lunedì, dicembre 31, 2007

l'ambiguità da sciogliere: Gli operai e la società civile

Da Elpica:

Dobbiamo convenire che è stata una grande e ben riuscita operazione, quella di fare un referendum esteso a tutte le classi sociali con operazioni di voto su tutto il territorio.
La democrazia del voto ha funzionato. Pensionati e casalinghe ammaliati dal misero aumento di una miserabile pensione, lavoratori benpensanti che non hanno nulla a che vedere col Lavoro, insomma la società civile ha decretato che l’accordo del 23 luglio, seppur con qualche modifica che si preannuncia marginale sui lavori usuranti, deve passare.
Questo voto ha decretato che i pensionati devono rimanere nella miseria, gli operai devono contentarsi del presente e quelli futuri di essere certi che la loro condizione peggiorerà.
Dall’abolizione della scala mobile, dopo che gli anni ’80 sono trascorsi all’insegna del Toyotismo e della Qualità Totale, sono ormai più di quindici anni che gli operai si ritrovano stretti un cappio al collo contro ogni loro rivendicazione per migliori salari e diritti nel lavoro.
Da quando agli inizi del '90 i Consigli di Fabbrica diedero vita alle grandi proteste contro Berlusconi per poi ritrovarci un governo di sinistra col finanziere Dini che riformò il sistema pensionistico proiettandolo per tappe alla conclusione oggi raggiunta, e con il sg. Treu che istituzionalizzò con legge le premesse per la precarietà del lavoro, sono passati quindici anni.
Anni di continui ricatti e cedimenti, in primo luogo sulle condizioni degli operai: dal versante della Confindustria e dai vari governi succedutisi fino ad ora, la parola magica che ha funzionato come il pilastro contro cui fermare ogni rivendicazione sui salari, sui diritti e sullo stato sociale dell'erogazione dei servizi, è stata il Mercato. Nessuno può sentirsi responsabile delle leggi che regolano il suo andamento, e in effetti sarebbe vano ricercarne la responsabilità in questo o quel capitalista, tranne ovviamente quando bisogna scaricarne le conseguenze sugli operai e i lavoratori. Come pure, è vano cercarne le responsabilità nell’imperialismo degli Usa, senza lottare contro il proprio capitalismo.
Dai padroni grandi e piccoli, la parola, che è un vero e proprio arcano concettuale, è passata nelle mani dei partiti, di destra e di sinistra, federalisti o centralisti che siano, mediante varie tappe che hanno contrassegnato gli equilibri della borghesia di destra e di sinistra e le pressioni esercitate sulle due fazioni dalla Lega di Bossi.
Questa convergenza, anche se la destra si distingue per affermare più apertamente il primato dell’impresa, libera da ogni condizionamento, per il quale i migliori affari sarebbero fonte di migliori condizioni lavorative, mentre la sinistra si affanna a indicare che migliore efficienza e innovazione aumenterebbero la competitività e quindi la domanda di lavoro, è stata contrassegnata, come prima tappa, da un scontro sul carattere costituzionale della democrazia.
Il punto da colpire era la velleità separatista della Lega di Bossi, che per la stessa questione del Mercato, da cui discende la competitività, ha mosso guerra allo Stato, definito ladrone, parassitario e centralista, al solo scopo di scalzarlo dalle garanzie sui patti tra capitale e lavoro, come l'attacco all'art. 18 ha dimostrato, e per consentire ai padroni del nord di pagare meno tasse, e quindi di trarre più profitti.
Si è continuato a porre sotto ricatto gli operai e i lavoratori per il pericolo di Berlusconi. E per mantenere il consenso elettorale della società civile cercando di non perdere quello degli operai sempre più arrabbiati, il partito che si prefiggeva di rifondare il comunismo, ha dovuto programmare due scissioni: la prima, con alla testa l’ex sindacalista Garavini - segr. reg. Fiom Piemonte ai tempi dei 35 giorni di lotta contro i licenziamenti alla Fiat - che si separava da Cossutta per dare i numeri al governo Dini; la seconda, tra Cossutta e Bertinotti, con il primo a difendere il governo D’Alema, il secondo a cercare di recuperare consensi tra gli operai e la gioventù arrabbiata dei centri sociali e trattenerli sotto l’egida dell’opposizione ma non troppo. Infine altri aggiustamenti di posizioni - leggi abiure sulla storia del novecento - per accreditarsi come forza governativa e come soggetto istituzionale e tenere in vita il governo Prodi ultimo, che con non allenta la precarietà, riconfermando l’andamento da Treu a Maroni e che sulle pensioni ha una proiezione per il 2013 addirittura peggio della riforma di Maroni.
Qui comincia il bello.
Il pericolo della destra è stato usato dai partiti di sinistra con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. E il governo Prodi non è davvero l’ultimo che gli operai di meritano. Dovremo per questo essere destinati a farne il cane da guardia pur sapendo di andare incontro ad un baratro?
Certo che siamo per la Libertà, ne abbiamo sempre più bisogno, per questo vogliamo combattere questo sistema economico che ha inglobato nei suoi cicli di rotazione tutta la nostra vita, con turni a scavalco di giorno e di notte. Ma la Libertà per le classi sottomesse non significa niente senza la Fratellanza e l’Uguaglianza, e se per giungere a questo saremo costretti ad usare la ghigliottina tecnologicamente idonea ai tempi nostri, sarà una necessità, ab torto colli, da cui non poter sfuggire.
Quindici anni non sono trascorsi invano. Pur se accanite lotte non hanno dato risultati perlomeno corrispondenti ai reali rapporti di forza che si sono messi in campo o che potevano essere messi in campo, una nuova leva di operai combattenti si va formando nei più grandi centri della produzione sociale.
Qui è scontato il giudizio negativo dei sindacati. Giudizio che deve affondare più in profondità gli elementi da cui deriva, ed uno particolarmente importante che si affaccia sempre di più è il potere e la possibilità che il sindacato ha di sabotare le lotte, di non generalizzarne i contenuti, di non estenderne la forza.
Che si levi alto il grido di battaglia: COALIZIONE!
L’unità degli operai d’avanguardia che sappiano farsi valere nella cosiddetta società civile come la classe da cui tutto viene e niente rimane.
Elp 14-10- 2007

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