domenica, gennaio 08, 2006

Le riserve di Gorz sul reddito di base

Gorz elabora una serie di riserve sul reddito di base che vale la pena esaminare
Egli dice che


  1. E ' giusto dire che non è possibile riservare il diritto ad un reddito alle sole persone che occupano un posto di lavoro nè far dipendere il livello del reddito dalla quantità di lavoro fornita da ciascuno. Da qui l'idea di un reddito garantito indipendentemente dal lavoro, idea rilanciata negli anni '60 negli Usa come sostituto del regime di previdenza sociale molto lacunoso oltreatlantico (fu promesso sia da Nixon che da Mc Govern), ripreso in Germania nel 1982.
  2. A tal proposito si doveva decidere anche se il diritto al reddito (oltre che dal diritto al salario) andasse dissociato anche dal diritto al lavoro e su quest'ultima opzione è ricomparsa la divisione tra destra e sinistra in Germania, mentre in Francia sembra esserci la necessità a destra come a sinistra (per chi non ha mai lavorato, per chi non lavorerà più, per i portatori di handicap, i sofferenti mentali, i malati ) di fare qualcosa, occupandosi però degli effetti senza interrogarsi sulle cause
  3. Il minimo garantito sarà un palliativo temporaneo in attesa di politiche di redistribuzione del lavoro ? L'inizio di una transizione verso una fase in cui il lavoro sarà intermittente per tutti ed in cui un secondo assegno garantirà un livello di vita normale quando non si lavora? O sarà l'oppio dei popoli che permetterà di ridurre al silenzio ed all'inattività un terzo della popolazione e renderà tollerabile un 'estensione della disoccupazione e della marginalità ? Infatti le leggi dei poveri della legislazione sociale di fine '700 si accompagnarono alla soppressione delle protezioni sociali (quali il diritto a coltivare un po' di grano e verdura sulle terre comunali) di cui beneficiavano i lavoratori senza terra dei comuni rurali, costringendoli così a lavorare per i proprietari terrieri. Questi ultimi però non avevano necessità di impiegare in permanenza una manodopera supplementare. Le poor laws permettevano ai proprietari di sostituire salariati fissi con braccianti occasionali che una volta finito il raccolto potevano rispedire a vivere del minimo di sussistenza che la parrocchia era tenuta a versare agli indigenti
  4. In realtà questo genere di garanzie non derivano dalla solidarietà, ma dalla carità istituzionale ed invece di combattere la segmentazione della società, tendono semplicemente a renderla accettabile e preso da solo è un'idea di destra. L'alternativa di sinistra è che non si deve accettare che la crescita della disoccupazione sia un dato inevitabile nè si deve accettare la scissione della società in lavoratori permanenti di pieno diritto ed esclusi. Perciò va affermato il legame indissolubile tra diritto al reddito e diritto al lavoro : ogni cittadino deve avere diritto ad un livello di vita normale, ma ognuno deve avere la possibilità (il diritto/dovere) di fornire alla società l'equivalente in lavoro di ciò che consuma, il diritto di non dipendere per la sussistenza dalla buona volontà di chi detiene il potere di decisione in campo economico. Perciò l'unità indissolubile di diritto al reddito e diritto al lavoro è per ciascuno la base della cittadinanza
  5. Nelle società capitalistiche contemporanee non c'è molto spazio per lo sviluppo di nuove forme di comunità microsociali basate sulla volontaria cooperazione e su progetti condivisi, con il risultato di un deficit permanente di rapporti comunitari e di partecipazione sociale.
