lunedì, febbraio 27, 2006

Dieuaide e Vercellone sul reddito garantito

Dieuaide e Carlo Vercellone (alias Carlo Palermo) sostengono che



  • Mentre il lavoro diretto (organizzato nelle imprese) rappresenta sempre meno la fonte principale della creazione delle ricchezze, l'impiego diventa sempre più instabile e intermittente per milioni di persone precarie e/o senza lavoro. Cogestori insieme alle imprese del Welfare i sindacati sono i primi a fare la dolorosa esperienza di questa crisi di statuto della forza-lavoro: crisi che riveste molteplici aspetti (crisi di processi di produzione, crisi dei modi di distribuzione, crisi dell'istituzione impresa). La somma di questi diversi aspetti svela i limiti del lavoro salariato.
  • Facendo la critica pratica e radicale del lavoro salariato e delle sua rappresentazioni, il movimento dei disoccupati e dei precari può forzare la ripresa del discorso di Marx sulla forza-lavoro e a svilupparlo nell'ambito più esteso di una riflessione sulla modalità di socializzazione del lavoro alternative al salariato. Il movimento dei disoccupati francesi può essere letto come una prima tappa nella costruzione sociale e politica di un nuovo soggetto produttivo con l'iscrizione di una frazione crescente della popolazione attiva nelle reti della produzione e dello scambio non mercificate, dove tutto un complesso di persone sfugge alla norma del lavoro astratto propria del salariato. Il lavoro qui è organizzato sulla base di rapporti informali (scambi di informazioni o di conoscenze, aiuto reciproco) e all'interno di uno spazio in cui il carattere produttivo del lavoro dipende direttamente dalla qualità della cooperazione sociale: all'interno di queste reti la forza-lavoro è indissociabile dall'intelligenza collettiva delle persone impegnate e i saperi di ciascuno sono altrettante fonti specifiche di creazione di ricchezza
  • Per Marx il lavoro, sostanza del valore, non ha per se stesso alcun valore : il valore del lavoro non è che un'espressione irrazionale, una falsa apparenza veicolata dal lavoro salariato, la cui ragion d'essere è dissimulare ogni traccia di divisione della giornata di lavoro tra lavoro necessario e pluslavoro; il salario non è che un prezzo fittizio che dissimula il lavoro gratuito del salariato per il suo capitalista. Perciò non vi è in Marx una teoria monetaria del salario che spieghi questa mistificazione che consiste nel credere che il lavoro sia un valore in sè. Il movimento dei disoccupati francesi mette in discussione lo schema storico sul quale riposa lo statuto della forza lavoro come merce fittizia, e dall'altro incoraggia ad una riflessione sulle condizioni e le modalità monetarie di formazione dei redditi, a partire da una pratica che implica un allargamento del concetto di lavoro produttivo al di là degli ambiti ristretti rappresentati dai rapporti mercificati e salariali
  • La rivendicazione di un reddito garantito incondizionato prefigura l'esigenza di una socialità del lavoro immediata e mette in discussione il potere monetario del capitale di comandare e socializzare il lavoro salariato. Tale critica va oltre il problema di sapere se lo Stato è in grado oppure no di garantire giuridicamente e di soddisfare finanziariamente questa rivendicazione. Nell'epoca della globalizzazione, dove le monete nazionali si spoliticizzano sotto l'impatto della globalizzazione dei mercati finanziari, la rivendicazione di un reddito garantito esprime un progetto politico radicale di risocializzazione della moneta. Il pagamento dei redditi da lavoro non sarebbe più assoggettato alla più o meno grande disponibilità del capitale-denaro. Si rimette così in discussione delal fondamentale asimmetria tra coloro che possiedono l'iniziativa di creare moneta trasformandola in mezzo di finanziamento e coloro che non hanno accesso alla moneta se non vendendo la loro forza lavoro. In termini keynesiani questa rottura implica che la distribuzione sociale dei redditi che garantisce la riproduzione delal forza-lavoro sia sganciata dalle anticipazioni degli imprenditori rispetto al volume della produzione e quindi dell'impiego
