prestazione lavorativa effettuata. Tale erogazione deve essere universale e incondizionata, cioè deve essere considerata un diritto umano e dunque deve essere data a tutti gli esseri umani in forma non discriminatoria (di sesso, razza, religione). Le proposte di tipo distributivo che fanno riferimento o alla condizione professionale o ad impegni di tipo contrattuale, sono discriminanti e non conformi allo status di diritto inalienabile individuale. Trattandosi di reddito indipendente dal salario, esso sostituisce tutte le forme di indennizzo derivanti dalla perdita del posto di lavoro (cassa integrazione, sussidi di disoccupazione, prepensionamenti etc), ma non le altre forme di reddito già esistenti
  • La natura di universalità e di incondizionabilità del reddito di cittadinanza concorre a superare una definizione della libertà umana intesa in senso negativo come semplice rimozione di vincoli all'agire. tale concetto di libertà (alla base dei nostri sistemi liberali) non implica che l'essere umano possa essere in grado di godere effeiivamente di tali diritti. Questi rimangono giuridicamente potenziali, ma non effettivi sul piano economico, in quanto vincolabili dalla posizione reddituale. Il restringimento del vincolo economico tramite il reddito di cittadinanza, può consentire all'essere umano di godere effettivamente di questi diritti.
  • La garanzia di un reddito di base indipendente dall'impiego lavorativo è un'ipotesi che fuoriesce dalla logica dell'accumulazione produttiva per operare sul più vasto piano sociale. Per evitare che il salario da strumento di affrancamento si riduca nuovamente a semplice elemento di sussistenza, occorre che la dinamica retributiva venga regolata sul piano della redistribuzione del reddito. A tal proposito alcuni sostengono che il reddito di cittadinanza indurrebbe ad una diminuzione dell'offerta di lavoro (soprattutto per le mansioni più pesanti e meno qualificate) a scapito dei livelli di produzione. In realtà proprio del progresso tecnologico è la continua riduzione dei lavoro pesanti e squalificati e dunque la maggior difficoltà di reperire forza lavoro per eseguire questi compiti, può essere di stimolo per robotizzare queste mansioni con un incremento di produttività conseguente. Inoltre uno degli stimoli all'innnovazione produttiva e tecnologica è dato proprio dai vincoli che storicamente vengono posti all'accumulazione (vincoli spesso conseguenti al conflitto sociale) e che conducono ad una compressione dei profitti: lo sviluppo di nuove tecnologie fordiste può essere considerato una risposta alle lotte per la normazione e la riduzione d'orario di inizio secolo, mentre l'ingresso dell'informatica può essere la risposta alle lotte sociali e sindacali della fine degli anni Sessanta. Del resto la competitività delle industrie italiane alla fine degli anni Settanta era superiore in termini reali a quella alla fine degli anni Ottanta (decennio osannato come esempio di maggiore pace sociale). Insomma qualunque misura atta a migliorare la distribuzione del reddito in modo non compatibile con le esigenze di profittabilità delle imprese impone al sistema produttivo la necessità di accelerare il progresso tecnologico e di aumentare la produttività al fine di risolvere i vincoli dell'accumulazione sorti di volta in volta. Infine la diminuzione del lavoro pesante ed alienato non implica il non far niente, ma più tempo per attività più creative e produttive. Da questo punto di vista il reddito di cittadinanza (mirando alla liberazione dal lavoro e non del lavoro) rappresenta una sorta di contropotere alla disciplina del lavoro ed al controllo sociale a questo collegato
  • Il reddito di cittadinanza è anche strumento di ricomposizione della domanda, modificandone la distribuzione tra i soggetti economici che vi partecipano. In quanto tale, esso è strumento salvifico per la dinamica del processo di accumulazione capitalistico anche se incompatibile con le esigenze dell'accumulazione nel breve periodo. Inoltre il reddito di cittadinanza è consapevolmente strumento di intervento parziale che non è in contraddizione con altre misure alternative quali la riduzione dell'orario di lavoro e l'attivazione dei lavori concreti. La riduzione dell'orario di lavoro deve essere però repentina e consistente (35 ore sono insufficineti dati gli aumenti di produttività) e non può essere finanziata dai lavoratori (pena la riduzione della domanda) nè inizialmente dalle imprese (in quanto solo successivamente i guadagni di produttività possono ragionevolmente finanziare il costo iniziale della riduzione d'orario), ma solo attraverso la fiscalità generale che va riformata. Il reddito di cittadinanza può compensare i lavoratori di tale costo che anche loro andrebbero ad affrontare