  6. D'altra parte l'essere genericamente ed astrattamente membro di una comunità politica non può essere considerato un valido surrogato; infatti nelle società moderne complesse è la partecipazione al processo sociale di produzione economica che costituisce un essenziale fattore di socializzazione e di appartenenenza, il che è quanto dire che il lavoro resta essenziale per la piena inclusione nella società. L'appartenenza alla comunità presuppone un qualche tipo di obbligo, in quanto non c'è inclusione senza obblighi reciproci, ed è nel lavoro socialmente riconosciuto che tali obblighi si estrinsecano.
  7. Non conta da questo punto di vista che si esercitino attività a livello microsociale (le attività di cura) che pure quando fossero retribuite, non possono offrire cittadinanza nel senso pieno del termine (essendo svolte secondo modalità e finalità extraeconomiche ed extragiuridiche) laddove la cittadinanza viene attribuita in una sfera pubblica retta da logiche economiche e governata con strumenti giuridici. Il lavoro formale in senso economico è regolato da norme e rapporti universali che liberano l'individuo dai legami di dipendenza particolari e lo definiscono come individuo universale e cioè come cittadino: la sua attività remunerata è socialmente riconosciuta come lavoro in generale ed ha un'utilità sociale generale; si può vendere questo lavoro ad un numero indefinito di imprese senza dover allacciare con chi mi paga una relazione personale e privata. Lavorare nella sfera pubblica macrosociale significa che stai svolgendo un lavoro che ti assicura il riconoscimento sociale della tua utilità e ti fa sentire che eserciti un ruolo o occupi uno spazio nella società, che vali quanto chiunque altro: inoltre significa che non lavori per la persona del tuo capo, ma per far fronte ad un qualche bisogno o esigenza sociale che possono esprimersi più o meno attraverso il mercato.
  8. Da qui deriva il carattere emancipatorio del lavoro formale giacchè esso mi conferisce la realtà sociale impersonale di individuo astratto la cui identità personale non è conferita dal lavoro a cui non devo impegnarvi tutta la mia persona e tutta la mia vita : i miei obblighi sono ben delimitati dalla natura del mestiere, dal contratto di lavoro e dal diritto sociale. Una volta adempiuto ai miei obblighi contrattuali, non apppartengo che a me stesso, ai miei cari ed alla mia comunità di base. La sfera microsociale privata esiste come sfera di sovranità e di reciprocità volontaria solo in quanto è il rovescio di una sfera delimitata di obblighi sociali ben definiti. Se sono sollevato dall'obbligo di guadagnarmi da vivere lavorando, per poco che sia il lavoro, ho solo un'esistenza privata o microsociale e non essendo asservito ad alcun obbligo sociale generale, ad alcuna necessità socialmente riconosciuta non posso essere nè fare altro che quel che abbia deciso io stesso : escluso da ogni gruppo e da ogni iniziativa, ridotto alla noia di vivere, alla coscienza vivida della mia contingenza, sono un soprannumerario della specie umana.
  9. A tal proposito non è la garanzia di un minimo sociale che può cambiare qualcosa e neppure l'attribuzione di un lavoro fittizio, creato apposta per impiegare le persone per le quali non ci sono veri posti di lavoro e giustificare il sussidio che viene loro versato. Per quanto l'ammontare del minimo garantito possa essere elevato, non cambia minimamente il fatto che non si attende nulla da me, dunque mi nega la realtà di individuo sociale in generale. Mi versa un sussidio senza chiedermi niente, dunque senza conferirmi dei diritti su di lei; con questo sussidio mi tiene in suo potere: ciò che mi concede oggi, può lesinarmi o togliermi domani, perchè non ha alcun bisogno di me, mentre io ho bisogno di lei. Ad es. nella versione di destra il minimo garantito è un reddito concesso dallo Stato, finanziato con prelievi fiscali, per cui lo Stato prende da chi lavora e dà a chi non lavora, senza nessun concreto esercizio di solidarietà tra occupati e disoccupati: la legittimità di