sabato, gennaio 07, 2006

Giustificazioni morali al reddito di base

Del Bò espone la questione morale del reddito di base, dicendo che ad es. si deve rispondere alla possibile obiezione che introducendo un reddito di base, si consentirebbe a certe persone di non lavorare e dunque di vivere sulle spalle di altri, di sfruttarli.
A tale obiezione Chiappero Martinetti risponde che non c'è sfruttamento se l'opzione "non lavorare e ricevere il reddito di base" è un'opzione in linea di principio aperta a tutti. Perchè il sistema produttivo funzioni, è necessario che una quota della popolazione lavori, ma questo non predetermina chi deve lavorare, solo che qualcuno dovrà lavorare.
A Del Bò questo sembra solo spostare la questione, perchè se qualcuno deve lavorare, anche se questo verrà scelto per sorteggio, questo qualcuno verrà sfruttato o no?
Lo sfruttamento è stato regolato forse equamente, ma rimane.

A queste considerazioni si può rispondere che:
1. Se il reddito di cittadinanza si dà a tutti coloro che ne potrebbero aver bisogno (esclusi coloro che hanno un reddito superiore ad un certo importo) il problema (se effettivamente, dato il livello di consumi esistente nelle nostre società, un basic income dà tutta sta' libertà) è chi voglia lavorare per altri motivi: ebbene se non si vuole col proprio lavoro mantenere coloro che non vogliono/possono lavorare, basta accontentarsi del basic income. Se si vuole lavorare per altri motivi, il fatto di lavorare anche per chi questi motivi non li ha non sarà di nocumento. Non ci si sente sfruttati per questo, giacchè "essere sfruttati" vuol dire "lavorare mantenendo altri che non lavorano e non poter scegliere altrimenti", ma qui la possibilità c'è, ed è quella di accontentarsi del basic income, mentre l'adire stesso al lavoro ed al reddito che ne consegue è sottoscrivere il contratto sociale che prevede il mantenimento minimo di chi non lavora, è l'altra medaglia del diritto al lavoro, che è quello della redistribuzione delle chances almeno per quanto riguarda un livello minimo di vita socialmente condiviso.
Si può a questo punto dire: e se nessuno volesse lavorare?
In questa fantascientifica ipotesi, si dovrebbe rispondere alla domanda: che lavoro c'è da fare e quanto ce ne è da fare, cosa si produce e perchè etc, quali sono i bisogni fondamentali.
Insomma se nessuno volesse lavorare, si ritornerebbe a discutere sulle ragioni del legame sociale e questo potrebbe essere un bene
Si capirebbe qual è la domanda effettiva di lavoro vivo e come redistribuire il lavoro necessario
Se ci fosse tale redistribuzione ci sarebbe una quasi piena occupazione e non ci sarebbe più sfruttamento (almeno tra esponenti della forza lavoro). Il fatto che tale battaglia per la redistribuzione del lavoro sia così fiacca la dice lunga sul fatto che chi lavora è sfruttato di disoccupati, o meglio la dice lunga sulla rilevanza di questo sfruttamento per il benessere dei lavoratori. I problemi sono forse altri o la tubazione perde da qualche altra parte

2. Ma andiamo infatti sul concreto e vediamo cosa implica il lavoro di chi lavora: per varie ragioni il tempo di lavoro di fatto è più lungo di quello stabilito dalla legge e non a caso almeno in Italia le sanzioni pecuniarie stabilite per lo sforamento dello straordinario non sono mai state adeguate dal 1925 (o giù di lì) al costo della vita. Perchè secondo voi? In alcune fasi del ciclo le ore di straordinario (per ragioni le più diverse ) sono state altissime. Cosa è stata questa se non sottrazione di lavoro a chi stava fuori? Ovviamente al capitale questo conviene (assumere altro personale sarebbe troppo costoso), e conviene a chi lavora (per necessità perchè si potrebbe essere licenziati in questo ambito di precarietà o per convenienza perchè sono più soldoni, più carriera, etc etc). Ebbene in questo caso il basic income dividerebbe coloro che lo fanno per necessità (a cui darebbe l'alternativa del reddito minimo garantito) da coloro che lo fanno per vantaggi personali (che pagano questa soddisfazione mantenendo i primi)

3. Ma tagliamo la testa al toro: in primo luogo, il preteso sfruttamento già c'è se un disoccupato va dal medico della mutua e si fa curare gratis, perchè quel medico lo paga chi lavora
Ma la cosa fondamentale è che tale obiezione nega semplicemente che lo sfruttamento c'è già ab ovo, ed è lo sfruttamento capitalistico. Se escono i soldi per lo stato sociale vuol dire che c'è un surplus che vivvaddio viene più o meno gestito pubblicamente, ma il surplus c'è. In pratica non solo il cosiddetto salario diretto, ma anche quello indiretto e differito (cioè Stato sociale e pensioni) sono istituzioni tramite le quali, almeno molto parzialmente, si è estorto al capitale parte del surplus (si può discutere se questo surplus poi abbia fatto risparmiare soldi al capitale, sia servito al capitale sotto altre forme etc), e pensare che ad es. le voci della busta paga dedicate alle imposte o alla previdenza a ripartizione siano decurtate è solo un'associazione a delinquere tra un soggetto forte (il capitale) che continuerà a sfruttare l'altro contraente, il soggetto debole (il lavoratore) che comunque rimarrà in vantaggio solo finchè lavorerà, ma la sia condizione sarà precaria perchè le condizioni per cui lavora non sono sua proprietà (e a testimoniarlo ci sono i professionisti altamente specializzati che si sono trovati col culo per terra in questi ultimi venti anni)

4. Ultima cosa: coloro che si accontenteranno del basic income e non faranno niente saranno una minoranza sparuta: la maggior parte di costoro impiegherà il tempo libero per crescere personalmente, per istruirsi, per aggiornarsi, per impegnarsi in attività non facilmente allocabili sul mercato, per trovare la propria strada. Qualcuno si perderà, ma la maggior parte troverà il modo di rendersi utile comunque oppure rientrerà nel mercato con più consapevolezza e con più capacità di offrire il proprio apporto sociale

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