  • Il reddito garantito si afferma come l'antitesi del salario; mentre il salario esalta direttamente la socializzazione del lavoro attraverso l'intermediario del denaro del capitale, la rivendicazione del reddito garantito esalta al contrario direttamente la socializzazione della moneta attraverso l'intermediario della quantità di lavoro che una società nel suo insieme può offrire in controparte. L'elemento determinante della creazione di valore non è il lavoro salariato, ma un tempo sociale del lavoro irriducibile al calcolo del lavoro immediato. E' per questo che dal punto di vista della valorizzazione capitalistica conta poco che il lavoro si socializzi nella forma del lavoro salariato o sotto altra forma, dal momento in cui produrre valori di scambio resta la norma dominante
  • La domanda decisiva è se all'interno dell norme coercitive imposte dal lavoro salariale, il tempo di lavoro trascorso nella produzione di merci sia più o meno produttivo. La rivendicazione del reddito garantito a tal proposito mette in evidenza l'estrema tensione esistente tra due schemi di valorizzazione del capitale: l'uno fondato sull'aggiustamento ex-post del livello di remunerazione e di effettivi assunti in funzione delle prestazioni di vendita realizzate dalle imprese sul mercato, l'altro precedente allo scambio, fondato sulla socializzazione dell'attività produttiva (mercificata e non) attraverso l'intermediario delle risorse (umane) valutate e consumate produttivamente in funzione dei bisogni e dei fini collettivi. Nel primo caso, dove i salariati sono pagati solo dopo aver lavorato, il credito e l'anticipazione in lavoro che essi eseguono non è la controparte di alcun investimento di capitali dal punto di vista della parte di produzione che ogni individuo può esigere con l'intermediario del proprio reddito; in questo schema i soldi direttamente anticipati non fanno che realizzare il prezzo del lavoro eseguito. La sua funzione è puramente circolatoria: mezzo di pagamento che ritorna ai capitalisti per mezzo della spesa. Nel secondo caso invece i redditi distribuiti garantiscono ad ognuno un livello determinato di potere d'acquisto indipendentemente dalle condizioni di produzione e di vendita con le quali i capitali si valorizzano. In questa concezione il denaro non è più direttamente anticipato, ma la sua spesa suppone al contrario una monetizzazione preventiva degli investimenti di capitali, di fronte al costo globale delle risorse produttive che la società è disposta ad anticipare in cambio. Si disegnano così i contorni di un sistema monetario la cui base poggia direttamente sulla società, intesa come spazio sociale produttivo. In tale ambito la formula di Kalecki per cui "i salariati spendono ciò che guadagnano, i capitalisti guadagnano ciò che spendono" sarebbe trasformata dal superamento dell'asimmetria tra classi di individui nell'accesso alla moneta. Essa potrebbe essere sostituita da una nuova formula per la quale la società nel suo insieme "guadagna ciò che spende"
  • Il movimento dei disoccupati francesi è forse l'espressione più compiuta della crisi della legge del valore dal momento che è apertamente negato il senso e la funzione regolatrice delle'esercito industriale di riserva all'interno della dinamica del capitale. Esso fa saltare in aria le separazioni attentamente istituite tra lavoro, disoccupazione e inattività. Queste seprazioni non hanno più consistenza di fronte ai costi finanziari della ridistribuzione che la desalarizzazione di una frangia sempre più numerosa della popolazione attiva rappresenta. Esse diventano inefficaci e persino inique in un contesto di generalizzazione della precarietà dove i lavoratori con contratti di formazione e a tempo determinato si vedono rifiutare l'accesso al regime di assistenza. Tali separazioni si dimostrano poi inadeguate per un mondo in cui la vita attiva è sempre più costituita da alternanze tra periodi più o meno lunghi di lavoro e di non-lavoro. Queste separazioni non svolgono alcuna funzione regolatrice, poichè rinviano ad un principio di gestione di una disoccupazione transitoria ed hanno la sola funzione di garantire il mantenimento di condizioni sociali di vita e sussistenza minimali.