questo trasferimento resterà sempre più o meno contestata e lo Stato sarà sempre sospettato di favorire il parassitismo e l'indolenza e allontanerà il sospetto con una serie di controlli più o meno umilianti e i beneficiari saranno sempre in balia di rivolte fiscali e cambiamenti politici. Un reddito base di questo tipo servirà sempre da pretesto alla moltiplicazione dei lavoretti e piccoli impieghi precari, considerati come fonti di reddito integrativo ed inoltre faciliterà l'ulteriore discriminazione verso le donne, trasformandolo nel loro caso in un salario domestico. In pratica tale provvedimento salverebbe l'individuo dalla decomposizione della società del lavoro, ma non svilupperebbe una dinamica sociale che apra prospettive di emancipazione.
  10. Perciò non è con l'integrazione del reddito che si genera integrazione sociale, per il semplice fatto che il consumo è diverso dalla partecipazione (far parte di un gruppo significa che si può contare sugli altri, ma anche che gli altri contano su di noi) e ciò che importa alle persone non sono soltanto i propri introiti complessivi, ma è la capacità di mantenersi da soli con i propri guadagni. Il diritto al reddito deve dunque legato al dovere di lavorare non per salvare la società del lavoro, ma per produrre il reddito che si riceve, per salvare l'unità dialettica di diritto e dovere: il mio diritto è il dovere degli altri verso di me ed implica il mio dovere verso gli altri
  11. In una concezione di sinistra non si tratta di garantire un reddito indipendente da qualsiasi lavoro: si tratta di garantire e il reddito e la quantità di lavoro sociale corrispondente, un reddito cioè che non deve diventare indipendente dal lavoro in sè, ma dalla durata del lavoro così che la riduzione del tempo di lavoro socialmente necessario non implichi la riduzione del reddito. In questo modo, per quanto il lavoro diventi intermittente e si riduca la sua durata, il reddito garantito a ciascuno non cesserà mai di essere un reddito guadagnato. Insomma la garanzia di un reddito garantito per chi è marginalizzato dalla società non deve essere nè lo scopo ultimo nè il punto di partenza del progetto politico, che invece deve essere la diminuzione del volume di lavoro necessario per eliminare la disoccupazione involontaria, la povertà, la mancanza di tempo, l'obbligo al rendimento ed al tempo pieno. Non si tratta di assicurare un sussidio a chi rimane fuori ma di togliere le condizioni che hanno portato all'esclusione di parte della forza lavoro dal mercato.
  12. Il reddito di base perciò può essere utilmente impiegato in una strategia di più ampio respiro che comprenda tre ulteriori linee di intervento e cioè una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, l'introduzione di concreti programmi di formazione e un riconoscimento sociale delle attività volontarie. Tale strategia globalmente considerata permetterebbe di redistribuire in maniera più equa il lavoro socialmente utile consentendo alle persone di operare una scelta tra un maggior guadagno e un maggior tempo libero da dedicare ad attività nel microsociale.
  13. Da questo punto di vista il reddito di base costituisce il pagamento differito o anticipato della quota di ricchezza socialmente prodotta dall'individuo e dunque un reddito cui si ha diritto per aver svolto la propria quota di lavoro socialmente utile all'interno di una società in cui il lavoro è distribuito equamente tra tutti, un reddito guadagnato che è dovuto e non concesso dalla società per la quota di lavoro che si è impegnati a compiere
  14. Concludendo il reddito di base non è una misura che può essere scissa da altri meccanismi di intervento aventi come obiettivo l'inclusione sociale, in primis quelli finalizzati a garantire alle persone un'occupazione stabile e decente

