giovedì, gennaio 19, 2006

Van Parijs sulla questione dello sfruttamento

Van Parijs ha provato a rispondere all'obiezione dello sfruttamento con due argomentazioni:
Il primo argomento unisce quattro idee:
A) l'idea che tutti abbiano diritto ad un eguale quota di risorse esterne per perseguire la concezione del bene favorita
B) l'idea che i posti di lavoro sono risorse esterne a tutti gli effetti
C) L'idea che nelle moderne economie capitalistiche quei posti sono divenuti risorsa scarsa e dunque la loro appropriazione deve essere soggetta a vincoli
D) L'idea che lo Stato deve rimanere neutrale rispetto alle varie concezioni del bene sostenute dai propri cittadini
Se si accettano le prime tre idee si deve anche accettare la conclusione secondo cui occorre suddividere tra tutti le rendite di posizione di cui gode chi si è impossessato di un "posto di lavoro".
Se si accetta anche la quarta dobbiamo suddividerle tra tutti e non destinarli sotto forma di sussidi ai soli disoccupati involontari, dal momento che verrebbero favoriti i piani di vita che prevedono ampio spazio per l'attività lavorativa.
Il secondo argomento si concentra sul concetto di sfruttamento ed evidenzia tre principi secondo cui tale concetto viene declinato
a) Il principio lockeano in base al quale ognuno ha diritto all'intero prodotto del proprio lavoro
b) Il principio luterano in base al quale ognuno ha diritto ad una quota del proprio lavoro equivalente o proporzionale al valore del proprio contributo
c) Il principio dello sforzo forte in base al quale ognuno ha diritto ad un reddito strettamente proporzionale al proprio sforzo produttivo

Van Parijs obietta che tutti questi tre principi ammettono ineguaglianze frutto della sorte bruta e perciò moralmente arbitrari (ad es. uno potrebbe avere una terra più fertile dell'altro o più capacità innate di un altro)
Per questo egli ritiene più attraente un principio dello sforzo debole che stabilisce un legame positivo (ma non una corrispondenza diretta) tra reddito e sforzo produttivo e consente di pensare che in un regime di reddito di base chi lavora comunque finisce per avere un reddito più elevato di chi vive del solo reddito di base

Stuart White pensa che tale argomento di Van Parijs non riesce ad evitare l'applicazione della nozione di sfruttamento, giacchè l'introduzione di un reddito di base, consentendo alle persone di sottrarsi all'obbligo lavorativo, violerebbe il principio fondamentale del Welfare State che è l'obbligo di reciprocità. In cambio di un reddito minimo soddisfacente ogni cittadino ha un corrispondente obbligo di soddisfare una ragionevole aspettativa di lavoro (a sua volta funzione della durata dell'attività lavorativa e delle differenze delle capacità produttive) ; chi non soddisfa questa aspettativa sfrutta quelli che la soddisfano, in quanto trae iniquo vantaggio dal loro lavoro. Secondo White gli individui hanno l'obbligo di offrire un contributo produttivo minimo in cambio della garanzia delle libertà civili fondamentali e della sicurezza economica
Per White il primo argomento di Van Parijs dimentica che i posti di lavoro possono essere visti come risorse solo in forza dell'accesso che conferiscono ai benefici della coooperazione sociale e dunque per avere accesso ad una quota di questi benefici occorre offrire la propria disponibilità a contribuirvi. Il secondo argomento invece non considera la possibilità di un principio come quello di reciprocità compatibile sia con la necessità di rimuovere l'ineguaglianza dovuta a sorte bruta sia con l'obiezione al reddito di base fondata sulla nozione di sfruttamento

Vengono in mente a questo proposito le seguenti osservazioni
1. Non è necessario che lo Stato sia del tutto neutrale rispetto alla destinazione ed allo stile di vita degli individui (forse una neutralità assoluta non è sempre possibile), ma di certo si può ritenere difficile cosa sia più opportuno per l'intera comunità ad es. un individuo che non lavora, ma che svolga in maniera rapsodica attività intellettuali che possono risultare utili nel lungo periodo (prendiamo un Socrate), o un individuo che sacrifichi il suo talento a lavori che non sempre svolge profittevolmente. Dunque non la neutralità rispetto ai fini, ma l'ammissione di ignoranza su quando e come i fini socialmente utili possano considerarsi conseguiti
2. Un concetto che si può contrapporre a quello ordinario di sfruttamento è quello per cui dei bisogni primari debbano essere soddisfatti da ciascun individuo quale che sia il suo contributo riconosciuto alla società, per cui si può dire che sin quando non si esce dalla soddisfazione di tali bisogni primari, quello che soggettivamente viene chiamato sfruttamento è una redistribuzione
strategicamente ed eticamente prioritaria rispetto ad una presunta appropriazione dei frutti del proprio lavoro, frutti che non sono assolutamente quantificabili in maniera oggettiva nei singoli casi individuali, ma che si possono solo valutare alla luce del lavoro sociale complessivo
3. Il principio di reciprocità di White sarebbe plausibile se e solo se l'organizzazione del lavoro e la composizione organica di capitale fosse decisa coscientemente dalla collettività sociale e terminasse la fase in cui la domanda di lavoro fosse gestita da centri decisionali individuabili attraverso la proprietà privata dei mezzi di produzione. In secondo luogo il tempo di lavoro dovrebbe essere modulabile temporalmente in maniera libera e duttile quanto si vuole (orari, modalità etc.) ; qualsiasi rigidità dell'offerta dei posti di lavoro sarebbe infatti in contrasto col diritto dell'individuo di offrire la quantità di lavoro che vuole in cambio della corrispondente quota di beni sociali e la reciprocità sarebbe così impossibile (una banca del tempo risolverebbe almeno in parte questo tipo di problemi, ma il cosiddetto lavoro necessario sarebbe modulabile secondo la banca del tempo, oppure quest' operazione presupporrebbe comunque il toglimento della proprietà privata dei mezzi di produzione ? )
4. In conclusione molti dei ragionamenti svolti dai filosofi analitici della politica risultano essere astratti rispetto alla fase storica e spesso del tutto fuorvianti rispetto agli attuali rapporti di produzione

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