  • In relazione alla riduzione d'orario vale la pena ricordare che in realtà da una decina d'anni la tendenza è all'allungamento di fatto della giornata lavorativa non solo all'interno dei salariati, ma anche e soprattutto all'interno dei lavoratori autonomi all'interno dei rapporti di subfornitura degli attuali cicli produttivi. Perciò la riduzione dell'orario di lavoro potrebbe comportare un dualismo tra lavoratori formalmente con diverso statuto giuridico, ma sostanzialmente all'interno dello stesso modello di produzione, per cui la precarizzazione passa attraverso la scomposizione del mercato del lavoro. Il reddito di cittadinanza da questo punto ricompone le diverse forme di erogazione del lavoro, omogeneizzando i disoccupati (che si liberano dal lavoro nero) i lavoratori autonomi e precari (che non sono costretti al superlavoro) gli occupati dipendenti (che possono ottenere una riduzione d'orario). La maggiore libertà derivante dal reddito minimo e dalla riduzione d'orario potrebbe incentivare l'aumento di attività immediatamente produttrici di valori d'uso
  • Il reddito di cittadinanza è anche una misura di contropotere al potere della moneta di discriminare tra proprietà dei mezzi di produzione e semplice erogazione di forza-lavoro. Infatti la produzione manifatturiera come momento unico dell'origine del surplus (a differenza della società feudale basata sull'espropriazione agricola e della società mercantile basata sulla gerarchia degli scambi) presuppone la separazione tra capitale (mezzi di produzione) e lavoro e quindi implica uno scambio monetario di ricomposizione tra le due parti: la produzione capitalistica è produzione di denaro a mezzo di merci (D-M-D') e necessita quindi di un'anticipazione monetaria per poter avviare la trasformazione materiale delle merci che sia in grado nella fase di circolazione e realizzazione di trasformarsi in profitto monetario. Alle precedenti funzioni di unità di conto, di scambio e di unità di misura della ricchezza, la moneta assume anche la funzione di moneta-credito, la cui disponibilità (finanziamento iniziale) è condizione propedeutica non per produrre routinariamente, ma per ampliare ed estendere il livello di produzione e di generazione del surplus. Si tratta di moneta di nuova creazione che entra nel processo economico dinamicizzandolo e procedendo alla sua metamorfosi continua (denaro e macchine sono motori dello sviluppo capitalistico). La disponibilità di moneta-credito è dunque riservata a chi detendendo privatamente i mezzi di produzione può in modo autonomo e unilaterale organizzare la produzione e questo è il discrimine tra capitale e lavoro.
  • Da un punto di vista complementare la moneta-credito è moneta-segno, perchè il rapporto di debito/credito che comanda è scambio non solvibile (immateriale) non mediato da una merce e non assimilabile allo scambio mercantile. Il rapporto di debito/credito ha come oggetto il tempo (il ponte tra passato e futuro) ed una promessa di restituzione (da cui ha origine il tasso di interesse che varia in funzione della durata e della rischiosità del prestito). Da qui deriva il ruolo discriminante della moneta-credito il cui accesso è selezionato sulla base capitalisticamente determinata della funzione economica svolta, riducibile indirettamente o meno al fatto se si ha la proprietà o no dei mezzi di produzione (garanzia). Dunque la sostanza del potere capitalistico della moneta sta nel suo essere fonte di discrimine tra capitale e lavoro e tale funzione tocca il suo apogeo nel compromesso fordista giacchè la disponibilità di moneta credito di nuova creazione definisce la proprietà dei mezzi di produzione, la disponibilità al lavoro garantisce la cittadinanza: per i salariati e per i prestatori di lavoro la disponibilità di moneta è comunque residuo, esito del processo lavorativo, reddito.