A queste tesi vanno poste le seguenti osservazioni

  • In realtà come dice pure Marx la legge dei poveri rese impossibile non stabilire un salario minimo e dunque consentì di assestare il rapporto tra capitale e lavoro su di un equilibrio più avanzato senza attardarsi nella difesa anacronistica delle prerogative precapitalistiche dei lavoratori rurali.
  • Gorz confonde il diritto al lavoro e il dovere di lavorare che sono due cose diverse (non si può parlare di diritto/dovere di lavorare) soprattutto all'interno dei rapporti capitalistici di produzione
  • La politica di cui parla Gorz è la politica alienata (quella dei giorni festivi) propria della fase capitalistica. Dunque la sua astrazione non è connaturata alla politica, ma è l'effetto di una situazione patologica che va rimossa e non accettata come tale, come fa Gorz
  • Gorz parlando del lavoro come legame universale e astratto, nasconde l'esistenza dietro il lavoro astratto del lavoro alienato che è sì lavoro astratto, ma non riesce ad essere legame universale di cittadinanza. Egli presuppone una società socialista che non c'è stata e forse non ci sarà mai (a dispetto del modello di transizione ipotizzato da Marx) ed a cui si è avvicinata più la socialdemocrazia nordeuropea che il socialismo reale. Ragionamenti del genere sono fuorvianti in un contesto capitalistico. Inoltre l'uscita dal lavoro salariato non vuole immediatamente dire noia di vivere ed emarginazione sociale.
  • Il reddito minimo non vuol dire sancimento della precarietà del lavoro, ma al contrario uno strumento per combattere la coazione al lavoro precario
  • Il fatto che un reddito concesso dallo Stato si risolva in una dipendenza dallo Stato o dalla politica clientelare è già un fatto da quando per ribadire la coazione al lavoro ci si è accontentati del lavoro fasullo propinato dallo Stato e in certe fasi clientelarmente condizionato. Il reddito minimo di cittadinanza invece fa sparire il velo che consentiva la genesi di processi di corruzione politica e presenta la lotta per l'instaurazione ed il mantenimento di un reddito sganciato dal lavoro come una lotta per la denuncia e la redistribuzione del surplus generato dallo sfruttamento del proletariato sia lavorante che non-lavorante (dal momento che ci si serve dei bisogni di chi non lavora per condizionare chi lavora)
  • La partecipazione se non è data dal reddito minimo non è neanche data dal lavoro salariato: piuttosto il reddito minimo costituisce la base per generare una forma non alienata di partecipazione consentendo agli individui di non accettare per forza la forma alienata caratterizzata dal lavoro salariato
  • Impedire a tutti i costi l'espulsione dal mercato del lavoro presuppone che l'unica forma di lavoro possibile è quella storicamente determinata del lavoro salariato
  • Il fatto che è il lavoro il mezzo per l'inclusione sociale è un fatto, ma Gorz anche qui non fa capire se sia condivisibile o meno. In realtà il fatto che il lavoro alienato venga riconosciuto come requisito della cittadinanza è l'effetto ultimo di quell'alienazione sociale che va combattuta anche attraverso il reddito di base. Gorz considera come un dato semplicemente da accettare il fatto che il lavoro socialmente riconosciuto sia quello gestito secondo la logica economica, ma la lotta per il reddito di base serve proprio a includere l'attività gratuita (non scandita dal tempo uniforme dell'orologio) tra quelle socialmente riconosciute. Se l'attività politica è astratta, l'attività economica è alienata: singolarmente prese nessuna è un autentico veicolo di partecipazione alla vita della comunità.
  • Dire che nel lavoro socialmente riconosciuto non si lavori per il proprio datore di lavoro (chi è il capo, se non il detentore del capitale?) è un'ingenuità in odore di ipocrisia. Gorz sembra edificare la sua catapecchia senza tener conto dai materiali di costruzione elaborati da K. Marx
  • Dire che il consumo non equivale alla partecipazione, significa fermarsi ad un'astratta posizione etica che non tiene conto di come il consumo sia un momento necessario per l'equilibrio del ciclo economico capitalistico, momento che salva il ciclo da una produzione spesso inutile che è ormai in larga parte fine a se stessa. Inoltre privilegiare la produzione rispetto al consumo significa invertire l'ordine dei valori grazie ai quali riconosciamo a quale fine che non sia la felicità dei singoli e della collettività sia subordinato tutto l'insieme della produzione sociale
  • Il reddito sociale di base non deve essere considerato compenso di niente, ma nucleo concreto della cittadinanza e del riconoscimento sociale che va assegnato per la sola comunanza di specie e per la soddisfazione dei bisogni primari, soddisfazione che non può essere condizionata a nessun erogazione di lavoro
  • E' giusto collegare il reddito di base ad una redistribuzione del lavoro necessario e/o sgradevole, ma ciò non perchè da solo il reddito di base manchi di sufficiente legittimità.
    Ciò dal momento che la redistribuzione del lavoro necessario trova resistenze più all'interno della categoria degli occupati che non all'interno di quella degli inoccupati

