giovedì, marzo 29, 2007

Ondina se ne va

[...]Non ci sono domande nella mia vita.
Amo l'acqua, la sua densa trasparenza,
il verde nell'acqua e le mute creature
(muta saro' presto anch'io!),
e i miei capelli, tra quelle, nell'acqua ...
L'umida barriera tra me e me.[...]

Non avevo bisogno di essere mantenuta,
non pretendevo dichiarazioni o promesse solenni,
solo aria,
aria notturna, aria costiera, aria di confine,
per poter ogni volta riprendere fiato
per nuove parole, nuovi baci,
per una confessione senza fine:
Si'. Si'.

Dopo aver reso la mia confessione
ero condannata ad amare;
quando un bel giorno mi liberavo dell'amore
ero costretta a ritornare nell'acqua,
nell'elemento dove nessuno si prepara un nido,
si costruisce un tetto sotto le travi,
si rifugia sotto un telone.

Non essere in nessun luogo, in nessun luogo restare.
Tuffarsi, riposare muoversi
senza spreco di forze...
[...]

Ingeborg Bachmann, Il Trentesimo anno

giovedì, marzo 15, 2007

Conclusioni di Fumagalli

Nell'articolo su Posse, le conclusioni di F.
1.non c'è vincolo di bilancio per dare un sussidio di 55o euro mensili a tutti i disoccupati/e e il reperimento delle risorse è già possibile 2. il discorso finanziario per un rde è diverso: a ragion veduta esso non può essere erogato in modo universale e incondizionato perchè le risorse per tutti non sono sufficienti; esso però può essere uno strumento compatibile. Tuttavia rispetto all'idea di un capitalismo cognitivo, il cui problema è la misurazione quantitativa, si possono ipotizzare tasse proprio su quegli elemeti che sono oggetto del capitalismo cognitivo, vale a dire ambiente, teeritorio, conoscenza. Quindi la riforma fiscale dovrebbe procedere con una tassazione delle aliquote sui flussi di reddito, una carbon tax, una tobin tax e una tassa sui copyright. Cioè si vanno a tassare quei nuovi settori che sfruttano beni comuni. Il coordinamento deve essere a livello sopranazionale. Un punto nodale è poi il ruolo dei comuni per quanto riguarda il finanziamento delle proprie attività.
Alla fine: progressività delle imposte.

Ora mi chiedo: quale sarà proprio il ruolo degli enti locali sul piano della gestione finanziaria delle risorse, soprattutto degli enti già indebitati fino al collo nei settori ad es. della sanità. Poi non capisco bene il meccanismo attuale per cui gli enti possono emettere titoli sul mercato per autofinanziarsi. Infine in questo modo il rde diventa di nuovo universale e incondizionato?

reddito di esistenza

La definizione di reddito di esistenza secondo Fumagalli è quello di una nuova misura redistributiva adeguata alle forme di accumulazione del capitalismo cognitivo occidentale. Esso è una misura che restituisce e redistribuisce una ricchezza precedentemente prodotta e quindi non può essere annoverata nelle misure di tipo assistenziale. In un recente articolo pubblicato su Posse. Potere precario, egli si concentra sulla considerazione di praticabilità di questa misura nella Provincia di Milano e sostiene che 1. la sperimentazione debba avvenire in via graduale partendo dalle situazioni più a rischio, in un arco di tempo stabilito e di cui tutti i residenti sono a conoscenza e consapevoli, 2. l'attivazione di innovazioni fiscali e finanziarie per reperire le risorse adeguate, redistribuendo il carico fiscale. Il quanto è fissato al livello della soglia di povertà relativa individuale che dovrebbe essere di 550 euro al mese. Ho trovato interessante l'apertura dell'analisi ai piani di zona, di cui non ne conoscevo l'importanza. I comuni ogni anno inviano all'ASL e alla Regione alcune schede relative alla spesa sociale per aree d'intervento: anziani, disabili, minori-famiglia, immigrazione, emarginazione-dipendenze, salute mentale, servizi-socio-sanitari. In questo modo si distinguono altre sotto-aree e i canali di finanziamento.Quante aree ci saranno in Campania? I comuni sono così divisi in aree di grandezza e a ciascuno di essi poi sono destinati risorse. Secondo Fumagalli dalla fiscalità generale e dalla revisione delle imposte in base alla capacità contributiva si possono recuperare le somme per finanziare il rde. Sarebbe interessante un case-study su Napoli. Sapete se ci sono cose a riguardo?