  • Bisogna dunque slegare la disponibilità di moneta dalla disponibilità di lavoro e disinnescare uno degli elementi portanti del potere della moneta : essere aprioristicamente disponibile solo per chi detiene la proprietà dei mezzi di produzione; non viene con questo intaccata la capacità dell'imprenditore di gestire unilateralmente l'attività produttiva e la tecnologia, ma si favorisce la liberazione progressiva degli individui dalla schiavitù del lavoro e dal ricatto del bisogno. Il reddito di cittadinanza è inoltre strumento di inclusione sociale giacchè da un lato garantisce le risorse materiali per consentire una vita dignitosa a tutti, dall'altro (proprio per questo) aumenta il grado di autonomia dal ricatto del bisogno
  • La separazione sul mercato del lavoro tra capitale e lavoro necessita di uno scambio propedeutico tra imprese e sistema del credito che anticipi la liquidità monetaria necessaria per acquistare forza lavoro e avviare l'attività di produzione. Il prezzo della forza lavoro viene determinato in termini nominali prima ancora che l'attività di produzione venga svolta e prima ancora che la produzione venga valorizzata con la realizzazione del sovrappiù, mentre invece profitto e rendita (l'interesse al prestatore di moneta) si determinano nella fase di chiusura del processo di valorizzazione: la remunerazione simultanea dei fattori produttivi (postulata dal liberismo) non è consentita; inoltre tale struttura sequenziale genera asimmetrie e gerarchie tra gli stessi fattori produttivi. Infatti chi decide quanto, come e a che prezzo produrre determina anche il potere d'acquisto effettivo dei fattori produttivi (valore reale della distribuzione) e tale esito è il frutto dei rapporti conflittuali che si generano nel mercato del credito e del lavoro, allorchè si determina il prezzo della moneta-credito (interesse monetario) e della forza lavoro (salario) con l'aggiunta che gli imprenditori, decidendo le tecniche di produzione determinano anche i livelli di produttività ed i valori di produzione. Il prezzo finale delle mercinon è che il risultato composito del livello di scambio sul mercato del lavoro e della moneta e del livello di produttività esistente, sulla base del gradi di concorrenza esistente nel settore.
  • Con la crisi del fordismo i guadagni di produttività non vengono più ripartiti tra i fattori di produzione; ciò dipende dalle trasformazioni tecnologiche (rese necessarie per recuperare la profittabilità del sistema produttivo alla fine degli anni Settanta) ma anche dal peso crescente della produzione immateriale e il diffondersi delle tecnologie del linguaggio che ridefiniscono i rapporti tra progettazione, esecuzione e commercializzazione della produzione (tra lavoro manuale e lavoro intellettuale) : la produttività del lavoro, sganciata dalla materialità della produzione diventa produttività sociale sempre più difficile da misurare. Dunque se si verifica la separazione tra salario e produttività, allora si fa pressante l'esigenza che la distribuzione dei guadagni della produttività sociale avvenga a livello sociale. La redistribuzione del reddito significa redistribuire il prodotto sociale simultaneamente tra i fattori produttivi nella fase di chiusura del processo economico indipendentemente dal livello del salario monetario
  • Occorre prima considerare le idee di reddito di cittadinanza funzionali alla flessibilità del neomodello di accumulazione; esse nascono dalla necessità di dare un indennizzo limitato e temporaneo dal momento che i processi economici non garantiscono un lavoro a tutti. Un primo modello di tipo fordista di tale indennizzo è l'imposta negativa sul reddito che prevede trasferimenti ai contribuenti il cui reddito è al di sotto di una data soglia: esso è funzionale al contenimento del Welfare, ma contempla il perseguimento di un consumo di massa compatibile con la produzione in serie all'interno del modello fordista di produzione. Un secondo modello è il reddito minimo (che può essere assimilato ad un'indennità di disoccupazione), complementare all'attività lavorativa e di consumo, rivolto a chi non ha un reddito minimo da lavoro, sulla base del riconoscimento della fine del modello fordista e del fatto che la precarizzazione dell'attività lavorativa non consente un reddito stabile e continuo per tutti. Si tratta di un sostegno monetario indipendente dalla condizione professionale vigente, un palliativo alle carenze strutturali del nuovo modello di accumulazione flessibile, un sussidio selettivo e condizionato con la clausola che il reddito di cui si disponga sia inferiore ad una determinata soglia ritenuta di povertà. Una variante del reddito minimo è il cosiddetto reddito di partecipazione corrisposto ai partecipanti ad attività socialmente utili (quale che sia il loro reddito a prescinedre da tali attività). Tale reddito si può definire anche dividendo sociale, inteso come frutto di una produzione sociale che non prevede trattamenti differenziati. Con la nozione di reddito di cittadinanza invece si intende un intervento universale e condizionato che interessa dunque non solo chi si trova in una situazione economica particolare