A. Gorz ha comunque cambiato la sua posizione diventando molto più favorevole nei confronti del reddito di cittadinanza. Infatti in Miseria del presente, ricchezza del possibile egli sostiene che

I. Bisogna passare da una liberazione nel lavoro ad una liberazione dal lavoro e dunque bisogna promuovere un reddito garantito incondizionato basato sul sapere vivo collettivamente detenuto dagli individui e che fa dell'intelligenza collettiva la principale forza produttiva. Per Gorz il precariato è la condizione comune (attuale o potenziale) a tutti i lavoratori ed il movimento dei disoccupati francesi ha dato un grande contributo al maturare di questa consapevolezza (il 40% della popolazione attiva francese, il 45% di quella tedesca e il 55% di quella italiana sono formate da lavoratori atipici).

II. Si deve per Gorz rifiutare i lavori indegni ma non limitarsi a questo, piuttosto bisogna elaborare un progetto che leghi in una prospettiva comune la diversità delle aspirazioni, dei livelli di esperienza, delle forme di socialità, di cooperazione che da soli non sono capaci di comunicare direttamente tra loro. La forza lavoro sociale deve riappropriarsi delle potenze intellettuali della produzione considerando che il Capitale tende a proteggersi da tale riappropriazione limitando l'estensione, l'interconnessione e l'uso delle conoscenze prodotte e trasmesse.

III. Infatti dalla nascita del capitalismo, i mezzi e le tecniche di produzione, l'organizzazione e la divisione del lavoro e dei saperi hanno sempre avuto, oltre che una funzione produttiva, anche una funzione di dominio. Se il Capitale non può controllare e dominare la forza-lavoro, esso non può nemmeno trarre da essa il massimo di plusvalore. Ma in linea di principio quando il sapere, la conoscenza, la capacità di autorganizzazione diventano la principale forza produttiva e la forma essenziale di capitale fisso, può aprirsi uno spiraglio all'interno dei dispositivi di potere del Capitale. Quest'ultimo si trova nell'inedita situazione di dover valorizzare ciò che dal punto di vista del processo di produzione immediato è al tempo stesso forza-lavoro e capitale fisso. Poichè la proprietà di questo capitale umano manifestamente impossibile, la proprietà privata dell'impresa capitalistica diventa problematica. In mancanza di proprietà e monopolio del sapere, il Capitale esercita il suo potere sulla divisione, trasmissione, omologazione, valutazione e suddivisione dei saperi e sulle condizioni di possibilità della loro messa in opera. Il potere del Capitale sul lavoro cessa di essere un potere frontale che obbliga e controlla direttamente, ma si esercita obliquamente condizionando l'intera persona e controllando i lavoratori attraverso il modo in cui esso esige di essere controllato da essi. Perciò la riappropriazione delle competenze e dei saperi del general intellect non può avvenire immediatamente e direttamente a livello dell'impresa e del processo di produzione immediato. Esso deve effettuarsi a monte della produzione e deve elaborare processi alternativi di acquisizione, ricomposizione, sviluppo e messa in opera delle capacità dei saperi e delle competenze.

IV. Gorz dice poi che secondo alcune concezioni le capacità che gli individui sviluppano fuori dal lavoro immediato contribuiscono enormemente alla sua produttività all'interno di un processo (chiamato appunto postfordista) che le esige e le mobilita. Le attività esterne al lavoro sarebbero dunque indirettamente produttive e meriterebbero a questo titolo di essere remunerate socialmente. Questa concezione però per Gorz trasforma tutta la vita in lavoro e pone comunque al suo centro la produzione; inoltre essa non tiene conto del fatto che dal punto di vista delle temporalità la differenza tra lavoro e non-lavoro rimane intatta

V. Infatti il tempo di lavoro è tempo organizzato razionalmente al fine di ottenere il miglior risultato col minimo sforzo possibile; al contrario il tempo libero non è tempo nel quale si fa economia, ma è tempo da spendere senza contarlo e senza contare l'energia che vi si impiega. In questo caso la massima spesa di energia è persino un elemento del massimo godimento e vale in quanto fine a se stessa

