domenica, gennaio 08, 2006

Reddito minimo e movimento femminista

Alcuni riconoscono l'esistenza di attività (come le faccende domestiche, le cure degli anziani, le attività di volontariato) che generano esternalità positive e soddisfano bisogni per i quali c'è una domanda, ma per le quali non è previsto compenso.
Tali attività sono essenziali non solo per chi ne trae direttamente beneficio, ma anche per tutto il mercato del lavoro, giacchè sono queste attività non pagate che permetteno di assorbire alcune tensioni dell'organizzazione sociale derivante dal lavoro salariato.
Il reddito di base costituirebbe lo strumento attraverso cui riconoscere questo diritto e pagare così lavori altrimenti non remunerati. Ci troveremmo di fronte ad una sorta di salario sociale che però non sarebbe vincolato alla disponibilità di ciascuno a lavorare, sulla base del presupposto empirico che la maggior parte delle persone, se non proprio tutte, finisce per essere impegnata in questo tipo di attività.
Per ragioni storiche e culturali sono spesso le donne a farsi carico di questo tipo di attività e il reddito di base potrebbe configurarsi come un modo per retribuire il lavoro che le donne svolgono per la famiglia all'interno delle mura domestiche.
Un reddito incondizionato avrebbe effetti positivi per le donne non solo in termini meramente retributivi, ma anche perchè aumenterebbe la loro indipendenza economica e il loro potere contrattuale sia nella sfera lavorativa che nella sfera familiare: esse potrebbero rifiutarsi di effettuare lavori pesanti e mal retribuiti fuori dalle mura domestiche, senza dover necessariamente rimanere alle dipendenze dei mariti.
In questo modo il reddito di base potrebbe dare un contributo per la lotta alle ingiustizie di genere.
A tal proposito Ailsa McKay ha sostenuto che la discussione sul reddito di base non esce dal pregiudizio androcentrico che assume la logica produttivistica come essenziali per la definizione delle relazioni sociali e per l'elaborazione dei meccanismi di protezione sociale. Infatti il reddito di base mantiene fermo il valore positivo attribuito all'occupazione. Se nelle economie di mercato il lavoro domesticoe familiare è sottovalutato rispetto al lavoro salariato e se il reddito di base favorisce forme di lavoro più flessibili, allora esso finirà per spingere le donne dal lavoro domestico verso il lavoro salariato senza però incentivare gli uomini a compiere il percorso inverso. A questo proposito, conclude McKay, occorre pensare più che al reddito di base classico, all'istituzionalizzazione del diritto ad un reddito non condizionato interamente separato dal mercato del lavoro. Il reddito incondizionato garantito deve essere pagato ad un livello giudicato sufficiente per venire incontro ai bisogni fondamentali, in modo che qualsiasi altro reddito guadagnato sia indicazione delle preferenze individuali in quanto opposte ad una necessità economica.
Ingrid Robeyns dice invece che i meccanismi che operano nella creazione di disuguaglianze di genere agiscono nel profondo e assumono l'apparenza di scelte libere di uomo e donna per cui il reddito di base non solo non rimuoverebbe le ingiustizie di genere, ma anzi incentiverebbe le donne a rinunciare al lavoro esterno (soprattutto se faticoso o pagato poco)
Le considerazioni che si possono fare su questo aspetto del reddito di base sono le seguenti:
1.La McKay ha perfettamente ragione: il reddito di base non deve essere compenso di alcunchè, ma deve essere garanzia incondizionata per il soddisfacimento parziale (integrato con i servizi sociali) di bisogni primari e in soggetti adulti garanzia di tempo per l'espletazione di attività socialmente ma non economicamente rilevanti, le quali però se fossero rimunerate, dovrebbero esserlo molto di più (come uno stipendio o un salario)
2. Per quanto riguarda Robeyns non esiste solo la discriminazione di genere: un lavoro faticoso e pagato poco non viene rifiutato da una donna solo per riflessi condizionati di subalternità di genere, ma anche per evitare subalternità di altro genere.

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