  • Durante al gloriosa fase del trentennio keynesiano la forza lavoro era inserita in uno schema di divisione del lavoro con una programmazione che avveniva in un solo momento: ogni salariato riceveva un formazione iniziale al di fuori dell'impresa e dopo lavorava seguendo un progetto di carriera determinato in anticipo. All'interno di questo schema i diritti sociali si misuravano alla stregua del pieno impiego e dei premi di produttività realizzati da ciascuno in una logica di sforzo e di lotta contro il tempo. Conquistati in larga parte sul luogo di lavoro, questi diritti si inserivano in un ciclo di riproduzione della forza-lavoro totalmente subordinato ai bisogni del capitale. Oggi l'impiego e la copertura sociale associata tendono a rimanere privilegio di pochi: la disoccupazione non è più un rischio ma una situazione di fatto permanente dove la forza lavoro è resa obsoleta dal non-lavoro
  • Il capitale umano dei salariati si esaurusce tanto più rapidamente quanto resta inattivo e diventa improduttivo in assenza di qualifiche sufficienti che facciano sperare di trovare un impiego. Per rispondere a tale tendenza si mette l'accento sul ruolo dell'educazione dello Stato e all'intervento in formazione ed in ricerca e sviluppo. Di certo però il lavoro si arricchisce di nuove funzioni ed acquista sempre più una dimensione collettiva esigendo l'assunzione di nuovi saperi. La crisi del fordismo sancisce che la fonte dei guadagni di produttività rappresenta un carattere sempre più sociale, legata tra l'altro al peso crescente delle esternalità prodotte dalla circolazione dei saperi e delle attività non mercificate, che l'impresa gestisce al meglio e riporta all'interno della propria organizzazione gerarchica
  • In questo contesto lavorare va oltre l'acquisizione e la messa in opera di conoscenze nuove; esso significa anche produrre legame sociale, mobilizzazione di saperi, sia nella scuola che al di fuori di essa. Questa nuova natura del lavoro è incompatibile con le norme di valutazione e di costrizione al lavoro imposte dal rapporto salariale in quanto ci porta a riconoscere le dimensioni intellettuali e culturali che fondano la personalità dei salariati, intesi come forze sociali produttive. Se questi aspetti fossero socialmente riconosciuti e incidentalmente presi in conto nel calcolo del Pil apparirebbe chiaro che gran parte della forza lavoro stigmatizzata come non impiegabile farebbe pienamente parte dei meccanismo di produzione della ricchezza sociale, facendo saltare le frontiere tradizionali tra lavoro e non-lavoro.
  • Dunque le rivendicazioni dei disoccupati sono per l'espressione politica di una nuova centralità del lavoro sociale fondata sulla libera circolazione degli individui nell'esercizio della loro attività e per il diritto legittimo di ciascuno di essere pagato per la propria potenza creatrice, per la propria individualità sociale. Insomma si tratta di una rivendicazione del carattere sociale del valore d'uso della forza-lavoro, rivendicazione che volendosi riappropriare dello spazio sociale di produzione chiede il diritto alla mobilità professionale ed alla multiattività attraverso la formazione continua ed alla libera circolazione dei saperi e il diritto al reddito garantito attraverso la disgiunzione della massa salariale distribuita dal volume di manodopera impegnato e dal volume di ore lavorate.