  • Una obiezione comune al reddito di cittadinanza è il fatto che esso è un'alternativa allo Stato sociale, ma a tal proposito va detto che lo Stato sociale costituisce sempre una parte della remunerazione salariale (salario indiretto) , mentre il reddito di cittadinanza riguarda direttamente il potere d'acquisto di beni e servizi mercificabili. Inoltre seppure nel conflitto sociale si imporrà uno scambio, c'è da dire che la privatizzazione dei servizi sociali è già in atto indipendentemente dal reddito di cittadinanza e la possibilità di opporsi a tale dinamica dipende dalla resistenza e dalla conflittualità che le forze antagoniste sono in grado di mettere in campo. Inoltre la capacità di organizzare capacità conflittuale si scontra con la tendenza oggi in atto del predominio della contrattazione individuale sulla contrattazione collettiva (grazie alla flessibilizzazione dei rapporti di produzione, alla frammentazione del mondo del lavoro, alla subordinazione anche del lavoro intellettuale al capitale ed alla taylorizzazione del general intellect) e perciò nessun momento di conflittualità è in grado di inceppare il meccanismo di accumulazione
  • E' necessario un momento di ricomposizione delle diverse soggettività del lavoro che non può basarsi su singole condizioni di lavoro (troppo diverse tra loro) nè sulla retorica della solidarietà di classe. La ricomposizione può avvenire oggi lungo coordinate esterne al processo produttivo, pur essendo ad esso conseguenti, dal momento che grazie ad un reddito di cittadinanza vi è un maggior potere contrattuale nell'ambito della contrattazione ormai individualizzata. Dunque non è il reddito di cittadinanza che favorisce l'individualizzazione dei rapporti di produzione, ma l'opposto. La possibilità di disporre di un reddito maturato fuori dei rapporti di lavoro potrebbe favorire lo sviluppo di forme di resistenza e di conflittualità antagonista in quanto possibile elemento di ricomposizione sociale delle diverse soggettività oggi sparpagliate. Inoltre il reddito di cittadinanza può assumere diverse forme (erogato in maniera solo monetaria se non implica la sparizione dei servizi sociali primari o sotto forma di servizi reali supplementari che consentono l'ottenimento in modo gratuito degli stessi servizi primari ).
  • L'attuale organizzazione sociale postfordista ad accumulazione flessibile è incentrata sia su di una individualizzazione dei rapporti di lavoro e uno sviluppo di produzione immateriale come componente sempre più essenziale del sovrappiù (con forti guadagni di produttività sociale non redistribuiti) sia su di un livello di incertezza crescente con orizzonti temporali di decisione a breve e strumenti di valorizzazione che si muovono su scala oramai mondiale. Sul piano dei rapporti di lavoro la scomposizione crescente ridefinisce i rapporti tra lavoro salariato, a prestazione e coatto, mentre sul piano della produzione e del credito si assiste a processi di concentazione ed omogeneizzazione all'interno di macroaree sovranazionali, grazie al mercato internazionale dei capitali. In un simile contesto la possibilità di attivare politiche economiche e fiscali nazionali (con l'espropriazione delle banche centrali nazionali) risulta ridotta.
  • Va comunque fatta un'analisi quantitativa per avere chiara l'entità della massa monetaria necessaria per avviare una politica di reddito di cittadinanza (lire 1.000.000 di lire a tutti i cittadini al di sopra dei 18 anni consistenti in 45 milioni di persone) che sarebbe 540.000 miliardi di lire, vale a dire il 26,5% del PIL (o il 56,5% delle entrate dell'amministrazione pubblica). Gestire una simile somma in termini di bilancio pubblico porta al ripensamento dell'intera politica fiscale italiana ed alla necessità di sviluppare nuovi strumenti di controllo dei flussi di reddito che oggi passano liberamente sulle nostre teste.