domenica, marzo 11, 2007

Il nuovo blog di Crisi e conflitti

A questo indirizzo potete trovare un nuovo blog della rivista: http://crisieconflitti1.ilcannocchiale.it/

Giocheremo su tutti e due, vediamo che succede;-))

giovedì, marzo 08, 2007

Risposta ad Andrea Vitale

La lettura delle tue osservazioni critiche è stata così stimolante da indurmi a riprendere alcune tue riflessioni al fine di chiarire le mie tesi e porti, a mia volta, alcuni problemi.A tuo parere, la periodizzazione del capitalismo in fordismo e postfordismo è inaccettabile per quattro motivi fondamentali: 1) il fordismo, come forma di organizzazione del processo industriale, è storicamente nato in una fase economica con delle caratteristiche diametralmente opposte a quelle del secondo dopoguerra; 2) è errato attribuire a modelli di organizzazione del lavoro aspetti specifici delle fasi economiche; 3) l’analisi è inficiata dal carattere speculativo della comparazione a fronte dell’esigenza di analisi concrete; 4); l’assenza della concezione dello Stato come dittatura di classe.Procediamo in ordine ed analizziamo da vicino le obiezioni sopra elencate.Per quanto concerne la prima – il fordismo è storicamente nato in una fase economica con delle caratteristiche diametralmente opposte a quelle del secondo dopoguerra – non ci sono dubbi che esso sia nato nella prima metà del ‘900, un periodo, come dici tu, “squassato da immani crisi e distruzioni totali”. Ma guardando meglio da vicino tale età storica scopriamo che il fordismo come forma di organizzazione del lavoro è stato introdotto da Ford, sulla base degli studi di Taylor, negli USA a partire dal 1908, per la produzione in serie della prima automobile utilitaria, - il modello T - passando in un ventennio da un’iniziale produzione di 200 esemplari ad una produzione di 40.000 autovetture nel 1929.Già questo dato dovrebbe farci riflettere sulle condizioni tutt’altro che critiche della fase economica USA. In effetti, all’inizio del ‘900 gli USA hanno conosciuto una crescita economica che non ha eguali negli altri paesi industrializzati dell’epoca. Il che consentirà loro di uscire dalla Prima guerra mondiale tra le potenze vincitrici senza avere subito distruzioni e di scalzare la Gran Bretagna da paese leader economico internazionale. La crescita si arresterà solo nel 1929 con una delle più devastanti crisi economiche che la recente storia ricordi. Solo dopo il secondo dopoguerra il fordismo è divenuto un modello vincente da imitare e/o esportare nelle altre nazioni.In sintesi, nato negli USA in una fase espansiva della loro economia, il fordismo diventa un modello vincente a livello internazionale solo dopo la Seconda guerra mondiale quando i paesi europei fanno registrare dal ’45 al ’75 tassi di crescita ineguagliabili: il famoso “glorioso trentennio”. Dunque, sia per la sua nascita sia per la sua affermazione è possibile constatare un nesso preciso tra crescita economica ed organizzazione fordista del lavoro, contrariamente a quanto affermi nella tua lettera.Per quanto riguarda la seconda critica – è errato l’attribuire a modelli di organizzazione del lavoro aspetti specifici delle fasi economiche – devo osservare che sono in buona compagnia, in quanto molti sociologi ed economisti di orientamento marxista fanno la stessa cosa (Revelli, Fumagalli, Bonomi etc.). Ma non voglio controbattere a delle osservazioni intelligentemente critiche opponendovi stupidamente un “principio di autorità”, voglio solo indurti a riflettere sul fatto che le modalità dominanti di organizzazione dei processi di produzione e di sfruttamento della forza lavoro, pur costituendo la base reale di un progetto politico di emancipazione, non possono essere analizzate come atomi a se stanti, onde non correre il rischio di cadere in una visione atomistica e deterministica dei rapporti sociali, che da un punto di vista politico ci può indurre al settarismo.In effetti, come ho precisato nell’articolo (p. 14), bisogna fare riferimento al concetto marxiano di “totalità organica”, per cogliere i nessi tra le varie sfere dell’attività umana: produzione, distribuzione, scambio, politica, ideologia.Nella fattispecie la predominanza di alcuni assetti produttivi, e quindi le diverse forme di comando tra capitale e lavoro, non si comprendono semplicemente sulla base di un’analisi