sabato, novembre 10, 2007

Caro Pagliarone

Antonio Pagliarone, che da questo momento indicheremo con l’iniziale P., mi onora di alcune critiche relative al mio articolo sull’economia globale, che sta naufragando. A ben vedere P. sembra essere consenziente sui primi sei paragrafi su sette che compongono l’articolo, anche se avanza alcuni rilievi di dettaglio, come la mia mancata conoscenza degli scritti di Rawski , che effettivamente è un autore che non conosco dal 1979 , quando cominciava a scrivere le sue prime ricerche su occupazione e sviluppo economico in Cina per i tipi dell’ Oxford University Press. Ma lasciamo da parte queste critiche noiose e saccenti e andiamo al paragrafo sette che a P. non va proprio giù, e qui va detto che delle due l’una o P. non sa leggere o falsa in modo volgare il mio pensiero per confutarlo meglio.
Infatti io proporrei un reddito di cittadinanza che sarebbe un sussidio di disoccupazione alla maniera scandinava , e per sostenere questa tesi cita un mio brano in cui io dico esattamente il contrario: che cioè il reddito di cittadinanza deve remunerare il lavoro di impegno sociale e civile. Tal obiettivo avrebbe una portata dirompente poiché in USA già negli anni ’90 oltre 92 milioni di americani dedicavano 4,2 ore al giorno al lavoro di impegno civile gratuito (il cosiddetto volontariato); si tratta di un monte ore erogato dall’8% della forza lavoro americana occupata a tempo pieno, remunerarla richiederebbe un trasferimento enorme di ricchezza dal capitale al lavoro e questo salda il discorso col problema della lotta all’evasione fiscale.
Tale problema sta diventando esplosivo poiché se la classe dominante non paga le tasse lo Stato fa bancarotta e chiude i battenti: lo hanno capito persone come Prodi e Visco, che non sono certo Lenin o Mao, ma sono chiamati a gestire uno Stato che altrimenti chiuderebbe i battenti. Lo capiscono anche studiosi di parte capitalistica come Turner o Rajan ma non lo capisce P. E non gli chiediamo di capire poiché per lui questo sarebbe uno sforzo da ernia mentale. Proporrei inoltre, secondo P., una ignobile ammucchiata tra Governo , sindacati e confindustria. Evidentemente P. non ha letto il brano del mio articolo in cui, molto napoletanamente, prendevo a pernacchie la posizione della confindustria secondo cui l’evasione fiscale è enorme e questo richiede l’abbassamento delle aliquote fiscali sul capitale: come dire scopro un ladro a rubar polli e gli regalo il pollaio. È evidente che io demistifico e derido la posizione della confindustria, ma questo per P. sarebbe un’ammucchiata o una fantasia onirica, evidentemente non è il caso di affaticare troppo il cervello del nostro contraddittore richiedendogli ragionamenti, anche elementari, che non è in grado di fare. È chiaro che qui si apre un fronte di lotta enorme che vede impegnati con diversi interessi Governo, sindacati, confindustria e lavoratori, ed è chiaro che per me si tratta di strappare concessioni ed interventi al potere politico, che si trova in una situazione quantomai contraddittoria, esattamente come fecero i lavoratori inglesi nel 1847 (legge delle 10 ore) , o i lavoratori argentini che in questi ultimi anni hanno avuto da alcuni Stati della federazione argentina il riconoscimento per legge di occupare e autogestire le fabbriche lasciate inattive dal capitale, senza dover pagare i debiti della pregressa gestione.
Per P. tutto questo significherebbe che io cedo alla tentazione di fornire “ricette”; ora io non faccio il cuoco, mestiere nobilissimo che da uomo di gusto apprezzo moltissimo, ma faccio da decenni l’intellettuale impegnato e come tale penso che sia mio dovere avanzare delle ipotesi di proposte , altrimenti sarei solo un noioso cacadubbi o un irritante saccentello, compito che lascio volentieri ad altri (indovinate a chi?).
Al signor P. comunque voglio raccontare un piccolo episodio, anche se credo egli non ne capirà il significato: nel 1964 venne a Napoli a tenere un comizio uno dei più prestigiosi leader del movimento operaio: Vittorio Foa, che poi in seguito ho avuto occasione di frequentare per anni e che mai ho visto in imbarazzo, tranne che in quella occasione. Si trattava di presentare l’ultimo nato della politica italiana il PSIUP , di cui io fui socio fondatore. Nel suo comizio al cinema Adriano, Foa affrontò il problema dello slogan lanciato da Franco Fortini: “Guerra no, guerriglia si”. A tal proposito egli disse di non avere ricette e dal fondo della sala si alzò la voce di un compagno che disse: “E non ti sembra venuto il momento di trovarle?”.
Foa rimase si stucco, farfugliò alcune parole e passò oltre. All’uscita vidi un uomo alto sui 45 anni circondato da compagni festanti , di cui aveva interpretato le esigenze: se fai politica o cultura impegnata non puoi limitarti a fare il cacadubbi, capito P.?
P. conclude dicendo che se gratti il marxista trovi il keynesiano: oh, c’est terrible!
Antonio Carlo