mercoledì, febbraio 22, 2006

Claus Offe sul reddito minimo

Claus Offe, filosofo e sociologo di ispirazione marxista e francofortese, così giustifica la sua proposta di reddito minimo:



  • Ciò che si deve assicurare tramite il principio liberale dello Stato di diritto era il libero godimento della vita e della proprietà. La sicurezza era garantita dalla non-azione dello Stato. All'opposto la sicurezza ed il benessere (Welfare) sociale sono garantiti solo dall'azione dello Stato, che deve garantire per legge il benessere per mezzo di rimesse in denaro, servizi, infrastrutture materiali e politiche di controllo nel campo sanitario, dell'istruzione, degli alloggi, della previdenza, dell'assistenza sociale, della protezione del lavoro e dell'assistenza alle famiglie. L'azione dello Stato si delinea come individuazione di obblighi positivi e diritti legali per determinate categorie di persone in relazioni a condizioni e situazioni contingenti per le quali sia riconosciuta la necessità del pubblico intervento. Un importante differenza tra Stato liberale e Welfare è che il principio dell'inazione è più operativamente preciso, mentre quello dell'azione comporta sempre il quesito sul quanto e come dell'intervento e dunque si espone alle critiche di ambiguità e di indeterminazione
  • Il ritiro del Welfare su posizioni liberali è impossibile in primo luogo perchè le cause dell'insuccesso economico sono complesse e non sono attribuibili ai soggetti individualmente intesi, in secondo luogo perchè non c'è più una fede religiosa dominante che conduca ad accettare in maniera rassegnata tale insuccesso ed in terzo luogo perchè l'insuccesso economico degli individui ha conseguenze sociali rilevanti che non possono essere trascurate, ma che bisogna prevenire. Le misure di sicurezza sociale sono stabili per lunghi periodi di tempo ed in alcuni paesi (Germania, paesi scandinavi) non sono oggetti di aspre controversie e sono spesso sostenute da partiti diversi. Ciò è dovuto al fatto che l'attivazione delle misure di Stato sociale poggiano su un certo numero di presupposti condivisi circa gli interventi legittimi, i disagi tollerabili etc.
  • Offe individua quattro fattori che concorrono contro la formazione del consenso attivo verso lo stato sociale: la diffusione dell'universalismo morale, scarsità di strumenti per ottenere individualmente quel che si richiede come diritto, autoinclusione potenziale nella categoria degli aventi diritto, conoscenza delle conseguenze sistemiche dell'azione sociale o dell'omissione della stessa.
  • Tuttavia ci sono fattori di crisi del modello produttivistico che vede il lavoro come strumento di integrazione e mediazione sociale: alcuni liberali pensano che bisognerebbe riattivare il mercato, altri che bisogna difendere lo Stato sociale, altri che pensano ad alternative quali il basic income. Questo si basa sulla cittadinanza e non sull'appartenenza ad una classe o ad un gruppo sociale, su attività utili extramercato e non sul lavoro salariato, sul bisogno e non sul merito, sull'autonomia del cittadino e non su una sicurezza eteroregolata
  • Le ragioni per mettere in questione il Welfare sono diverse: in primo luogo i costosi sistemi di sicurezza sociale richiedono una quantità consistente di interventi fiscali che presupporrebbero una crescita economica forte; in secondo luogo lo scollamento tra sviluppo ed occupazione rende più difficile l'assolvimento da parte del lavoro salariato del ruolo di legame sociale fondamentale; in terzo luogo la contrazione del Welfare conseguente alla forte disoccupazione, fa sì che coloro che fuoriescano dal mercato del lavoro siano progressivamente meno protetti; in quarto luogo una selezione dei destinatari dello Stato sociale porterebbe ad una perdita di consenso da parte della classe media che ha fruito dello Stato sociale pur non trovandosi in condizione di indigenza