  • A tal proposito si potrebbe pensare ad una tassazione di tutti i redditi indipendentemente dai cespiti tramite un'unica imposizione fortemente progressiva sui redditi, ma con aliquote minori di quelle attuali; con un altro provvedimento si potrebbero ridurre le aliquote sull'Irpef ed introdurre una patrimoniale delle imprese (tassa sul capitale); si potrebbe riformare la contribuzione sociale, eliminando la fiscalizzazione degli oneri sociali, ma riducendo i versamenti di contribuzione sociale; si potrebbe semplificare il sistema fiscale con controlli incrociati per quanto riguarda i servizi al consumo onde minimizzare l'evasione fiscale; si potrebbe introdurre una patrimoniale su ricchezze mobiliari ed immobiliari. Dal punto di vista internazionale a fronte della mobilità internazionale della rendita e delle attività imprenditoriali si potrebbe imporre una Tobin Tax sulle transazioni finanziarie di tipo speculativo e un intervento fiscale sugli Ide (investimenti diretti all'estero) , introducendo un'aliquota d'imposta sui flussi di capitale reali investiti nelle filiali estere: in tal modo potrebbero essere sottoposti a controllo e regolamentati non solo i flussi puramente speculativi, ma anche quegli investimenti che sfruttano processi di dumping sociale esistenti in molti paesi. Si tratta di un intervento che deve coinvolgere la maggior parte dei paesi europei, con il fine di regolamentare la competizione basata sulla rincorsa di costi di produzione sempre più bassi e consentire un miglioramento delle condizioni sociali nei paesi emergenti che avrebbero così una minor convenienza ad attuare politiche di dumping sociale.
  • Sul lato delle spese è necessario procedere ad una semplificazione del bilancio pubblico: mantenimento e allargamento delle spese sociali, riduzione delle spese militari e di ordine pubblico, eliminazione dei sostegni e delle agevolazioni economiche alle imprese. Una seria politica di riduzione della disoccupazione (tramite riduzione d'orario) ed una politica di sostegno della domanda (reddito di cittadinanza) hanno un duplice effetto sul bilancio pubblico e cioè riduzione degli oneri della disoccupazione (per circa 60.000 milardi di lire tra modo diretto e indiretto) ed incremento delle entrate fiscali in seguito dell'accresciuta domanda interna (un aumento dell 1% della domanda implica un aumento dell'1,3% del Pil e del 0,6% delle entate fiscali). la spesa assistenziale pubblica in Italia al 1996 inoltre ammontava a 30.000 miliardi di lire (15 miliardi di euro).
  • Inoltre è necessario riprendere la questione della redistribuzione dei guadagni di produttività indotti dalle trasformazioni tecnologiche ed oggi ad esclusivo appannaggio del profitto e della rendita. In realtà i tassi di crescita della produttività sono oggi di gran lunga più elevati di quanto le statistiche non dicano, dal momento che non si conta la produttività immateriale indotta dall'attività intellettuale applicata alla produzione. Ed è tale valore aggiunto che deve costituire la base imponibile dalla quale detrarre i fondi per il finanziamento del reddito di cittdinanza. Se la quota dell'1% sulla produzione dei beni e servizi destinati alla vendita venisse devoluta per il reddito di cittadinanza, si avrebbe a disposizione una cifra di 20.000 miliardi di lire. Va detto anche che in contesto di accresciuta incertezza economica l'esistenza di un reddito di cittadinanza garantisce una maggiore stabilità dal lato della domanda ed una maggiore continuità dei consumi.
  • Sommando tutte le fonti di finanziamento al netto delle modifiche delle aliquote di tassazione, ma con l'aggiunta della Tobin Tax con un'aliquota del 2% (per un gettito stimabile a 186.000 miliardi) , un imposta sugli Ide (per un gettito di 30.000 miliardi) e una tassazione dell'1% della produttività (20.000 miliardi) si arriverebbe a più di 240.000 miliardi a cui si aggiunge una riduzione di spese pari a 94.000 miliardi. Si raggiunge così una base ragionevole per discutere di reddito di cittadinanza.