  • Il reddito garantito in quest'ottica lungi al ridursi a questione di mera equità sociale, riposa su una frattura più consistente tra ruolo motore dei fattori collettivi da un lato e meccanismi di appropriazione del surplus da parte di un capitale la cui remunerazione si confonde sempre di più con una rendita. Il reddito garantito non può essere assimilato al semplice rimedio di una disoccupazione involontaria di tipo strutturale: mirando infatti alla messa in discussione dello statuto stesso della disoccupazione esso fa cadere la distinzione tra disoccupazione volontaria ed involontaria, legata alla rigidità del mercato del lavoro e/o al rifiuto degli individui di accettare di lavorare al salario corrente (cosa che nella realtà è sempre più prossimo ai minimi sociali) . L'istituzione di un reddito garantito permette di combattere contro precarietà dell'impiego (di cui la disoccupazione è solo una delle espressioni) e bassi salari, evitando la trappola della povertà del pieno impiego all'americana. Esso darebbe al rifiuto del lavoro precario una forza d'innovazione e di rottura simile a quella che dopo i conflitti sociali degli anni '70 aveva scatenato la crisi del modello fordista di organizzazione del lavoro
  • Ora, le rivendicazioni a favore dell'aumento dei minimi sociali, della non decrescita degli indennizzi di disoccupazione e l'allargamento del reddito minimo di inserimento tendono a svilupparsi sul terreno tradizionale della redistribuzione del reddito. Tali rivendicazioni vogliono però anche far discutere sulla critica dei modelli di workfare che volendo reintrodurre una discriminazione tra poveri buoni e cattivi, diventerebbe una macchina per l'accettazione dei bassi salari. A lungo termine la proposta di un reddito garantito costituisce l'asse strategico di un progetto di società fondato sull'autorganizzazione del lavoro sociale e sull'emancipazione dalla coazione monetaria al rapporto salariale, portando ad una revisione dei meccanismi che strutturano le norme di produzione e di distribuzione della ricchezza sociale.
  • La diagnosi per la quale la disoccupazione dipenderebbe solo dalla rigidità al ribasso dei salari reali e le politiche di disinflazione competitiva sono entrambe fallite nonostante un'inflazione controllata, la stabilità del tasso di cambio, un commercio con l'estero eccedente, la stagnazione dell'impiego e un processo di redistribuzione del reddito nazionale dai salari al profitto ed alle rendite. Le politiche neoliberali, nonostante un'efficacia transitoria come strumento per superare la crisi di rendimento degli anni '70, stanno portando con l'eccesiva compressione dei salari ad un livello insufficiente della domanda effettiva. Perciò si riparla di politica keynesiana del pieno impiego, ma a tale istanza si pongono le seguenti obiezioni.
  • La prima è che tali proposte sono cieche di fronte alla rottura tra crescita della produzione e crescita dell'impiego dal momento che le tecnologie informatiche flessibili permettono di aumentare la produzione senza aumentare il lavoro in ragione degli alti livelli di produttività che vi sono incorporati. Nella storia del capitalismo il progresso tecnologico ha sempre liberato lavoro ed ha sempre causato disoccupazione che però è sempre stata riassorbita dalla creazione di nuovi impieghi dipesa dalla creazione di nuovi prodotti e nuovi mercati per nuove produzioni. Tale dinamica di riassorbimento sembra esaurita di fronte all'esaurimento del ruolo motore del settore industriale mercantile e allo sviluppo forte di un progresso tecnico basato su rapporti immateriali (es. il linguaggio informatico) alquanto economo nella creazione di impieghi. Si dubita d'altra parte che una politica di riduzione dell'orario di lavoro possa compensare a breve termine gli effetti legati a tale rottura tra crescita e impieghi; inoltre solo una parte decrescente dei salariati (quella non precaria) può beneficiare della riduzione dell'orario di lavoro. Tale evoluzione giustifica l'istituzione di un reddito garantito che permetterebbe a segmenti precari di lavoro di superare l'opposizione tra mobilità e sicurezza