  • La proposta di un basic income dovrebbe invece essere una sintesi degli aspetti più positivi dell'universalismo e della selettività: esso deve essere incondizionato a livello di sussistenza, finanziato dalle tasse, fondato sulla cittadinanza; inoltre l'opposizione della classe media deve essere superata attraverso la seguente regola procedurale: le revisioni di programma che ridurrebbero l'accesso al basic income o il suo livello non potrebbero passare se non con una maggioranza del 90% dei suoi contributori finali: se ad es. il 20% della popolazione volesse il basic income una revisione al ribasso diverrebbe effettiva solo se approvata dal 72% del corpo legislativo. Tale misura di protezione delle minoranze strutturali perderebbe di forza man mano che la minoranza aumentasse di numero: più questa si avvicina alla parità, più ci avvicineremmo alla regola della maggioranza semplice. Va inoltre incoraggiato e facilitato lo sviluppo del lavoro cooperativo diffuso al di là del lavoro formale e/o salariato, di modo che gli individui non solo sarebbero messi in grado di scegliere se uscire temporaneamente o per sempre dal lavoro formale, ma sarebbero liberi di accrescere da soli o in cooperazione con altri le proprie abilità, capacità normalmente sottoutilizzate in condizione di occupazione o di disoccupazione
  • Tuttavia la proposta del basic income incorre in limiti, rischi e problemi: in primo luogo non dobbiamo pensare ad essa come una panacea, ma come un intervento tra tanti che deve essere verificato nel tempo e che non fonda un nuovo ordine sociale, ma preserva e diffonde le idee della giustizia sociale in alternativa allo smantellamento del Welfare; in secondo luogo bisogna costruire una rete di alleanze tale da conquistare il consenso democratico e da difendere il provvedimento dai successivi tentativi di revisione in negativo; in terzo luogo bisogna aggirare l' "obiezione dello sfruttamento" utilizzando i disoccupati volontari in lavori socialmente utili ed evidenziando l'importanza dell'autosviluppo delle risorse umane in termini di cura per la salute e di aggiornamento culturale; in quarto luogo bisogna dare ad ognuno maggiori libertà nel combinare lavoro formale e/o salariato ed altre attività che si desiderano svolgere in modo da rendere socialmente preferibile nel lungo periodo il lavoro intermittente e discontinuo
  • Pur con questi possibili inconvenienti il basic income può diminuire il produttivismo e facilitare lo sviluppo di una coscienza ecologica, può favorire l'integrazione sociale di chi attualmente è escluso perchè non lavora, può favorire l'accrescimento del capitale umano facilitando la continua rigenerazione creativa delle abilità, può promuovere l'umanizzazione del lavoro disincentivando l'offerta di lavori troppo faticosi ed alienanti
  • In ultimo va detto, a coloro che pensano che il basic income causerebbe una fuga dal lavoro, che il basic income rimarrebbe molto inferiore al salario minimo e che l'autoformazione consentita dal reddito minimo garantirebbe una maggiore produttività del lavoro vivo, consentendo di perseguire comunque la piena occupazione

Le tesi di Offe sono interessanti soprattutto per quel che riguarda il processo che può portare la consenso sociale attorno al reddito di cittadinanza. Però non possiamo essere d'acoordo con Offe quando pensa a maggioranze qualificate per cancellare o ridurre l'ambito del reddito minimo una volta che questa fosse comunque instaurato. Tale strozzatura in uscita non renderebbe il reddito di cittadinanza più condivisibile ed attraente di quanto non fosse prima della sua adozione. Si può benissimo pensare che il reddito di cittadinanza possa essere un risultato di un processo costituente ed è a questo che le forze sociali che lo possono proporre debbono aspirare; in questo modo si garantirebbero anche quella maggiore tutela che è patrimonio comune a tutte le norme costituzionali. Fino ad allora però esso deve essere il frutto di una legge come le altre, il risultato di lotte sociali che vanno sempre riprodotte e che dunque devono nel loro insieme costruire il terreno di un'egemonia che possiamo definire pure di classe. Un processo costituente non si ottiene all'improvviso e tutto in una volta, ma è il risultato di un conflitto sociale senza sconti o scorciatoie dove la legge deve essere il risultato saldo di un'acquisizione di consenso che resista ad ogni risacca storica

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