incentrata sulla sola fabbrica. Il just time, la lean production, la precarizzazione e l’individualizzazione dei rapporti di lavoro, i gruppi di qualità, così come gli altri aspetti organizzativi e tecnologici del postfordismo, vanno spiegati in relazione alla tendenziale saturazione dei mercati, alla globalizzazione dell’economia, all’esigenza di frantumare la classe in moltitudine, etc. Sono, nell’insieme, una risposta economica e politica che il capitalismo ha dato agli alti livelli di conflittualità espressi dalle classi lavoratrici sino agli anni ‘70Il particolare va analizzato criticamente in relazione al generale. E’ questa la grande lezione metodologica marxiana ai fini dell’elaborazione di una teoria critica dell’esistente, altrimenti rischiamo di cadere nelle tentazione degli opposti monismi – quello idealistico da un lato e quello positivistico ed empiristico dall’altro – entrambi acritici ed infruttuosi rispetto alla nostra finalità politica tesa al superamento dell’esistente.Per quanto riguarda la terza obiezione – il carattere speculativo della mia impostazione metodologica in contraddizione con la premessa iniziale – mi permetto di dissentire sulla base di alcune considerazioni specifiche.Innanzitutto, i modelli idealtipici, per loro stessa definizione, non avanzano nessuna pretesa di realtà come le ipostasi ideologiche e/o speculative da me criticate nella prima parte dell’articolo, ma si caratterizzano per una valenza esclusivamente euristica, conoscitiva e non essenzialistica. In quanto tali devono estremizzare le caratteristiche peculiari di un oggetto o di una tendenza, onde chiarirne concettualmente le differenze. Inoltre, essi non vengono costruiti sulla base di speculazioni aprioristiche, ma, coerentemente allo schema marxiano concreto-astratto-concreto, sono elaborati sulla base di precise analisi empiriche di sociologi ed economisti quali Carlo, Revelli, Rifkin, Bonomi etc. e successivamente verificate sulla base di tendenze e processi reali analizzati dagli stessi studiosi.Come ci ha insegnato Marx, l’analisi parte dai processi reali per giungere all’individuazione delle caratteristiche di fondo e delle tendenze generali, fermo restando che nell’opera di sintesi ed esposizione le conclusioni possono apparire come premesse. A questo proposito, nel proscritto del 1873 alla seconda edizione del Capitale, Marx osserva:Certo, il modo di esporre un argomento deve distinguersi formalmente dal modo di compiere l’indagine. L’indagine deve appropriarsi il materiale nei particolari, deve analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve rintracciarne l’interno concatenamento. Solo dopo che è stato compiuto questo lavoro, il movimento reale può essere esposto in maniera conveniente. Se questo riesce, e se la vita del materiale si presenta ora idealmente riflessa, può sembrare che si abbia a che fare con una costruzione a priori.Se mi fossi attenuto al livello ideologico non solo non sarei giunto alla conclusione che tra fordismo e postfordismo vi è continuità per quanto attiene i rapporti di comando capitale/lavoro, ma non avrei neanche colto sia il carattere mistificatorio e/o funzionale al capitale della rivalutazione della soggettività operaia – negando, così, l’alienazione, lo sfruttamento e i rapporti di comando e controllo tipici delle aziende, nonché la loro radicalizzazione – sia la sincronicità tra i diversi modelli organizzativi e le varie figure del lavoro. Tutti aspetti che ho individuato e denunciato (cfr. articolo pp. 24-30) e che tu, nella disamina dell’articolo, non hai colto o sottovalutato, pervenendo nella lettera alle mie stesse conclusioni: il carattere alienante di entrambe le forme di produzione. La discontinuità è individuata nelle diverse caratteristiche della fase economica, giungendo alla conclusione che il capitalismo mostra sempre di più il suo vero volto, facendo entrare in rotta di collisione sviluppo e socialità, crescita e coesione sociale, come non avveniva durante la fase fordista, caratterizzata, per quanto concerne il mercato del lavoro, da una tendenziale piena occupazione ed omogeneità delle condizioni contrattuali e dei diritti sociali, a fronte degli attuali processi di delocalizzazione, ristrutturazione, esternalizzazione, precarizzazione, individualizzazione contrattuale e disoccupazione