sabato, gennaio 28, 2006

La critica di Mazzetti al reddito di cittadinanza

Mazzetti, Giovanni - Quel pane da spartire. Teoria generale della necessità di redistribuire il lavoro. - Bollati Boringhieri, Torino, 1997

Giovanni Mazzetti è un economista vicino a Rifondazione, che ha a mio parere svolto attente analisi di filosofia dell'economia, ispirandosi alle categorie marxiane e cercando di vedere in Keynes un economista borghese le cui tesi hanno generato una situazione oggettivamente diversa (e densa di sviluppi) da quella che Marx aveva esaminato nella sua opera.
Egli nella sua opera critica la strategia del reddito minimo (pur riconoscendo che essa parte dalla giusta osservazione secondo cui occorre sempre meno lavoro per produrre più merci) dicendo che
I. Il ragionamento sul diritto ad un reddito non fa una grinza fintanto che si riferisce ai soli disoccupati, in quanto questi possono avere la certezza di ricevere le prestazioni corrispondenti al reddito che viene loro erogato, pur in assenza di un vincolo nei loro confronti inerente all'effettivo svolgimento di un'attività lavorativa, appunto perchè questo vincolo grava comunque su qualcun altro. Ma se il reddito minimo viene corrisposto a tutti i cittadini, questi avrebbero diritto a ricevere delle prestazioni che non sarebbero però vincolati a fornire a se stessi: un esito impossibile perchè se l'insieme di quelli che danno coincide con l'insieme di quelli che ricevono non può esserci per definizione incoerenza tra il dare e l'avere. Proprio perchè la riproduzione complessiva della società implica il susseguirsi delle figure della produzione e del consumo, come è possibile che i cittadini in quanto consumatori/utenti riescano ad ottenere ciò che come produttori non sono chiamati a dare? I sostenitori del reddito minimo non dicono come si potrebbe consentire il diretto acquisto di merci da parte degli individui a prescindere da una loro preliminare vendita o dal trasferimento a loro favore di un reddito derivato da una vendita altrui
II. Perhè si sostenga il reddito minimo si deve credere che la produzione della ricchezza abbia finito con l'essere svincolata da qualsiasi rapporto con l'erogazione di lavoro. Solo in questo caso si potrebbe infatti esercitare un controllo che invece di procedere dalla produzione potrebbe procedere dai momenti della distribuzione e del consumo. In quest'ottica il lavoro salariato apparirebbe come un rapporto completamente superfluo e gli individui non dovrebbero far altro che agire soggettivamente in modo corrispondente alla situazione nella quale si trovano
Il fatto invece è che è vero che la produzione aggiuntiva di merci richiede via via sempre meno lavoro, ma non è vero che la riproduzione corrente abbia smesso di dipendere dall'erogazione di tale attività. E proprio perchè la base della soddisfazione dei bisogni continua ad essere il lavoro salariato (e cioè la costrizione esterna, la necessità economica, altrimenti non avrebbe senso nemmeno la richiesta di un reddito "garantito") ogni libertà che si costituisca attraverso l'integrale esclusione dell'individuo da questo rapporto si costituisce in opposizione al lavoro salariato. Essa ha infatti bisogno che il lavoro salariato che l'alimenta continui ad essere svolto, mentre dal canto suo si sottrae alla necessità di svolgerlo: la libertà di chi godrebbe del reddito garantito riprodurrebbe la non libertà di colore che garantirebbero quel reddito. Si crea una classe parassitaria che trae antagonisticamente la propria libertà dal lavoro altrui
III. Se si imboccasse la via di garantire a tutti i cittadini un reddito nell'unica forma praticabile a breve, esso potrebbe essere solo un reddito monetario. Poichè questa disponibilità di moneta si riverserebbe su un sistema produttivo che continuerebbe a procedere senza un offerta aggiuntiva di mezzi, tutto quello che si otterrebbe sarebbe un generale aumento dei prezzi, che annullerebbe il potere che si cerca di instaurare con il reddito garantito. Forse la prospettiva di questo aumento potrebbe sollecitare una fase economica espansiva che se non fosse contrastata da un processo finanziario speculativo di segno opposto, determinerebbe un qualche aumento dell'occupazione. ma il problema della disoccupazione troverebbe così solo un'attenuazione temporanea