  • La seconda obiezione è che il problema di una garanzia generale di reddito che consenta una flessibilità di attività nell'arco dell'intera vita, costituisce un'esigenza legata non solo alle mutazioni del lavoro, ma anche all'analisi della trasformazione dei meccanismi keynesiani per i quali non può esserci crescita dell'attività e dell'impiego senza crescita della domanda. I fattori che nella crisi attuale deprimono la domanda non si riducono alla disconnessione tra dinamica della produttività e dinamica salariale: il fatto nuovo consiste nella natura delle nuove forme di consumo che riposano in larga parte su beni culturali ed informativi il cui consumo richiede tempo. Anzi, il consumo di questi beni anzichè essere distruzione di valori d'uso si potrebbe iscrivere nell'ambito sociopolitico di un lavoro sociale cooperativo e immediatamente produttivo. Consumare per scambiare, informarsi, creare e crescere e non per esistere sopravvivere e riprodursi: questa è la nuova norma del consumo che ridefinisce gli stessi rapporti tra produzione e consumo, giacchè se in questo caso consumare è produrre, allora l'impiego non può più essere concepito nella figura del lavoro salariato. Il tempo di consumo di beni immateriali non è un tempo perso per la valorizzazione, ma l'espressione e la condizione di un tempo di valore sovciale immediatamente produttivo di valore. In questa prospettiva esiste una organica complementarità tra le proposte di riduzione d'orario e di istituzione di un reddito garantito
  • La terza obiezione è che la politica keynesiana del pieno impiego non tiene conto di alcune riflessioni che lo stesso Keynes ha fatto sulla dinamica lunga del capitalismo. Keynes infatti in queste riflessioni annunciava che la disoccupazione tecnologica dovuta alla scoperta di di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera. Essa disoccupazione non è che una fase transitoria che annuncia il passaggio necessario da una regolazione dell'economia fondata sul principio di scarsità ad una regolazione fondata sul principio di abbondanza. La posta in gioco di questa transizione sta sia nella rimessa in discussione della legittimità storica della logica di accumulazione del capitale-denaro che nella crisi del lavoro salariato inteso come fondamento principale del legame sociale e dell'organizzazione del lavoro. Per Keynes il movimento storico dell'accumulazione avrebbe portato a privare il capitale del suo carattere di scarsità entro due generazioni. Tale tendenza si sarebbe concretizzata con l'eutanasia del rentier e di conseguenza la fine del potere oppressivo e cumulativo del capitalista di sfruttare il valore di scarsità del capitale
  • Questa riflessione prospettica non è in contraddizione con l'esigenza di una riforma che sostituirebbe alla rendita del capitale conferita dalla sua scarsità una rendita collettiva fondata su di una società d'abbondanza (dove sempre più vaste diventeranno le categorie di persone per le quali spariranno i problemi delle necessità economiche). Tale rendita assimilabile all'istituzione del reddito garantito sarebbe anche coerente col desiderio di Keynes di conciliare individualismo e socializzazione dell'economia, di tutelare la varietà della vita sia per ciò che riguarda il lavoro che il non lavoro. Keynes dice pure che in una società nella quale il tempo consacrato al lavoro fosse ridotto ad un'infima parte del tempo della vita l'individuo crescerebbe. La nuova società avrebbe per Keynes permesso di allargare all'insieme della popolazione il dono costituito da un reddito indipendente di cui unici beneficiari erano i ricchi redditieri, considerati un'avanguardia che esplora una terra promessa di cui i beneficiari futuri faranno però un uso completamente diverso. In questa società dell'abbondanza quando l'accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale e l'amore per il denaro come possesso sarà riconosciuto come passione morbosa un po' ripugnante e così tutte quelle pratiche economiche tese a sollecitare l'accumulazione del capitale
  • Il dibattito sul finanziamento del reddito garantito spesso si limita al problema delle modalità di riconversione delle differenti voci di spesa sociale del Welfare State, soprattutto quelli legati ai minimi sociali (sussidio per genitori soli, sussidio per adulti handicappati, sussidio minimo di anzianità, sussidio di solidarietà specifica) Su questa base numerosi sono coloro che traggono la conclusione che un reddito garantito sufficiente, il cui ammontare fosse uguale al livello di soglia di povertà ( circa 533 euro al mese e per singola persona), costituirebbe una misura economicamente inattuabile. Questo ragionamento non tiene conto del fatto che non colloca le condizioni del suo finanziamento nell'ambito della definizione di nuove norme di distribuzione della ricchezza sociale. In questa prospettiva possiamo superare l'ottica che concentra l'attenzione sull'unico problema del ridispiegamento delle spese di trasferimento, e provare ad identificare le fonti alternative di finanziamento.