  • La battaglia per il reddito di cittadinanza è al tempo stesso battaglia politica per la riappropriazione dei proprio bisogni e battaglia culturale per la riappropriazione dell'uso dei propri saperi. Il processo di formazione dei saperi sul piano culturale e dell'autocoscienza è qualcosa di differente dai processi di formazione delle competenze tecniche e della formazione professionale. Nel modello fordista la separazione tra la fase della progettazione e fase della produzione si riversava nella separazione gerarchica tra attività intellettuale (dotata di saperi e competenze) e attività manuale. Sapere e formazione erano sinonimi ed erano appannaggio esclusivo di poche elites posizionalte nelle fasi cruciali di controllo del comando produttivo e formativo (fabbrica, scuola e università). Neglianni Sessanta la conflittualità sociale si manifesta anche come diritto al sapere e diritto di accedere ai centri istituzionali di formazione.
  • Nel paradigma postfordista invece si modifica strutturalmente il rapporto tra fase della progettazione e fase dell'esecuzione, comportando una ridefinizione dell'attività, manuale e di quella intellettuale. Per quanto riguarda il lavoro manuale uno degli effetti dell'accumulazione flessibile è stato quello di rompere la ripetitività del'azione lavorativa della linea meccanica di montaggio, tramite l'inglobamento in un solo momento operativo di più funzioni e mansioni. La possibilità di comunicazione tra diverse macchine ha permesso di svolgere in parallelo molte operazioni che prima si svolgevano sequenzialmente: all'attività di esecuzione vera e propria si sommano operazioni di controllo-qualità. Il mix di attività manuale, controllo e progettazione comporta la detenzione di competenze specifiche e relative alla tecnologia utilizzata per cui è necessario un processo di formazione specializzata permanente e continua veloce al pari della dinamica tecnologica. In questo contesto lo sviluppo di formazione professionale non necessita di una preparazione culturale autonoma ed il sapere individuale si scinde dalla necessità di possedere competenze specifiche.
  • La distinzione tra attività manuale (soggetta a sforzo o ripetitività) e attività intellettuale (basata su valutazioni individuali e differenziate) stava nell'impossibilità di misurare e valorizzare in termini di unità di prodotto e/o di tempo quest'ultima , in quanto l'esito dell'attività lavorativa intellettuale dipendeva dal grado di istruzione, dal livello culturale e dall'esperienza individuale. L'introduzione di tecnologie del linguaggio e la standardizzazione dei processi di produzione immateriale in procedure prestabilite ed informatizzate consente invece oggi di poter controllare in termini numerici la prestazione intellettuale. Attualmente l'attività di scrittura e di programmazione viene remunerata sulla base del numero dei caratteri prodotti e non del livello qualitativo, oppure seguendo procedure standard di presentazione dei risultati ad intervalli regolari che ne consentano la misurazione in termini di unità di tempo. Si verifica così una taylorizzazione della prestazione intellettuale.
  • Ovviamente questo discorso non si estende a tutte le prestazioni intellettuali, ma è maggiormente presente dove il grado di competenza e di sapere è più diffuso e codificabile, e dove il grado di specializzazione relativa del sapere è minore. Tuttavia generalmente si assiste ad uno svuotamento sostanziale dell'attività intellettuale a favore di una sua meccanizzazione che ne deprime il contenuto, svilendone il risultato e la ragion d'essere. Anche per il lavoro intellettuale quindi la cultura conta sempre meno a vanyaggio della necessità di una formazione specifica. Indipendentemente dalla prestazione lavorativa la necessità della formazione professionale asservita alla necessità della produzione diventa sempre più imprescindibile per poter essere avviati all'interno del mercato del lavoro. Ma sempre più si tratta di una formazione professionale asservita alle necessità della produzione, cosa che implica una subordinazione culturale sempre più elevata. Se anche il cervello viene messo al lavoro e diventa strumentale ai meccanismi di produzione, è necessario che sia il più condizionabile possibile, dotato cioè di competenze specifiche ma non di autoconsapevolezza e autonomia culturale. Da questo punto di vista il reddito di cittadinanza favorendo la liberazione dal lavoro, è anche strumento di contropotere culturale.
  • Un processo di ricomposizione delle diverse soggettività all'interno del mondo del lavoro può verificarsi solo partendo da aspetti non direttamente riconducibili alle diverse esperienze di lavoro, ma esterni all'ambito lavorativo. Nel paradigma dell'accumulazione flessibile due sono gli aspetti che esulano dalle condizioni soggettive dell'attività lavorativa : il reddito ed il controllo sul proprio tempo di lavoro. Essi sono trasversali alle diverse tipologie di lavoro oggi esistenti in quanto figlie della flessibilizzazione dell'accumulazione con lo sganciamento della remunerazione del lavoro dai guadagni di produttività e la rottura del nesso produzione-occupazione. Questi due aspetti si traducono nella distribuzione sociale del reddito e nella riduzione dell'orario di lavoro, due aspetti complementari in cui il primo può facilitare la realizzazione del secondo.