VI. Tuttavia è vero che il processo di produzione ormai tende a mobilitare all'interno del lavoro immediato e direttamente produttivo le stesse capacità di autonomia, di iniziativa, di immaginazione e di comunicazione delle attività esterne al lavoro le quali vengono messe all'opera in maniera pianificata in vista di un risultato determinato. Ma nella cooperazione produttiva l'interazione e la comunicazione vi acquistano un senso diverso da quello che hanno in un balletto, per una squadra sportiva, in un dibattito politico ed in un dialogo amoroso. Non è per essere più produttivi che i soggetti sviluppano le proprie facoltà all'interno di tali attività ma è perchè essi sviluppano tali facoltà che la produttività della loro forza-lavoro aumenta.

VII. Tale distinzione è indispensabile per evitare di impattare nell' autovalorizzazione cioè quel modo ossessivo che nel contesto attuale hanno i membri più competitivi e creativi dell'elite del sapere di considerarsi vero e proprio capitale fisso esigendo di essere messi massimamente a profitto. La massimizzazione della loro produttività, creatività e competitività è la ragione essenziale di tutto ciò che fanno al di fuori del lavoro immediato e tutto questo per loro fa parte del lavoro perchè è necessario al mantenimento ed all'accrescimento del capitale umano che ai loro occhi essi rappresentano

VIII. Quando Marx a tal proposito scrive che il tempo libero per lo sviluppo dell'individuo retroagisce come forza produttiva più elevata sulla forza produttiva del lavoro, egli osserva anche che l'aumento della produttività del lavoro ha per effetto e deve avere come scopo quello di permettere la riduzione al minimo del tempo di lavoro e la liberazione del tempo per l'ozio come per le attività superiori. . La riduzione del tempo di lavoro immediato non deve dunque essere (come vorrebbe la maggior parte dei padroni) il mezzo per accrescere la produttività delle persone attraverso una formazione continua mirata e specializzata, ma il mezzo per aumentare il tempo disponibile per il pieno sviluppo delle capacità in particolare della capacità di godimento e dell'inclinazione all'otium. L'accresciuta produttività risulterà per soprammercato dal pieno sviluppo della capacità di ciascuno e porterà a nuove riduzioni del tempo di lavoro immediato

IX. Dunque per essere realmente fecondo occorre che lo sviluppo delle capacità di tutti ecceda i bisogni del processo di produzione immediato (delle imprese) e conferisca agli individui un'autonomia reale non solo dentro ma anche rispetto al lavoro immediato: un'autonomia non solo professionale, ma culturale capace di mettere in discussione lo scopo del lavoro nel suo contesto sociale. Nell'era dell'economia dell'immateriale, quest'autonomia è la vera posta in gioco, giacchè l'autonomia nel lavoro è uno strumento di cui il Capitale si serve per asservire (la creatività di uno scrittore al servizio della pubblicità non cessa di essere notevole) , mentre tale autonomia si acquista principalmente nella lotta al produttivismo

X. Gorz poi dice che il reddito garantito attenuando l'obbligo monetario al rapporto salariale può essere uno strumento essenziale per la trasformazione del lavoro all'interno dell'impresa e per la sua riappropriazione. Esso però avrà un senso pieno solo se tale riappropriazione è un fine dichiarato sin dall'inizio e si accompagna ad azioni politiche che rendono possibile tale riappropriazione: il reddito garantito (per non essere il salario della marginalità) deve prima di tutto sfociare nel diritto di scegliere la durata, gli orari, le intermittenze e le discontinuità del lavoro. Ovviamente nè la riappropriazione del tempo nè quella del lavoro si sviluppano spontaneamente se non corrispondono ad un progetto collettivo e politico esprimibile nella riappropriazione trasformativa di un territorio dotandolo di strutture tecnicamente avanzate per l'autoattività, l'autoapprendimento, l'autoproduzione e l'autorganizzazione.

