lunedì, dicembre 31, 2007

Alcune riflessioni sulla lettera aperta inviata dai compagni della Rete dei Comunisti.

Da Elpica

La sinistra \arcobaleno nasce subalterna …….perchè era già subalterna.
Chi crede che non lo era deve fare i conti con alcuni problemi: ha di frontea sè una storia di compromessi politici e cedimenti sindacali, una montagna di falsificazioni teoriche e di abiure storiche che necessitano delle risposte. In esse si vedrà che non c’è nessuna Montagna né tantomeno dei Montagnardi che lottano contro i Girondini, e che il topolino che partorisce non è altro che un nuovo Danton.
Ripercorrere la breve storia della nascita del PRC sarebbe un defatigante impegno che penso sia meglio evitare. Perché, più di ogni altra ricerca che evidenzierebbe geneticamente le premesse teoriche ed il blocco sociale di cui era espressione, le conclusioni cui è giunto insieme ai verdi e alla sinistra dei DS sono per i lavoratori e i tanti militanti il più bell’insegnamento. Anche se si è fregiato dell’appellativo "comunista, su cui ancora qualcuno si oppone alla sua scomparsa, ciò che si formato ed ora si coalizza in questa cosa rossa è il comunismo borghese.
Anche se ricacciato nella sua storica collocazione e per questo un pò recalcitrante ma pur senza smentire la sua vocazione governista, esso rimane quello che è: partito di riserva del capitale collocato a sinistra, per tenere a freno le contraddizioni che spingono i lavoratori alla coscienza e alla organizzazione rivoluzionaria, per sabotarne la necessaria possibilità di rovesciare gli attuali rapporti di produzione e di scambio. In sostanza rimane quello che fu il vecchio riformismo, balbuziente con la proprietà privata, romanticista verso le capacità demiurgiche dello Stato borghese.
Se la critica dovesse fermarsi a quanto dice Giulio, per il quale: "la gravità della situazione e la sua deriva continua richiede una rinuncia a dogmi e velleità integraliste per affrontare in maniera propositiva, concreta e ampia (perché ampia è la platea che ne è colpita) i problemi della precarietà del lavoro, del reddito, della casa, dell'istruzione, dei diritti civili", sarebbe priva di significato.
Perché alla fine non è chiaro di che cosa si tratterebbe; se fare una nuova organizzazione politica un po’ più di sinistra o qualcos’altro di non meglio precisato. Se teniamo però conto che le questioni accennate rappresentano gran parte del programma del sindacalismo alternativo, la faccenda si ingarbuglia alquanto, riportandola proprio al punto da cui hanno iniziato Cossutta e Bertinotti, con il primo, mosso dalla simbologia ideologica che riportava la memoria allo Stato Sociale con un corposo retroterra elettorale, ed il secondo mosso dalla velleità di riscossa dei salari senza colpire i profitti, ma salvando, con quindici anno di anticipo, il maggior sindacato dalla crisi di rappresentanza che ora lo investe più in profondità.
Se con la condivisione di una parte della lettera aperta promossa dai compagni delle Rete dei Comunisti, si può giungere a ripetere un film già visto, credo che le questioni vadano scritte in modo più stringato e senza lasciare nessuno alla libera interpretazione.
La critica può invece significare tutto, se, rivolta agli attuali rapporti di produzione e di scambio giunge, per la sua coerenza, a collocare una folta schiera di militanti nella posizione inconciliabile con il capitalismo. In caso diverso non dovrebbe esserci niente di cui scandalizzarsi. Infatti, se finanche la borghesia è interessata a risolvere i suoi mali senza metterne in discussione i rapporti di produzione e la dinamica economico-sociale su cui regge il suo potere, perché dispiacersi per i tanti panni sbiancati che sono in circolazione?
Penso che un dibattito che non tenga conto di questa ultima affermazione èsubalterno esso stesso ai panegirici che ci propina la politica borghese. Anzi, per chi è convinto della necessità storica di rovesciare l’attuale piramide sociale, una presa di posizione del genere, che può sembrare in sé indifferente se non anche rozza e priva di dialettica, è la sola che ci permette di iniziare un cammino autonomo e indipendente, senza stracciarsi le vesti per quanti non lo fanno.
Ed è a partire da qui che anche le battaglie di cui parla Giulio, ammesso che possano trovare soluzione negli attuali rapporti sociali sempre più lacerati dalla crisi economica e dalla sete di profitto, possono essere combattute sul loro connaturato terreno anticapitalistico, oppure come fisiologici aggiustamenti del sistema.
Su questa nuova aggregazione politica pesa soprattutto la necessità che venga lasciato per sempre, anche se ora lo fa solo nominalmente, ogni riferimento al comunismo teorico. Perchè, come espressione della liberazione degli operai dallo sfruttamento capitalistico, li compromette continuamente col capitale nei confronti del quale si sono legittimati come forza governativa. Infatti, al pensiero di liberazione degli operai, non basta più nemmeno commemorare la Russia del ’17 senza dire che ciò ha significato anche capitalismo di stato.
In secondo luogo sta la riforma elettorale col suo sbarramento percentuale che renderà impossibile la rappresentanza parlamentare che non prenda voti sufficienti.
Ma c'è dell'altro ancora nella nascita di questa cosa rossa, che è tutto a suo discapito. Certo è che loro pensano alla propria esistenza e si assemblano, ma sarà sempre più problematica la loro vita futura. Una della cause, oltre all’incedere della crisi capitalistica con i suoi inconciliabili risvolti sociali, è proprio il ricongiungimento dei loro differenti approcci alla realtà.
Infatti, se il riformismo, storicamente posizionato dentro i rapporti borghesi di produzione e di scambio, ha potuto essere anche espressione dell’utopica distribuzione equa del reddito facendo pure un po’ la voce grossa sul salario nelle condizioni di sviluppo del capitale, ora che si unisce con i verdi che sono alla rincorsa di un equilibrio tra questi primi e fondamentali rapporti con la natura, per loro, come anche per gli ecologisti, saranno tempi duri e banco di prova per le più belle ed inconcludenti proposte universalistiche con le quali credono di poter mettere d’accordo il lavoro con l’ambiente, senza eliminare l’appropriazione privata del plusvalore.
Sarà un caso, oppure è proprio il capitale, che, giunto all’apice del suo sviluppo rimette il comunismo nella sua espressione umana? Staremo a vedere.
Intanto i comunisti senza partito rappresentano un anacronismo se non anche un po’ di folclore, fanno tanto male a se stessi e al comunismo da essere un fatto inaccettabile.
Se c’è un ultimo insegnamento che dobbiamo ricavare è quello di finirla col metodo di dire cose che non si intendono o lasciare intendere cose che non si dicono.
L’indipendenza politica e il programma comunista sono tracciati nel Manifesto del 1848.
Elp 10- 12- 2007

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