  • Inoltre se la riduzione d'orario è un aspetto interno alla categoria degli occupati, il reddito di cittdinanza riveste una funzione sociale più allargata e riferita a tutta la popolazione. Da una decina d'anni è ben presente nel mercato del lavoro flessibile la tendenza all'allungamento della giornata lavorativa, soprattutto per i cosiddetti lavoratori autonomi legati alla prestazione. Una riduzione d'orario a tal proposito sancirebbe definitivamente il dualismo tra lavoratori all'interno del medesimo livello di produzione, ma con diverso statuto giuridico. In questo caso solo il reddito di cittadinanza potrebbe svolgere una funzione realmente unificante tra lavoratori dipendenti, autonomi e disoccupati.
  • La meccanizzazione dell'attività intellettuale (manifestantesi in un misto di crescente precarizzazione e di nuove forme di elitismo corporativo) pone come necessaria la questione culturale come problema sociale, dal momento che il decrescente livello culturale medio è un'utile strumento per la costituzione di una sorta di dittatura dell'informazione e dello stereotipo. Le condizioni di precarizzazione del lavoro impediscono qualsiasi presa di coscienza e di analisi delle proprie condizioni soggettive individuali. Il reddito di cittadinanza anche in tale situazione può svolgere un ruolo decisivo di collettore delle coscienze.
  • Anche se è possibile pensare a strumenti di ricomposizione sociale che si articolino trasversalmente alle soggettività ed ai vari segmenti del lavoro, rimane irrisolto il nodo della definizione del soggetto che pone le richieste e il soggetto che le riceve. Al momento non si intravedono nuovi modelli di rappresentanza in grado di cogliere i molteplici aspetti del mondo del lavoro e di farsi portavoce dell diverse istanze oggi presenti. Un aiuto in tal senso sarebbe forse la costituzione di luoghi fisici e liberati di incontro delle diversificate esperienze lavorative (Centri sociali). La parola d'ordine del reddito di cittadinanza può essere funzionale a definire la pratica del conflitto del nuovo inizio secolo.

Le considerazioni che si possono fare sulle tesi di Fumagalli sono queste:

  1. In realtà le Poor Laws come dice lo stesso Marx hanno impedito al salario di scendere oltre una certa soglia superiore al sussidio di povertà, dunque non ha svolto un ruolo di calmiere del prezzo della forza lavoro, ma al contrario ha permesso l'elevazione successiva del salario oltre il livello della mera sussistenza
  2. La proposta di reddito di cittadinanza di Silva è contestabile in quanto il reddito di cittadinanza non deve essere cumulabile nè deve essere alternativo allo Stato sociale, amche se può permettere una riduzione delle spese dello Stato sociale e una riduzione del costo del lavoro delle imprese, però senza ridurre il salario orario, ma permettendo un lavoro intermittente che si adatti alle esigenze dell'accumulazione flessibile
  3. Controverso è se il reddito di cittadinanza debba essere corrisposto anche a coloro che non sono cittadini del paese che eroga tale reddito: da un lato ogni discriminazione va evitata, ma d'altro canto si deve affrontare la sostenibilità di tale misura. Perciò tale problema va rinviato alle decisioni democratiche di ogni comunità interessata a tale misura.
