domenica, gennaio 22, 2006

La risposta marxista all'obiezione dello sfruttamento

Secondo Del Bò l'idea soggiacente alla risposta marxista all'obiezione dello sfruttamento è che questa rischia di essere debole in quanto nelle società moderne complesse non è possibile individuare un nesso chiaro e diretto tra il lavoro del singolo e il prodotto che da tale lavoro deriva. Si tratta ad es. secondo Gorz di fare fino in fondo i conti con l'avvento del modo di produzione postfordista: essendo i mercati di fatto saturi, la competitività non si basa più sulle economie di scala, ma su produzioni snelle al fine di venire incontro ad una domanda molto diversificata e variabile, che cerca nei prodotti la novità ed il valore simbolico, per cui la produzione sta diventando qualitativa e immateriale
Tale produzione presuppone lo sfruttamento di quelle risorse intellettuali della forza lavoro che nel modo di produzione fordista-taylorista occorreva invece reprimere. Emerge una catena produttiva fondata sulla responsabilizzazione della forza lavoro e sulla cooperazione, sull'interazione tra i lavoratori per migliorare le procedure produttive e mantenere elevata la produttività dell'impresa. Nel mondo postfordista la produttività non dipende tanto dalla produzione immediata ma da una serie di capacità che i lavoratori sviluppano al di fuori del lavoro immediato. Nel mondo delle produzioni immateriali, il lavoro immediato conta molto meno non solo rispetto al lavoro necessario per la produzione e la circolazione delle competenze della forza lavoro, ma anche rispetto al lavoro necessario per la creazione delle condizioni di sfondo che consentono questa produzione e questa circolazione. La produttività del lavoro risulta così sganciata dalla materialità della produzione e del lavoro del singolo; ciò che la determina è piuttosto l'immaterialità delle relazioni interpersonali e degli scambi di idee che avvengono anche in contesti extralavorativi. Il lavoro produttivo richiede nei lavoratori un livello generale di conoscenze che entra nel processo di produzione come forza produttiva immediata.
Qui può essere richiamato il Marx del frammento sulle macchine secondo cui il livello generale delle conoscenze (general intellect) sarebbe diventato forza produttiva immediata, privando di senso la questione della produttività del lavoro di ciascuno. La creazione della ricchezza reale viene a dipendere meno dal tempo di lavoro e dalla quantità di lavoro impiegato che dalla potenza degli agenti che vengono messi in moto durante il tempo di lavoro, potenza che non è in rapporto col lavoro immediato, ma con lo stato generale della scienza e con il progresso della tecnologia o dell'applicazione di questa alla produzione. In questo contesto la produttività diventa produttività sociale, per cui la categoria ordinaria di sfruttamento tradizionalmente finisce per essere inservibile e che il reddito di base compensa una produttività sociale e riconosce un nuovo tipo di sfruttamento (quello dell'intellettualità diffusa)
Tale argomento marxista è inserito in una strategia teorica più ampia per la quale il reddito di base può essere strumento di contropotere economico, giacchè svincolando la disponibilità di reddito dalla disponibilità a lavorare, permette di sfuggire al ricatto del bisogno che si materializza nella necessità a volte di accettare lavori degradanti e sottopagati per procurarsi i mezzi per vivere; il reddito di base così concepito contesta alla radice la logica vittoriana ed il pregiudizio lavorista, secondo cui solo il lavoro può essere un fattore di inclusione sociale. Per Claus Offe il diritto al reddito di base fondato sul diritto alla cittadinanza è giustificato moralmente non dal lavoro salariato ma dalle attività utili comprese al di fuori del lavoro formale o del mercato del lavoro e che sfuggono a misurazioni e contabilità definite : il critterio di giustizia è la garanzia dei bisogni fondamentali.
Il reddito di base può essere anche strumento di contropotere sociale in quanto consente di contrastare le crescenti tendenze alla precarizzazione del rapporto di lavoro consentendo alla forza lavoro di ripensare alla propria condizione e di riorganizzarsi. La possibilità di disporre di un reddito al di fuori del rapporto di lavoro potrebbe favorire lo sviluppo di forme di resistenza e di conflittualità antagonista e la ricomposizione sociale di diverse soggettività oggi sparpagliate
Il reddito di base può anche essere strumento di contropotere culturale dal momento che la formazione permanente sul luogo di lavoro risulta inevitabilmente funzione delle esigenze della produzione. Il reddito dal ricatto del bisogno, consente di seguire percorsi formativi alternativi rispetto alla logica della produzione e perciò non finalizzati all'acquisizione di competenze specifiche ma allo sviluppo della autoconsapevolezza e dell'autonomia culturale
Del Bò a proposito di questa risposta marxista alla obiezione dello sfruttamento dice che essa si basa su presupposti (epistemologici, economici e sociologici) troppo impegnativi perchè a partire da essi per una prospettiva di ricerca filosofica feconda sul reddito di base

Le considerazioni che si possono fare a tal proposito sono le seguenti:
1. Va analizzata con molta attenzione la differenza tra il general intellect inteso come il sapere scientifico concretizzato nella tecnologia e il sapere diffuso e disperso nella sfera antropica (o nella forza-lavoro o nel proletariato) Un'identificazione superficiale tra le due ha generato l'identificazione postfordista (e ottimista) tra produzione e riproduzione sociale, identificazione non impossibile, ma che non è già data.
2. Offe dice che le attività socialmente utili sono il fondamento del reddito minimo. I sostenitori dei lavori socialmente utili deducono erroneamente che tali attività (che sono non quantificabili) sono la misura (!) e perciò la condizione necessaria per l'erogazione del reddito minimo (essi confondono il presupposto validativo con il presupposto genetico)
3. La tesi marxista sembra presupporre premesse troppo impegnative perchè esplicita i propri presupposti. Ma Del Bò pensa erroneamente che le altre teorie siano meno impegnative solo perchè tale doverosa esplicitazione non viene effettuata. Ma la conformità di una teoria al senso comune dominante in un dato ambito storico-geografico non la rende filosoficamente più semplice o meno impegnativa

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