crescenti. Processi sociali e tendenze queste che, se rimaniamo “chiusi” nel solo lavoro di analisi critica e di pratica politica all’interno delle fabbriche, non riusciamo a cogliere nella loro valenza negativa a livello territoriale e sociale, precludendoci la possibilità di comprendere criticamente le esplosioni di rabbia delle periferie delle megalopoli e delle metropoli sudamericane, francesi, statunitensi etc. (cfr. il caso esemplare delle banlieus francesi). Non ci fanno intercettare le nuove figure del lavoro, i nuovi bisogni, le nuove forme di sfruttamento, le nuove rabbie e le nuove frustrazioni, relegandoci ad una condizione marginale.Infine per quanto riguarda la concezione dello Stato, se non vogliamo limitarci a proclamare in modo ideologico la sua natura di classe, ne dobbiamo cogliere le concrete trasformazioni storiche, che sono una risposta ai processi di lotta. Lo Stato erogatore di servizi nei confronti del capitale testimonia la crisi del sistema non la sua forza, ne svela la sua natura di classe in modo storicamente determinato nell’età della globalizzazione, erodendo tutti quei diritti e quelle garanzie che nella fase precedente erano state conquistate dal movimento operaio e dalle altre classi lavoratrici contribuendo ad acuire la crisi anziché razionalizzarla.Scusami per la lunghezza della lettera, ma ritengo che sia stato necessario chiarire gli snodi problematici da te argutamente posti, proprio al fine di ribadirti, in qualità di rappresentate di un’associazione operaista, l’invito a partecipare ad un Forum sulle trasformazioni del lavoro, in modo tale da mettere in rete il meritorio lavoro politico, che svolgete nelle fabbriche, con le altre figure del lavoro e gli altri luoghi della produzione capitalista. Partire dalla fabbrica (ma quale fabbrica? solo quella fordista o anche quella diffusa sul territorio?) va bene, proprio per ribadire il carattere di espropriazione del modo di produzione capitalistico, ma rimanervi “chiusi” potrebbe indurre ad una posizione minoritaria e settaria, contribuendo a frantumare ulteriormente, da un punto di vista politico, quel mondo del lavoro, che oggi necessita di essere ricomposto, intercettando anche le istanze, le domande, i bisogni e le aspettative di una miriade di figure messe a lavoro e a valore dal capitale, al fine di rilanciare su livelli più alti, estesi e consapevoli la lotta tra capitale e lavoro.Si tratta, insomma, di individuare il filo rosso che unisce vecchie e nuove figure del lavoro, vecchie e nuove forme di subordinazione, comando e sfruttamento per ricomporre il fronte del lavoro e costruire politicamente un percorso di radicalità a partire dalle vecchie e nuove contraddizioni che stanno minando il sistema. Contraddizioni che di per sé non conducono necessaristicamente al comunismo –come invece sembra sostenere Enzo Acerenza, quando, nel numero 122 di Operai contro, parla di “processo storico ineludibile” – ma necessitano, come tu mi insegni, di una soggettività, una classe cosciente ed organizzata, capace di acuirle e superarle.Ma la costruzione di questa classe, che ha una valenza politica e non semplicemente sociologica, deve avvenire solo nell’ambito della grande fabbrica tradizionale o, per non rimanere settari e minoritari, dobbiamo partire anche dagli altri luoghi della produzione capitalista e coinvolgere le nuove figure del lavoro, che non sono immediatamente assimilabile all’operaio maschio adulto dell’industria siderurgica ed automobilistica?E la proposta di un reddito di cittadinanza universale ed incondizionato non consentirebbe da un punto di vista politico di ricomporre queste fratture all’interno del mondo del lavoro – fratture che attraversano anche gli operai per la differenza dei loro livelli salariali e delle loro tipologie contrattuali – e da un punto di vista economico di acuire le contraddizioni dell’ordinamento capitalistico in vista di un suo definitivo superamento?Aspettando una tua replica ed augurandomi di fare decollare quanto prima questa forma di collaborazione - un Forum online sul lavoro - che non implica nessuna rinuncia di linea da parte di nessuno, ma solo una condivisione del lavoro, politico, critico e teorico che le diverse associazioni ed organizzazioni svolgono nei loro ambiti di azione,ti rivolgo i miei più cordiali saluti.