  4. Il fatto che l'erogazione del reddito di cittadinanza possa essere condizionata da fattori contingenti, non implica che esso non sia collegabile ad un diritto universale al soddisfacimento di bisogni primari. Se ad es. questi sono soddisfatti attraverso un salario, una rendita o una pensione, allora l'erogazione del reddito di cittadinanza può essere sospesa, senza pregiudizio per il diritto inalienabile dell'individuo
  5. Il reddito di cittadinanza costituirà il livello base di ogni altro reddito (da lavoro, pensionistico, indennità) per cui se le indennità specifiche di disoccupazione sono più alte del reddito minimo esse vengono comunque garantite se già in essere, anche se si può pensare ad una loro riconfigurazione per il futuro, tenendo comunque presente che le aspettative e gli impegni di spesa di chi viene licenziato possono essere diverse da chi non ha mai avuto lavoro
  6. Integrare il reddito di cittadinanza con i costi legati alla riduzione d'orario è un controsenso (dal momento che poi il reddito di cittadinanza va a sua volta finanziato). In realtà il reddito di cittadinanza inizialmente deve costituire un paracadute per tutti i lavoratori e non, la base di un processo di riarticolazione complessiva degli orari di lavoro che va contrattata settorialmente, territorialmente e aziendalmente (con una riduzione uniforme e generalizzata solo in ambiti ben determinati) , secondo le differenti ipotesi ben evidenziate da Guy Aznar. In realtà si può pensare anche ad una riduzione dell'orario di lavoro finanziata con un secondo assegno corrispondente al reddito minimo. I lavoratori autonomi per ottenere il reddito minimo non devono superare un certo reddito annuo
  7. Chi e come deve erogare la moneta in cui consiste il reddito di cittadinanza? A nostro parere si tratta sempre di trasferimenti fiscali. Inoltre il reddito di cittadinanza non è condizionato la lavoro, ma è condizionato al non-lavoro o quanto meno ad un certo reddito (cioè ad un impossibilità di spendere per la soddisfazione di alcuni bisogni primari). Proprio il fatto che non venga erogato a tutti risulta essere una garanzia del fatto che non può sostituire lo Stato sociale ( i cui servizi vanno invece garantiti a tutti).
  8. Il reddito di cittadinanza si riferisce al necessario per mangiare e per il vestiario, alla formazione gestita personalmente, allo svago, in certe circostanze favorevoli alla casa. I servizi sociali fanno riferimento all'istruzione, alla casa, alla salute (non compensabili tramite l'erogazione monetaria perchè troppo costosi in rapporto a prestazioni qualitativamente decorose).
  9. La distinzione tra reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito non è così netta come pretende Fumagalli. La proposta che va fatta consiste in una famiglia di tipologie e non in una sola tipologia scelta tra tante (essa risulterebbe astratta e non consentirebbe l'adattamento dell'azione di governo a situazioni differenziate ed a problemi che si possono verificare di volta in volta e che presuppongono strumenti flessibili di intervento)
  10. Anche se la battaglia per il reddito di cittadinanza deve essere quella unificante, tuttavia non bisogna essere rassegnati nella lotta per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori (tramite il sindacato) e per il mantenimento dello Stato sociale. Si potrebbe pensare a cedere sull'art.18 se e solo se c'è un patto sociale per fare del reddito di cittadinanza un principio costituzionalmente tutelato. Mentre si potrebbe pensare a mantenere la legge 30 se il reddito di cittadinanza diventi quantomeno una legge ordinaria dello Stato. Le lotte sindacali devono trasferirsi dalla tenuta occupazionale alla sfida sull'organizzazione del lavoro. Quanto alla tenuta dello Stato sociale si può guardare come modello di sostanziale tenuta da 30 anni a questa parte alle socialdemocrazie scandinave.
  11. La copertura del reddito di cittadinanza deve essere così disegnata : 500 euro a tutti gli inoccupati al di sopra dei 18 anni, 250 euro a tutti i minorenni, magari con ulteriori articolazioni. Sarebbero 6000x25.000.000 + 3000x10.000.000 circa per un totale di 180 miliardi di euro (360.000 miliardi di vecchie lire) coperti per circa 80 miliardi da pensioni e per 15 miliardi di assistenza, per cui la spesa vera e propria sarebbe di poco più di 85 miliardi di euro (meno di 170.000 miliardi di vecchie lire) ovvero l'8% del PIL (e anche meno). Spesa finanziabile forse anche dalla sola Tobin Tax.
  12. La funzione unificante del reddito di cittadinanza non viene compromessa dalla sua erogazione ai soli disoccupati, dal momento che la potenziale disoccupazione è la cifra comune anche degli occupati nell'ambito di una generale precarizzazione dei rapporti di lavoro
  13. Il fatto che già si sia costretti a distinguere il soggetto che pone le richieste dal soggetto che le riceve, indica che comunque partiamo da processi che (dal momento che la fase socialista della transizione non si è riuscita a consolidare se non in maniera debole) fuoriescono da un controllo collettivo democratico e dal basso.