IV. Alcuni teorici del reddito di cittadinanza credono che il general intellect, che sovraintende alla straordinaria crescita della produttività, sarebbe già altro rispetto alla soggettività capitalistica, giacchè l'imprenditore non può più credibilmente rivendicare a sè alcuna paternità sulla forza produttiva, perchè essa si presenterebbe come il risultato di una cooperazione sociale sviluppatasi fuori del lavoro salariato. Per questo secondo loro si potrebbe rivendicare al non lavoro in senso generale una parte della ricchezza che quella cooperazione contribuirebbe in maniera determinante a produrre.
Ma (obietta Mazzetti) Internet ad es. sarebbe mai possibile senza energia elettrica, senza computer e supporti magnetici? E non è questa struttura (il cui pilastro è il lavoro salariato) l'effettiva espressione del general intellect, ed Internet stessa non è un embrionale e limitato tentativo di impiego di questa struttura anche per fini diversi da quelli che l'hanno originata, cosicchè quella struttura potrebbe sussistere anche senza Internet mentre non vale il contrario? Se questo è vero, è anche vero che la diminuzione del tempo di lavoro è tuttora opera del capitale e si presenta dal punto di vista del lavoro come un involontario prodotto degli individui che hanno agito ed agiscono sotto l'egemonia di questa entità sociale
V. Infine Andrea Fumagalli che pure ammette la necessità di intervenire anche nella sfera della produzione e considera inscindibili le due strategie della riduzione del tempo di lavoro (sostenuta da Mazzetti) e del reddito di cittadinanza, secondo Mazzetti, affermando che il reddito di cittadinanza deve essere indipendente dal lavoro salariato, ma deve essere legato al lavoro socialmente necessario, non si rende conto che se non è mediato dall'autonomia corrispondente al rapporto di denaro, tale legame va specificato in positivo e non in negativo.
A queste obiezioni di Mazzetti va risposto quanto segue
  1. Il diritto al reddito minimo è un diritto di tutti, ma viene attivato solo se si è disoccupati (ci sono anche altre ipotesi ma sono piuttosto lunghe da esporre). Dunque non c'è quell'incoerenza tra dare e avere che Mazzetti paventa. Di conseguenza le risorse sono più o meno le stesse che verrebbero attivate nel caso di riduzione generalizzata dell'orario di lavoro
  2. Quanto al presunto parassitismo esso ci sarebbe nella misura in cui un reddito minimo corrisponda ad una decurtazione della massa salariale in presenza di uguale erogazione di lavoro. Se non è così, quello che si va a toccare sono il profitto e gli aumenti di produttività, visto che chi lavora si ostina a lasciare al capitale questo surplus.
  3. Poichè le risorse sono più o meno le stesse che dovrebbero essere attivate in caso di redistribuzione del lavoro che c'è, i rischi di inflazione dovrebbero essere gli stessi.
  4. Internet apparterrebbe esclusivamente al capitale se le attività che si svolgono su Internet sono assolutamente ininfluenti alla realizzazione del valore. L'ipotesi di Bascetta e Bronzini perciò non può essere confutata semplicemente facendo vedere che le infrastrutture materiali che consentono Internet sono opera del lavoro salariato. Al tempo stesso lo spazio della produzione/riproduzione evidenziato da Bascetta e Bronzini non può essere la giustificazione del reddito minimo: quest'ultima si basa solo sui bisogni dei soggetti esclusi dal mercato del lavoro, bisogni che devono farsi domanda per prevenire (o quantomeno ritardare) le crisi di sovraproduzione.
  5. Per questo legare il reddito minimo al lavoro socialmente necessario è sbagliato se questo è la misura del reddito minimo. Esso è lo spazio di possibilità che si può aprire col reddito minimo ed in quanto tale può essere un argomento per il consenso sul reddito minimo, ma ciò non implica che esso sia il presupposto che fonda il diritto al reddito minimo e ne causa l'erogazione. Non si dà il reddito minimo perchè si è lavorato socialmente, ma si dà il reddito minimo perchè si possa lavorare socialmente.

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