XI. La riappropriazione del lavoro e dell'impresa non può realizzarsi attraverso l'autogestione e la proprietà collettiva delle imprese come sono: essa presuppone un'altra concezione dal momento che il lavoro e l'attività umana possono ormai svilupparsi solo al di fuori della sfera di valorizzazione capitalista. L'avvento del reddito di base deve essere intesa non come avvento al diritto a non far niente, ma come diritto ad altre forme di cooperazione sociale al fine di creare una totalità di valori d'uso che non hanno nè prezzo nè valore di scambio quantificabili. Tale reddito deve essere incondizionato perchè nella civilizzazione che si va costruendo il tempo di lavoro immediato è poca cosa rispetto al tempo trascorso ad acquisire le capacità che il lavoro immediato mette in opera e dunque è assurdo far dipendere il diritto ad un reddito e la sua quantità dal tempo di lavoro immediato. Ma è ugualmente assurdo continuare a farlo dipendere da certe forme di lavoro mediato di produzione di sè. Ciò significherebbe chiedere che la produzione di sè, anzichè essere libero sviluppo delle individualità venga assoggettata a delle norme e adelle forme istituzionali di controllo della sua utilità sociale (intesa come conformità agli interessi dominanti).

XII. Il capitale riconosce che l'autonomia e la creatività e l'immaginazione delle persone gli sono necessarie e per questo si ignegna a captare la loro libera produzione chidendole entro limiti che consentono all'impresa di trarne profitto. D'altra parte è perverso esigere (come fanno Rifkin ed altri socialdemocratici) che il reddito di base sia riservato ai cittadini che si fanno benevolmente carico di attività riconosciute di pubblico interesse. Queste infatti cesserebbero di essere benevole e disinteressate, ma diventano un mezzo tra altri per guadagnarsi la vita. La condizionalità trasforma il reddito di base in salario (si pensi che in Usa, Gran Bretagna e Francia le madri nubili hanno spesso un figlio ogni tre anni perchè è la sola condizione per avere un alloggio o un reddito di sopravvivenza

XIII. Infine dice Gorz le iniziative del movimento dei sans papiers rende visibile la precarizzazione generalizzata del lavoro non solo in Francia ed in Europa, ma su scala planetaria. Interi settori della produzione e dei servizi si reggono sia in Nordamerica che in Europa su una manodopera nomade la ribasso e semiclandestina. Essa è la punta di diamante di cui una parte dei padroni si serve per minare le rigidità del mercato del lavoro, per impiegare sul territorio nazionale una forza-lavoro alle stesse condizioni della Cina o delle Filippine. Dunque per colpire i meccanismi di valorizzazione del Capitale occorrono azioni e politiche nazionali e transnazionali e nonostante l'impermobilità del Capitale, la concertazione su scala planetaria non sono sue armi esclusive ma possono essere rivolte contro di lui.. Bisogna estendere la cittadinanza dunque o estendere il salario minimo al di là della cittadinanza

XIV. Il tipo di industrializzazione che in Occidente ed in Giappone ha permesso di urbanizzare e trasformare in salariati le masse rurali non esiste più: esiste un tasso di disoccupazione nel mondo di circa il 25% della popolazione attiva e bisognerà creare milioni di posti di lavoro per stabilizzare nei prossimi decenni il tasso di disoccupazione al livello attuale, ma la mondializzazione distrugge più posti di lavoro di quanti ne crea perchè le industrie che le società transnazionali impiantano nel Terzo mondo spesso sono più automatizzate dei loro equivalenti occidentali e distribuiscono una massa salariale troppo debole per dare impulso ad una crescita economica endogena. L'invenzione dunque di alternative al salario ed agli scambi mercantili monetizzati è quindi un imperativo di sopravvivenza per la maggior parte della popolazione mondiale

L'ultimo Gorz dice cose molto condivisibili soprattutto quando parla della necessità che le attività del tempo di non-lavoro non abbiano la stessa temporalità contratta del lavoro, ma abbiano i liberi tempi dell'ozio. Perchè comunque vi sia quella riappropriazione collettiva del general intellect vi deve essere una riforma radicale del sapere e l'unificazione di quelle che Snow chiamava le due culture. Il processo perchè però questo accada è forse ancora inedito

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