Salvatore Lucchese

giovedì, marzo 01, 2007

Riflessioni

Come abitare questo nuovo mondo?
A ragione Bonomi quando afferma che dobbiamo riflettere su quattro punti se vogliamo capire: 1. il lavoro
2.il rapporto tra fabbrica e territorio
3. l'appartenenza
4.la tecnica

Questa transizione si connota di carratteri fluidi. Sono presenti elementi di postfordismo e preistoria e iperattualità, sostiene.Nuovi proletaroidi e un terzo nel conflitto tra capitale e lavoro. il territorio.

Foucault

Al convegno su Foucault sarebbe stato interessante insistere di più sull'oltre attraverso il contributo del pensiero femminista. La compianta Angela Putino ha scritto delle belle pagine utilizzando Foucault soprattutto nel saggio La cura di sè, dove si chiede, per introdurre la riflessione, come bisogna considerare l'ultimo Foucault. E' curioso pensare che dopo circa sette anni di silenzio Foucault poi si presenti alle stampe con la trilogia sul sapere. Pasquale Pasquino dice, rinviando pure al gusto dell'erudito di F., cioè il chiudersi in biblioteca tra mille ricerche, che bisogna considerare il suo rapporto con il cristianesimo, l'esigenza cioè di trovare - e di fondare - un fondamento etico al di fuori della cristianità.
Certo ci sarebbe molto da dire sul F. e il pensiero femminista. Anche sul versante critico. Penso ad esempio alla critica di Donna Haraway, per me condivisibile, circa l'idea di corpo e della sua sacralità rispetto alla tecnica. Cos'è oggi il corpo incarnato? quindi il corporeo? il carnale oggi si fonde con il protesico, con l'artificiale, fa un tutt'uno: è corpo protesico e proteiforme. Ne va della considerazione sulla tecnologia. Perchè dobbiamo rifiutare aprioristicamente come molti fanno il tecnologico? Perchè non provare a dare un senso nuovo all'ibrido? Ne consegue se mai possiamo sottrarci alle seduzione del tecnologico.
Un altro riferimento può essere Judith Butler, per quanto riguarda i soggetti e i processi di soggettivazione.

Biopolitica e dintorni

La biopolitica sembra essere il paradigma imperante con cui si vogliono leggere le recenti trasformazioni mondiali e i conflitti sottesi. Biopolitica come governo sulla vita: cura della popolazione come specie, incremento dell'efficienza lavorativa, gestione e promozione dell'istruzione sociale, salute, riposo, emarginazione di alcune forze sotto lo stigma della follia e della perversione, attraverso la medicina sociale, profilassi, igiene, miglioramento razziale, riproduzione. Biopolitica, politica di produzione e incremento della vita. Foucault c'entra un bel po', dunque. Si è già fatto un lessico di biopolitico, come già era avvenuto per il postfordismo. Alla biopolitica si collegano altri concetti, come quello dell'economia e della verità, ossia di quei saperi e quelle pratiche governamentali che creano la rete dei poteri e micropoteri entro cui si muovono i soggetti. Non è un discorso facile da fare se non si tengono in conto alcune cose, innazitutto la lettura di Foucault, poi il problema della modernità, della crisi della sovranita e la questione dei soggetti. Sarebbe interessante avere un quadro sintetico non tanto del dibattito attuale quanto delle linee evolutive del dibattito in questo decennio per comprendere ad esempio perchè oggi si comincia a parlare più spesso dell'economia come quel sapere che incorpora in sè la politica. Ma chi lo fa?