  • Una questione fondamentale rispetto al dibattito sul reddito garantito ha a che fare con la natura di quest'ultimo, confrontata a quella di un reddito proveniente da patrimonio immobiliare o dalla detenzione di un capitale finanziario: per ogni classe di agenti, detentori di titoli di proprietà sul lavoro passato accumulato (o sulla terra) la stretta monetaria che lega il reddito all'impiego non esiste. Per questa categoria di agenti il lavoro non è un obbligo, ma deriva da una libera scelta. Tale osservazione evidenzia la contraddizione di alcune visioni che si oppongono al reddito garantito accampando considerazioni di ordine morale o economico; infatti la disconnessione del reddito dall'impiego non è che la distribuzione di un diritto attualmente limitato ad una fascia di popolazione privilegiata; la conseguenza di un allargamento non è tanto quella di produrre una massiccia disaffezione al lavoro in generale, ma facilitare la ricerca e la costruzione di nuove forme di lavoro scelto
  • Due sono i mezzi suscettibili di sostituire alla rendita di capitale una rendita sociale collettiva: a breve l'introduzione della tassa Tobin sui movimenti speculativi di capitale costituirebbe uno strumento di finanziamento efficace e facilmente applicabile da un punto di vista tecnico. Si tratterebbe di prelevare un imposta dello o,5% sugli scambi monetari mondiali. L'Onu ha ripreso tale proposta e le entrate avrebbero dovuto costituire un fondo sociale di solidarietà internazionale. Sotto la spinta del movimetno dei disoccupati la ripresa della Tobin-Tax potrebbe aumentare considerevolmente le entrate degli Stati, costituire uno dei risvolti della costruzione di un Europa sociale: permetterebbe di finanziare l'istituzione di un reddito garantito ed a livello europeo potrebbe anche dissociare il reddito garantito dal riferimento allo Stato-nazione e proiettarlo sul piano mondiale data l'interdipendenza dei sistemi produttivi
  • In una prospettiva più radicale di trasformazione dei rapporti sociali il finanziamento del reddito garantito in quanto istituzione di una rendita sociale collettiva potrebbe ispirarsi alle proposte formulate da Oskar Lange e attualmente da J.Meade nell'ambito della crisi attuale. Questi autori suggeriscono un principio di risocializzazione dell'economia originale a partire dalla proprietà dei mezzi sociali di produzione, alternativo alla nazionalizzazione socialista. Tali proposte si differenziano dall'idea del semplice sviluppo di un'azionariato di massa nella misura in cui i titoli di proprietà sono supposti essere inalienabili. Per Lange il capitale e il progresso della produttività sono un prodotto della cooperazione sociale; essi sono proprietà di tutti e giustificano a questo titolo a questo titolo il diritto di ciascuno dei membri della collettività ad un dividendo sociale. Allo stesso modo nel modello di economia utopica di Meade il 50% del capitale produttivo delle imprese appartiene alla comunità e il reddito garantito risulta dalla divisione del reddito scaturito dalla produzione delle imprese socializzate. Questo reddito sarebbe sarebbe per Meade il risultato dell'efficacia della produttività del paese, misurata dal profitto scaturito dalla comune approriazione del capitale produttivo.La distribuzione di un dividendo collettivo si giustifica sul riconoscimento del diritto di ogni cittadino ad una parte quota della produzione sociale, in virtù di due considerazioni principali: il capitale fisso è derivato da un lavoro sociale passato che non legittima in alcuna maniera la sua valorizzazione su una base individuale e privata; i valori d'uso compongono il capitale fisso ed i prodotti non possono essere consumati che collettivamente, con l'intermediazione del lavoro dell'insieme dei membri della società
  • Lange associava l'istituzione di una rendita sociale collettiva ad un salario sociale, fondato sull'esistenza dei guadagni di produttività irriducibili alla semplice addizione del contributo individuale dei diversi fattori di produzione. La pertinenza di tale proposta è ancora più forte oggi in quanto appunto al cooperazione sociale produttiva si sviluppa in luoghi ed istituzioni sempre più esterne ed autonome all'impresa e svolge una funzione crescente nella diffusione del sapere come principale fonte del valore. Tali trasformazioni rompono ogni legge di proporzionalità tra sforzo individuale e remunerazione. L'organizzazione sociale della produzione si presenta come nell'ipotesi marxiana del general intellect, sotto forma di un sistema integrato con un'interdipendenza generale in cui la stima della produttività con il calcolo marginale perde ogni pertinenza. Marx infatti diceva che non appena il lavoro informa immediata avrà cessato di essere la grande fonte della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura e quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del suo valore d'uso
  • Questo tipo di trasformazione rimette in discussione tutte le frontiere che nella teoria economica separano l'universo produttivo della sfera mercificata dall'universo improduttivo della sfera non mercificata. Il ruolo sempre più centrale del sapere come la crescente socialità della innovazione tecnologica, rendono caduche le categorie abitualmente utilizzate per caratterizzare lo statuto (produttivo o improduttivo) della forza-lavoro. Tali evoluzioni rendono obsolete la misura dell'effettiva durata della giornata lavorativa, sula base di una rigida separazione tra tempo di lavoro consacrato alla produzione e tempo di lavoro e/o di formazione. Il sapere e il non-lavoro in generale diventano in questo contesto la fonte di esternalità e di un progresso tecnico esogeno alle imprese. Continuare a riferirsi al concetto tradizionale di lavoro produttivo farebbe parte del medesimo anacronismo che dopo la prima rivoluzione industriale avrebbe voluto mantenere le vecchie categorie elaborate dai fisiocratici che consideravano come produttivo solo il lavoro nel settore primario: mantenere queste categorie avrebbe significato affermare che il lavoro dei salariati nell'industria manifatturiera era un lavoro improduttivo e parassitario. Perciò il riconoscimento del carattere collettivo dello sviluppo delle forze produttive richede una riforma radicale dei criteri di valutazione e delle norme di distribuzione della ricchezza nazionale
  • Il reddito garantito si caratterizza dunque come una categoria di analisi radicalmente nuova e completamente originale rispetto alla triade salario-profitto-rendita che regge la distribuzione del reddito all'interno di una economia di mercato. Esso non può essere ridotto ad una misura monetaria. La sua definizione deve integrare come componente indissociabile l'accesso universale, l'accesso ad un insieme di servizi e valori d'uso (salute, alloggio, educazione, formazione) che rappresentano un diiritto inalienabile ed insopprimibile alla cittadinanza, assicurando a ciascuno le condizioni materiali per una libera espansione della propria individualità. Comunque nella sua componente monetaria, combinazione di una rendita collettiva (dividendo sociale) e di un salario sociale, esso costituisce un reddito primario (prima della tassazione e di ogno redistribuzione) il cui ammontare è calcolato in funzione di un livello di reddito decente fissato come riferimento. Deve essere indicizzato sul prezzo e sui rendimenti sociali di produttività e può variare in proporzione della crescita o decrescita della produzione

Il saggio di Dieuaide e Vercellone è molto condivisibile: l'unica cosa che va detta è che la possibilità di attribuire reddito monetario sulla base di valutazioni immediatamente politiche che scavalchino il reddito anticipato dal capitale presuppone l'esistenza di un'autorità monetaria ad un piano comunque superiore a quello della circolazione internazionale del capitale finanziario. Ci vuole uno Stato mondiale signore di una moneta mondiale. Sino ad allora le autorità monetarie locali per finanziare il reddito di cittadinanza devono comunque utilizzare il prelievo fiscale, anche se si può pensare (con una certa cautela) ad un debito pubblico europeo

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